Capitolo 5

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Decklan raggiunse Oliver accanto alla parete specchiata nella palestra. L'amico lo salutò con un cenno della testa e il Karà si fermò accanto a lui, guardando i Beta che si allenavano nella sala.
Dopo una lauta colazione, erano stati riportati tutti nella palestra. Si stavano allenando già da qualche ora e nell'aria aleggiava un penetrante odore di sudore maschile. Tute nere, blu, verdi e marroni si mescolavano tra le attrezzature. Si sentivano i grugniti di chi faceva sollevamento pesi, il respiro ritmato di chi colpiva il sacco da boxe, il tintinnio del metallo di chi si allenava alle sbarre.
«Come va?» chiese Decklan.
«Tutto bene» rispose Oliver. Con un cenno della testa indicò tre lupi attorno ad un sacco da boxe, «Il trio è tranquillo oggi.»
Erano tre Solitari che avevano raggiunto Estia in cerca di protezione. I Solitari non erano facili da gestire: non avevano un branco, si muovevano sempre soli ed erano Beta e Alfa allo stesso momento. Erano dei piantagrane; in condizioni normali rapivano le femmine di altri branchi per sfogare i propri istinti ed erano famosi per uccidere senza nessun rimorso chiunque tagliasse loro la strada, demone, umano o lupo che fosse.
Quando erano entrati nel suo esercito, uno alla volta, Decklan aveva saputo gestirli, ma poi si erano uniti, accumunati dall'odio verso i branchi, e le cose erano iniziate a diventare difficili.
Così era dovuto intervenire. E non era stato per niente piacevole.
Decklan è in piedi. Le braccia lungo i fianchi, il suo torace ampio si alza e si abbassa al ritmo del suo respiro corto. Le sue mani sono umane, ma al posto delle unghie ha lunghi artigli affilati.
Ha le sopracciglia spaccate e rivoli di sangue gli colano lungo il viso.
Stesi a terra di fronte a lui ci sono i tre lupi. Due hanno una gamba rotta, il terzo è svenuto.
Sono pesti e sanguinanti, uno geme dal dolore e si tiene il ginocchio con entrambe le mani.
«Spero di essere stato abbastanza chiaro» dice Decklan. Scuote le mani, che tornano completamente umane, e i lupi lo guardano con rabbia e terrore, «Questo è stato l'ultimo avvertimento. Toccate ancora uno qualunque dei miei lupi e vi sbatterò fuori dalle mura, alla mercé dei Lilim.»

Detestava dover attaccare i lupi del suo esercito. Ma con l'isolamento e il duro addestramento, i Beta tendevano a tornare selvatici. Purtroppo, spettava a lui il compito di tenere sotto controllo gli abitanti.
Per fortuna, c'era Oliver.
Il suo Secondo e suo migliore amico da dieci anni, era l'unico del quale si fidasse davvero.
Oliver non gli aveva mai voltato le spalle, gli era stato accanto in ogni momento da quando aveva iniziato l'avventura di Estia.
Non era stato facile riunire tutti quei Lykos nello stesso luogo, ma lui e Oliver si erano impegnati, avevano lottato duramente, e alla fine erano riusciti in quell'impresa che tutti avevano definito impossibile.
Avevano creato un luogo sicuro, un luogo in cui i Lykos potevano vivere serenamente e in cui addestrare un esercito che li proteggesse.
Decklan non avrebbe mai ringraziato abbastanza il Principe dei guerrieri per avergli dato quell'opportunità.
Con gli occhi perlustrò la sala, passando in rassegna tutti i presenti.
Gli Omega si allenavano nel settore pesi. Durante le spedizioni loro erano la retroguardia: quelli che coprivano le spalle al grosso dell'esercito, che chiudevano la fila e permettevano la ritirata quando necessario. Erano i sacrificabili.
Per questo Decklan li sottoponeva ad addestramenti più duri degli altri; quando partiva per una spedizione, voleva che tutti i suoi lupi tornassero a casa.
«Quelli nuovi?» chiese.
Oliver strinse gli occhi ramati scrutando l'amico.
«Vuoi davvero sapere di quelli nuovi o solo di quella nuova?»
Decklan sorrise e Oliver scoppiò a ridere.
«Amico, sei prevedibile come la pioggia ai tropici.» Sollevò la mano per indicare un angolo della palestra, «Sono lì, con Fritz.»
Il tedesco, dai capelli di un biondo così chiaro da essere quasi bianchi, era accanto al tatami azzurro, con i tre nuovi Beta di fronte. Centotrenta chili di muscoli per un uomo buono in modo imbarazzante. Fritz era quello che si occupava sempre delle nuove reclute; era l'unico che avesse la pazienza necessaria per rispondere a tutte le domande che di solito ponevano.
Stava spiegando loro qualcosa; i ragazzi erano sudati e stanchi, ma la femmina no.
Decklan la osservò mentre rimaneva perfettamente dritta di fronte a Fritz e ascoltava con attenzione tutto quello che lui stava dicendo. Aveva legato i lunghi capelli castani in una coda alta, scoprendo il viso di una perfezione incantevole.
Da quando le aveva parlato la sera prima, Decklan non riusciva a togliersela dalla testa.
Ne aveva viste di belle donne nella sua vita, ma quell'egiziana era davvero meravigliosa.
«Gli altri hanno fatto qualcosa?»
Oliver alzò le spalle.
«L'hanno ignorata per tutta la mattina, ma non credo che la scamperà ancora per molto. Ho già visto i russi complottare.»
Decklan sospirò.
«Mi dispiace per lei.»
Oliver lo guardò sorpreso.
«Ma davvero?» gli chiese, «Per tutte le altre non ti è mai dispiaciuto.»
Decklan alzò le spalle, appoggiandosi con i fianchi alla parete specchiata e incrociando le braccia sul petto.
«Per tutte le altre è stato meglio così. Lei non credo che la prenderà bene.»
Oliver sbuffò, continuando a controllare i lupi nella palestra.
«La guerra non è per le femmine. Può cacciare delle lepri nel bosco, se ne ha voglia. Non certo i Lilim.»
Fritz condusse i ragazzi di fronte alla rastrelliera con i manubri. Ne prese due da trenta chili e li passò a Matthieu; il ragazzo li prese e si spostò, mettendosi al centro del tatami. Fritz prese altri due manubri da cinquanta chili e li porse a Bash, che raggiunse il francese. Infine, Fritz si voltò verso la rastrelliera e si grattò la testa bionda, indeciso. Prese due manubri da dieci chili e li porse alla ragazza. In risposta, Sameera gli passò accanto, prendendo due manubri da trenta chili. Senza dire una parola, raggiunse gli altri sul tatami e si fermò accanto a loro.
Decklan sorrise della sua testardaggine; osservò il tedesco scuotere la testa con rassegnazione e rimettere a posto i manubri che aveva in mano, prima di raggiungere i ragazzi.
«È tutta la mattina che lo fa dannare» spiegò Oliver, «Lui cerca di essere gentile, ma lei insiste per essere trattata come gli altri.»
Fritz spiegò ai ragazzi l'esercizio per rinforzare i muscoli delle braccia e loro iniziarono ad eseguirlo.
In quel momento, Decklan si accorse che i lupi intorno avevano smesso di allenarsi: tutti avevano gli occhi puntati sui cinque Beta russi, poco distanti dai nuovi.
«Ci siamo, amico» disse Oliver, «Ora la fanno fuori.»
Decklan sospirò, osservando la scena con le braccia conserte e le caviglie incrociate. Gli dispiaceva, ma non poteva fare niente per lei.
Doveva tenere unito il suo esercito e quello era l'unico modo.
I russi parlottarono tra loro ancora qualche istante, prima che uno si staccasse dal gruppo.
Alto e magro, aveva un fisico asciutto e ben delineato; non era enorme come gli altri, ma Decklan sapeva che non fosse affatto da sottovalutare. I capelli neri erano rasati a zero e camminò verso i nuovi a lunghe falcate, deciso a chiudere il più in fretta possibile la questione.
Oliver rise incredulo.
«Oh-Oh, cavolo. Vlad la fa a pezzi.»
Vladen era il più feroce tra i Beta di prima linea; era violento e rabbioso.
Avevano deciso di scatenare il peggiore di loro contro la ragazzina.
Vladen la raggiunse velocemente, sotto gli sguardi curiosi e divertiti di tutti gli altri lupi, che avevano smesso di allenarsi per gustarsi la scena.
Il russo le disse qualcosa che non riuscirono a sentire e Sameera non rispose, continuando con il suo esercizio.
Con la schiena dritta, sollevava i due manubri da trenta chili con le braccia tese sopra la testa, poi piegava i gomiti e si appoggiava i pesi sulle spalle, prima di riportarli in alto.
«Mi stai ignorando, stronzetta?» chiese Vladen.
Sameera continuò a non rispondere e Vladen iniziò a girarle intorno come uno squalo.
«Falle vedere, Vlad!» gridò qualcuno, facendo ridere gli altri.
Vladen si fermò dietro le sue spalle, guardandola nel riflesso della parete specchiata.
«Questa è più bella delle altre» disse Vladen agli altri intorno, «Peccato che non vedo il suo grembiule da cucina.»
Bash lasciò cadere i manubri e si voltò, incombendo minaccioso sul russo.
«Lasciala stare» ringhiò, gonfiando i muscoli del petto.
Vladen sorrise e tre dei suoi amici russi arrivarono giusto in tempo per afferrare l'egiziano e trascinarlo indietro. Matthieu capì l'antifona e si dileguò velocemente.
Sameera rimase sola di fronte alla parete specchiata sul tatami. Continuava a fare il suo esercizio, mentre il suo profumo di rose sembrava emergere tra gli altri odori come una luce nelle tenebre.
Vladen si fermò dietro di lei e le avvicinò il viso al collo.
«Vuoi allenarti come un uomo, eh?» le chiese. Sameera sentì il suo alito caldo sul collo e vide i suoi occhi dorati nel riflesso dello specchio, «Sai cos'altro piace agli uomini?»
Con una mano le afferrò una natica, facendo ridere tutti i lupi intorno.
«Così esagera» disse Decklan, ma nessuno ebbe il tempo di dire niente.
Sameera si voltò così velocemente che Vladen non ebbe il tempo di schivare il colpo: tenendo stretto il manubrio da trenta chili in una mano, sferrò un destro che centrò in pieno la tempia del russo.
Quello barcollò di lato, tanto che dovette appoggiare le mani a terra per non cadere.
«Fallo ancora» ringhiò Sameera mentre il russo, con il sopracciglio spaccato e il viso sporco di sangue, si raddrizzava, «Toccami di nuovo e stanotte dormirai sotto la tua lapide.»
Oliver emise un fischio basso.
«Che caratterino» sorrise.
«Merda» mormorò Decklan, «Ora i russi la ammazzano.»
Una parte di lui voleva disperatamente intromettersi in quella situazione odiosa; gli sarebbe bastata una parola per calmare tutti e far tornare la tranquillità, ma se avesse patteggiato per la ragazza avrebbe perso tutti gli uomini.
L'esercito era fatto così: misogino, chiuso, maschilista in modo antico e vergognoso. E, purtroppo, essere politically correct gli avrebbe soltanto fatto perdere punti agli occhi degli altri lupi.
Vlad si asciugò il sangue dal viso e alzò gli occhi a guardarla.
«Piccola stronza» ringhiò. Partì di nuovo all'attacco.
Allungò un braccio per afferrarla, ma Sameera si scansò in tempo e ruotò su se stessa, piantando il pugno sinistro e trenta chili di manubrio nello stomaco del lupo.
Quello si chinò su stesso e Sameera usò il destro per centrarlo sotto il mento.
La testa di Vlad si rovesciò all'indietro in modo così violento che Decklan temette che gli avesse rotto l'osso del collo. Il russo cadde a terra, spento come un giocattolo senza batterie.
«Sei sleale!» l'accusò uno dei russi, «L'hai colpito con i manubri.»
Sameera si voltò a guardarlo e gli rivolse un sorriso innocente.
«Vieni a togliermeli, allora.»
I tre russi lasciarono andare Bash e circondarono la ragazza.
Quando il primo si allungò per afferrarle un braccio, Sameera gli piantò un destro sotto il mento, voltandosi quanto bastava per colpire la tempia del secondo con il sinistro. Si chinò in tempo per evitare le braccia del terzo e ruotò, sbattendogli il manubrio destro sul ginocchio, spaccando la rotula.
Quello colpito alla tempia indietreggiò, soltanto per tornare all'attacco; riuscì a piazzare un destro nel suo stomaco. Sameera incassò con un gemito, piegandosi in avanti. Quello la colpì sulla schiena e lei cadde a terra. Rotolò e si rialzò. Schivò il pugno chiuso e passò una gamba dietro alle sue, facendolo cadere a terra. Lasciò cadere il manubrio sul collo del russo, inchiodandolo sul tatami e spingendo il peso con il piede. Lui afferrò il manubrio con una mano, cercando di toglierselo di dosso, mentre allungava l'altro braccio per afferrare la gamba della ragazza.
Lei gli afferrò la mano e, con un movimento secco, gli spezzò il polso, facendolo gridare.
Poi lo lasciò andare: il russo si liberò del manubrio per respirare di nuovo e chinarsi su se stesso.
Gli uomini si ammutolirono. Per lunghissimi istanti, non un sospiro si alzò dalla palestra.
Sameera, col fiato grosso, guardò quelli che le erano ancora intorno.
«Qualcuno ha altri commenti?» chiese.
Nessuno rispose; i lupi continuarono a fissarla, increduli, mentre lei restava ferma, col fiato corto e pronta all'attacco.
Decklan non riuscì a trattenere un sorriso sorpreso, osservando quella donna bellissima. Gli occhi di azzurri erano gelidi, il suo corpo formoso era teso. Quella era una vera Beta.
«Allora?» gridò il Karà, «Lo spettacolo è finito. Tornate al lavoro.»
«Incredibile» mormorò Oliver, mentre i lupi tornavano ai loro esercizi. Decklan ordinò a due Omega di occuparsi dei russi e poi si voltò di nuovo a guardare Sameera.
Lei ignorò tutti quelli le stavano intorno, come se non fosse accaduto niente. Raccolse i manubri da terra e si voltò verso la parete specchiata, riprendendo il proprio esercizio.

I Figli di Apollo - L'Esercito degli Dei #2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora