Ero seduta al solito bar parigino appena a 10 minuti da casa mia, stesso cappuccino di ogni domenica mattina, stesso tavolino, stessi pensieri.
Stavo leggendo il solito libro, erano le 10:59 del mattino. Quel giorno non mi ero svegliata molto bene, come al solito, però ero ancora più spenta, più vuota, più morta.
Sorridevo, sorridevo sempre, perché non volevo che le persone notassero la mia profonda tristezza, quella tristezza amara che non ti fa godere nemmeno la brezza del mattino. Sono una persona che ride spesso, anzi, sempre e pure forte, per farmi sentire bene.
Ma infondo ero triste anche quella splendida mattinata di Autunno.
Annegavo i miei pensieri, o forse non pensavo proprio, però osservavo. E osservavo quelli che voi chiamate "esseri umani".
Decisi di accendermi una sigaretta, per levare un po' d'amaro, erano le 11:24.
Il cappuccino ormai era freddo ma decisi di berlo comunque.
Cominciai a fumare quella sigaretta, ancora guardavo la gente passare. Notai una coppia di ragazzi abbastanza giovane che si teneva per mano, camminavano alla stessa velocità. Si dovevano aspettare a vicenda. Perché infondo, amare, significa aspettarsi.
Ma non tutti sanno aspettare qualcuno.
E perciò non tutti sanno amare.
Erano le 11:28, avevo la sigaretta consumata ancora tra le dita e la buttai nel posacenere.
Ripresi a leggere il libro.
Erano ormai le 12:04, decisi che oramai, era ora di uscire dal bar.
Racchiusi il libro nuovamente tra le mie braccia, al sicuro, e me ne andai.
Girottolando per la strada dopo un po' mi resi conto che erano già le 12:36. Non avevo fame, così decisi di andare in un parco poco frequentato a pochi passi da li.
Durante il tragitto notai un ragazzo alto e spettinato. Aveva un paio di jeans strappati e una felpa. Aveva gli occhi verdi ed era abbastanza robusto. Anche lui portava con sé un libro, uno dalla copertina verde.
Se ne stava seduto sul marciapiede, di fronte a me.
Guardava gli uccelli volteggiare in quella distesa di cielo blu.
Lo guardavo, lo guardavo e basta. Mi vide. Girai la testa. Mi sorrise.
Dopo poco prese la sua bicicletta blu e se ne andò.
Continuai a camminare verso il parco.
Appena arrivata mi arrivò un messaggio da mia madre alle 13:16: "Torna a casa o sono guai."
Sapevamo bene tutte e due che non ci sarei andata, avevamo litigato, per il solito motivo: non studiavo mai.
Ma a me la scuola non importa, e questo lei non lo capisce. Sono del parere che una persona vada conosciuta al di fuori dell'ambito scolastico, noi non rappresentiamo un brutto voto preso a matematica o ad italiano. Lei vuole che io abbia un futuro roseo e pieno di soddisfazioni, quello che lei non ha avuto. Lei voleva fare l'avvocato, ma è diventata professoressa del liceo accanto al mio.
Alle 18:00 tornai a casa.
Evitai mia madre.
Mi misi a letto ed ascoltai un po' di musica prima di addormentarmi.
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Mi Ero Promessa Di Odiarlo, Ma Lo Amo
RomancePensavo di essere una ragazza forte, che non cadeva mai.