Il mio cellulare non smetteva di suonare, quel suono stridulo non faceva altro che infastidirmi mentre dormivo. Lentamente aprii un occhio per evitare che la luce mi accecasse e voltai lo sguardo sullo schermo. 7:23, lunedì.
Ero in ritardo, come sempre.
Alle 8:00 dovevo essere a lavoro ed io non ero ancora pronta.Velocemente lasciai il letto e corsi verso il bagno per rinfrescarmi e cercare di rendere i miei capelli presentabili. Indossai la mia solita divisa composta da un semplice pantalone nero ed una camicia del medesimo colore e mi precipitai giù per le case dove trovai mio padre sul divano con la sua solita bottiglia di alcol ancora stretta tra le mani.
Non mi soffermai neanche a guardarlo, era una scena ormai troppo conosciuta, una scena che rivivevo ogni giorno da 8 anni e per questo corsi verso la fermata dell'autobus con cui sarei arrivata davanti al bar in cui lavoravo.
Dopo qualche minuto di viaggio accompagnata dalla musica che ascoltavo attraverso le mie cuffie, mi ritrovai davanti al Jane's, il bar in cui lavoravo da qualche mese.
Non era mai stato il mio sogno lavorare in un bar, volevo studiare, andare all'università e diventare un medico, ma mio padre aveva smesso di lavorare da molti anni e con la morte di mia madre non ci restava neanche un centesimo. Studiare era un sogno impossibile.
Alle 7:59 entrai nel bar dopo una lunga corsa.
„Buongiorno Soph, timing perfetto." urlò Emma, un'amica che avevo conosciuto proprio grazie al mio, o meglio, nostro lavoro. „Timing perfetto." continuò sorridendo.
Per via della corsa non avevo neanche più la forza di risponderle come facevo di solito quando diceva una delle sue battute.
„Hai fatto di nuovo tardi per tuo padre ieri?" chiese mentre io cercavo di respirare normalmente.
„Già." risposi semplicemente. Emma era una delle poche persone che conoscevano la mia vera storia, un padre e tanto aloco e droghe, una madre che aveva deciso di togliersi la vita anni prima, lasciando indietro una figlia con un padre del genere.
„Dai, puoi venire da me quando vuoi, lo sai." disse mentre puliva il bancone prima che arrivasse altra gente.
Mi ospita tante volte, ma la paura di lasciare mio padre in casa da solo era troppo grande, anche se questo non mi permetteva di chiudere occhio o di essere picchiata per piccolezze.
La giornata passò in fretta, ma non ero molto felice di tornare a casa, anche se avevo fortemente bisogno di dormire. Il pullmann era vuoto, come sempre, e in pochi minuti mi ritrovai a pochi metri da casa, ma come facevo da molti mesi ormai, mi avviai verso il parco a pochi metri da casa. Lì passavo gran parte delle mie giornate libere per correre via dalla mia vita quotidiana.
L'ultima panchina era vuota, come sempre, e presi posto lì. Conoscevo perfettamente quel posto, ogni singola lettera incisa su quella panchina, ma quel giorno c'era qualcosa di strano.
Seduto non molto lontano da me, c'era un ragazzo con un libro tra le mani. Aveva lo sguardo fisso sulle pagine di quello che stava leggendo, era totalmente vestito di nero e aveva i capelli coperti da un cappellino, anche esso nero.
Mi persi nel fissarlo per un po', ma non notai il suo sguardo verso di me. Dovevo sembrargli una pazza mentre lo fissavo così, così abbassai velocemente lo sguardo frugando nella mia borsa enorme alla ricerca del libro che stavo leggendo attualmente.
C'era qualcosa che mi spingeva a voler rivolgere lo sguardo verso quel ragazzo sconosciuto, mai visto prima nel nostro piccolo paesino, ma con tutta la forza che avevo, non spostai lo sguardo da quello che stavo leggendo.
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Unspoken
FanfictionAveva quel modo di fare tutto suo. Quei capelli che sembravano avere una vita propria, mai nel verso giusto, sempre disordinati. Un sorriso che mostrava solo poche volte, un sorriso debole, alcune volte finto, ma pur sempre uno dei più belli. In...