✞capitolo 1✞

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Tutti i bambini sognano di crescere in una famiglia felice con una madre e un padre, di godersi la vita, di permettersi tutto ciò che vogliono facendo i capricci e poi ci sono io, Clark nata da un fottutissimo sbaglio di mio padre che aveva abbandonato mia madre Evelin che era la sua 'scopamica', entrambi avevano 17 anni e mio padre, per dire, voleva far abortire ma mia mamma aveva rifiutato.

Sin dalla mia nascita avevo i capelli scuri e la pelle leggerente olivastra e per questo mio padre mi odiava ancora di più visto che lui aveva la pelle chiara e capelli biondi. Arrivava in casa ubriaco e picchiava mia madre, io anche essendo piccola in qualche strano modo riuscivo a capire ciò che stava accadendo intorno a me.

Un giorno a cinque anni stava per ucciderla e io mi misi in mezzo, non lo avessi mai fatto, mi prese in piena alla rabbia e mi scaraventò a terra e iniziò a picchiarmi, mia madre cercò di difendermi ma lui prese una pistola e le sparò, mi avvicinai al corpo a terra ormai morto e in preda al pianto e alle urla cercai di tamponarle le ferite inutilmente, poi mi ordinò di nascondermi dietro il divano e con la testa bassa e gli occhi pieni di lacrime feci ciò, chiusi gli occhi, poi sentii un altro sparo e il buio totale.

Mi svegliai il giorno seguente in una camera d'ospedale e i medici mi guardarono stupiti, non riuscivo a capire cosa fosse successo, mi guardai la spalla e vidi che era bendata e c'era molto sangue... Mi aveva sparato, aveva sparato un essere nato per un SUO errore e io e mia madre ne pagammo le conseguenze, mi alzai di scatto e cercavo lo sguardo di mia madre ma mi dissero che era in coma e non sarebbe riuscita a passare la notte, certo sempre con termini adatti ad una bambina, lui si era suicidato e di lei mi rimase solo una catenina con sopra inciso il mio nome.

Sono cresciuta in questo orfanotrofio con un enorme senso di rabbia, sempre diversa dagli altri, solitaria come un lupo cacciato dal branco in cerca dell'impossibile, trovato a cinque anni nella fiamma del fuoco, vederlo mi rilassa, una vera propria forma di arte, non riproduce ciò che è visibile ma rende visibile ciò che non sempre lo è, sono finita più volte in un riformatorio per aver picchiato la padrona dell'orfanotrofio che finalmente da domani non vedrò più, una famiglia ha deciso di adottarmi e oggi è l'ultimo giorno quì.

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Uno spiffero di luce che proviene dalla finestra inizia a darmi fastidio così mi alzo, vado a farmi una doccia per placare l'euforia di andarmene da questo fottutissimo inferno.

Esco dal box e asciugo i capelli, sistemo il mio dread in modotale che non si arruffi con gli altri capelli, metto un paio di skinny neri strappati sul ginocchio, un top a righe, una giacca in jeans, le converse bordeaux, metto un filo di eye-liner e mascara e sulle labbra un po di rossetto opaco bordeaux. Sistemo la collanina che mi regalò mia madre e alcuni anelli. Preparo le valigie, prendo la mia chitarra e vado in giardino dove mi aspetta l'autista dell'orfanotrofio e la padrona che mi tiene la sportello dell'auto con un sorriso enorme "Addio scapestrata" dice con la mascella così contratta in un sorriso falso che sembra quasi spappolare, entro in macchina e le faccio il dito medio.

Dopo svariate ore arriviamo d'avanti ad una enorme villa e sulla porta ci sono quelli che secondo la legge sarebbero i miei nuovi genitori, scendo dall'auto e i due mi accolgono con un enorme sorriso
"Ciao tu devi esse Clark io sono Ted e lei è mia moglie Eleonor" dice un uomo sulla cinquantina molto simpatico con i capelli bianchi per la vecchiaia e degli occhi neri in giacca e cravatta presentandomi sua moglie, una donna che avrà quarantacinque anni ha i capelli rossi e gli occhi azzurri, indossa un vestito verde petrolio "E lui è nostro figlio, nonché tuo fratello Matthew"
Da dietro a loro vedo un ragazzo e mi prende un colpo...

UntouchableDove le storie prendono vita. Scoprilo ora