Il sogno

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Degli occhi rossastri mi osservavano. Erano intransigenti e gelidi, nonostante il colore caldo. Intorno a essi non v'era un delineato profilo ma, piuttosto, un incarnato di astrazione onirica. Erano a tratti ironici, a tratti invidiosi, a tratti omicida. Queste le sensazioni che si creavano in me. Non ben comprendevo la ragion d'essere di tutto ciò, avevo però ricordo di esperienze similari; cominciavo a esser consapevole di navigare come un onironauta. Me lo sussurrò nell'orecchio uno degli sciamani antichi delle dodici tribù, quando ci fecero visita. Ancora non capisco bene che diavolo stia succedendo nella mia vita ma son certo di una cosa: non è qualcosa di buono. Quegli occhi mi guardavano ancora. Sembravano trasudare l'odore del sangue e, immaginavo, volessero ingannarmi di continuo sulla loro essenza priva di senso. Non mi vedevo, ma ero immobile seduto una poltrona, o così mi pareva. Avevo le braccia distese sui braccioli in pelle. Ero cosciente della mia posizione ma, comunque, non ero ancora abbastanza allenato da far sì che le pareti del sogno si prostrassero alla mia creatività. Cercavo di scrutare quel che scrutava me, senza successo alcuno, spremendomi il cervello per agguantare la soluzione a quelle perle scarlatte. Non erano connesse a un corpo, né a un volto. Erano insolitamente immerse in quella nebbia sognante, quasi nuotassero in quell'acquitrino immateriale smussato da quelle correnti di dubbia provenienza. Mi sembrava di ruotare intorno a me stesso, come in un gorgo oceanico; venivo risucchiato senz'appello in fondo a un qualcosa privo di base, come se riemergessi in un altro luogo ch'era al di sotto ma alla stessa maniera, parallelo. Il discernimento era pressoché impossibile, causa la surreale somiglianza dei due strati e, mentre discendevo nell'obliante vortice, esso si stringeva attorno a me come una cintura. La mia caduta poteva rassomigliare un salto e, il mio salto, una caduta. Era folle, fottutamente folle. E le mie facoltà non bastavano a spiegare una cosa simile.

Mi svegliai di colpo, percependomi immobile, in una probabile paralisi del sonno. Vidi ancora quegli occhi, a cui s'era accostata una bocca, in una posizione assurda: sopra di essi. Questa mi parlò, affermando: "La follia di mostri porterà morte fra il tuo lignaggio." Se ne avessi avuto modo, avrei deglutito, terrorizzato dalla frase. Seppur fossero numerosi i precedenti, mai mi aveva comunicato qualcosa, né mai qualcosa di tanto terribile. Timoroso, tentai di divincolarmi, poi il cervello si riconnesse e mi diede nuovamente forza d'agire. Lentamente vidi ancora i lineamenti di mia moglie Eleanor che mi fissava e mi diceva qualcosa che non capivo. Era tutto ovattato. In qualche secondo, ritornai alla normalità, al mondo reale. Sentivo la sua voce che cercava di richiamarmi alla coscienza.
<Tithas! Svegliati! E' solo un brutto sogno!> Era quasi un urlo il suo, dolce però. Mi cullava nella certezza di quel che diceva. Eppure, era davvero solo un incubo?
<S-sono sveglio Ele. Tranquilla...lo so bene.> Quelle paralisi mi coglievano oramai ogni notte puntuali, poco prima che il sole facesse la sua comparsa in cielo, subissando la volta stellata. E così tagliò le ombre, affermandosi su esse come una lama di giustizia, travolgendo il mondo e illuminandolo del suo lume assoluto.

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