L'ultimo profumo

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La sua camicia bianca, la camicia di Stefano era sul letto. Lei, Angelica, la ignorava. Infilò nel primo cassetto del comodino la biancheria pulita, mise la borsa nuova sul ripiano più alto dell'armadio, aprì la finestra per far cambiare aria alla stanza.

Andò a sedersi davanti allo specchio. Era bella, si vedeva, la notavano sempre tutti per i suoi lineamenti delicati e la bellezza non cercata, era nata così. Sembrava quasi che il trucco della sera precedente le fosse rimasto addosso, nonstante tutto, il rimmel era ancora al suo posto, solo il rossetto aveva lasciato spazio al colore reale delle sue labbra.

Angelica, si guadò allo specchio intensamente, fece un respiro profondo, aveva bisogno di riempire i polmoni. Adesso poteva girarsi, poteva raggiungere il letto.

Prima sfiorò il colletto di quella camicia, poi accarezzò le maniche, dopo la premette sul naso, sulla bocca. Sorrise, come una bambina. Andò all'armadio per cercare una stampella libera. Si sforzò di non guardare il telefonino posato lì, sul comodino. Pensò, ricordò, ormai non le è rimasto nient'altro che questo. Era finito tutto, in una tranquilla sera di inizio dicembre, ormai non le era rimasto niente, solo quella camicia sul letto.

Quell'indumento bianco usato il giorno prima dal suo Stefano per andare a lavoro, per litigare con il suo superiore, per andare a prendere il caffè, per fare quattro chiacchiere con Mario, il suo amico di sempre. Solo una camicia bianca da annusare, per ricordare il suo odore. Già, la mattina che stava per iniziare e poi in tutte quelle seguenti lei si sarebbe dovuta rassegnare, non avrebbe più avuto il bacio del buongiorno, e non lo avrebbe avuto neanche domani, neanche dopodomani e neanche nei prossimi mesi. Restava solo quell'odore che, col tempo, sarebbe svanito.

Angelica posò la camicia e prese il cellulare, aveva letto e riletto cento volte i messaggi conservati in memoria, ormai apriva la rubrica del cellulare non tanto per rileggere il testo dell'sms ma per leggere la parola Amore che indicava il mittente. Con la camicia in una mano e il cellulare nell'altra era rimasta pietrificata, seduta sul letto, la finestra aperta, l'armadio in disordine, quasi in una realtà parallela. Perché è successo a me? Perché è successo a noi? Un attimo e tutto era finito, era finito un attimo prima che tutto iniziasse.

Una nuova vita, una nuova casa, i mobili che stavano per arrivare, il vestito da sposa nascosto a casa di sua madre perché Stefano non voleva vederlo prima del matrimonio, le fedi conservate in un cassetto del comò e poi tutto il resto, tutti i progetti che avevamo fatto insieme. Era bastato un attimo e tutto era finito. Stefano stava solo facendo il suo lavoro, lo amava tanto, lui voleva che fosse perfetto, non voleva mai delegare, voleva essere in prima linea, era il capo e in quanto capo proteggeva i suoi uomini anche a costo della sua stessa vita.

E alla fine l'irreparabile è successo, Stefano aveva salvato un suo uomo, un padre di famiglia che poco dopo la tragedia era andato a casa di Angelica per fare le condoglianze, uno dei tanti suoi uomini che da lì ad un mese avrebbero preso parte al picchetto d'onore per il loro matrimonio e che invece tra poche ore avrebbe fatto, insieme agli altri, un picchetto d'onore solo per il suo uomo, il loro capo. Angelica doveva prepararsi, era quasi ora, "tu odi i ritardatari" disse a voce alta, me lo dicevi sempre "Il giorno del nostro matrimonio non fare come tu cugina che ci ha fatto aspettare in chiesa per quasi un' ora". Angelica gli aveva promesso che sarebbe stata puntuale e allora cercò di esserlo anche nel giorno del loro ultimo saluto. Che strano, tra un mese si sarebbero sposati e, con un mese di anticipo Angelica stava andando nella loro chiesa, piena di parenti, piena di fiori, di musica, ci sarebbe stato il picchetto e persino i fotografi, solo che, finita la funzione, nessuno avrebbe lanciato il riso.

In tanti avevano chiesto ad Angelica una foto di Stefano, per i telegiornali e per i giornali, quei giornali che lui odiava tanto, ai quali non voleva mai rilasciare una dichiarazione neanche dopo aver concluso un'operazione importane. 'Oggi ci saranno tutti, continuava a ripetere ad alta voce -  e tu non potrai neanche lamentarti. "Oggi potrei piangere" disse ancora ad alta voce Angelica "e non ci sarai tu consolarmi con il tuo abbraccio, avrò solo questa camicia ma, non posso portarla con me in chiesa. Proprio non posso".

Dopo aver parlato da sola Angelica lasciò tutto sul letto, prese un vestito nero, mise un po' di trucco e cominciò ad andare, era quasi sulla porta ma una voce dentro di se la spinse a tornare in camera da letto. Prese la camicia bianca, la annusò di nuovo, la strinse al petto, prese dal cassetto uno dei gradi di Stefano e li mise nella borsa 'così, pensò, sarai lì vicino a me'.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 22, 2016 ⏰

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