Axel

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Axel era stanchissimo. Si erano allenati fino allo sfinimento, come al solito, ma non era bastato. Non che fosse colpa sua: era Nathan. Ultimamente era sempre deconcentrato.
Sospirò. Non sarebbero riusciti a battere la Shuriken, non in quelle condizioni.
Volse lo sguardo verso l'altro lato del campo, dove era sdraiato il suo compagno. Così non si può andare avanti, pensò. Stava per andare a parlargli, quando una testa bruna lo superò in corsa. Mark

Il capitano era corso ad incoraggiare Nathan. Lo faceva spesso, ultimamente. Poteva sentire il portiere anche da quella distanza: "Puoi farcela, Nathan! Io credo in te, so che ce la farai!" Disgustoso. E gli sguardi che si lanciavano? "Voi due, prendetevi una stanza!" urlò. Evidentemente però aveva messo troppa rabbia in quelle parole, perchè invece delle risa che si aspettava (non che gliene importasse) ricevette un preoccupato "Axel, tutto bene?" da Jack. "Benissimo! Mai stato meglio. Io per oggi ho finito. E tu," aggiunse, rivolgendosi a Nathan "farai meglio a riprenderti, perchè non ho intenzione di perdere questa partita a causa di uno che non ha ancora deciso in che club stare." Come una furia, si diresse al fiume per darsi una calmata, lasciando tutti senza parole.


Perchè mi dà così tanto fastidio? Possono anche baciarsi, per quello che mi riguarda, pensava mentre correva intorno al campo vicino al fiume. Mentre formulava questi pensieri, si immaginò Mark e Nathan, avvinghiati l'uno all'altro, le lingue intrecciate. Improvvisamente gli venne voglia di vomitare. E di prendere a pugni qualcuno. 

Al tramonto non sentiva più le gambe. Un po' si era calmato, quindi decise di tornare a casa. Era già sulla strada quando si accorse che qualcosa mancava. Merda, il borsone. Devo tornare indietro. 

Quando arrivò a scuola, appena dieci minuti prima della chiusura dei cancelli, era di pessimo umore, ma la scena a cui assistette lo fece sentire peggio che mai: Nathan era seduto su una panca, le spalle piegate mestamente verso il basso. Il suo sguardo era diretto al pavimento, dove Mark, il suo Mark (oh mio dio, piantala, Axel!) era inginocchiato. Ma non era tutto: il portiere stava accarezzando il ginocchio del difensore, mentre lo guardava dritto negli occhi e gli sussurrava chissà cosa.

Era decisamente troppo: Axel non poteva sopportare quella visione un secondo di più. Dimentico del borsone ancora una volta, corse via. 

Non sto piangendo, si disse mentre scappava. E' solo l'aria fredda.

Non sono innamorato di Mark. E' il mio capitano.

Il terzo incomodoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora