Capitolo II - My cup, my milk and my cereal

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Le note di Thnks fr th Mmrs dei Fall Out Boy esplosero nella stanza svegliando Aaron con un sobbalzo. All'inizio non capì con esattezza né dove fosse né cosa stesse succedendo, poi si rese conto che era il suo cellulare quello che stava squillando ormai da un'infinità di tempo. Fece per alzarsi, ma i lunghi capelli biondi aggrovigliati sul viso e le coperte avvolte intorno a lui resero l'impresa più difficile del previsto. Sin da bambino aveva la tendenza ad agitarsi come un matto durante il sonno, e di conseguenza si ritrovava sempre imprigionato tra le lenzuola.
Aaron sbuffò rumorosamente fissando il soffitto e lottando contro l'istinto di correre a rispondere e controllare se a chiamarlo fosse Ailon, non si sarebbe umiliato da solo in questo modo: ponendo fiducia in altre false aspettative. Quindi rimase semplicemente fermo e immobile a letto, ancora infagottato tra le coperte.
La morsa ferrea che lo attanagliava all'altezza dello stomaco ancora prima che si addormentasse non lo aveva ancora abbandonato e Aaron stava cercando, con tutte le sue forze, di convincersi che fosse solo a causa dalla mancanza di cibo da più di dodici ore.
Non voleva pensare ad Ailon. E non l'avrebbe fatto. Doveva dimenticarla. Completamente.
Avrebbe dovuto rendersene conto il più in fretta possibile, altrimenti avrebbe rischiato di rimanere attaccato a tutte le idee e le speranze che aveva costruito intorno alla loro relazione. Anche se ora si chiedeva se l'avessero mai avuta, una relazione. Probabilmente, da parte sua, Aaron, aveva riposto troppa fiducia nei sentimenti, se così si potevano chiamare, che li avevano uniti.
Non che Aaron avesse mai sognato o pianificato di sposarsi e mettere su famiglia con Ailon. Aveva sempre avuto la sensazione che prima o poi si sarebbero lasciati, probabilmente per decisione presa da Ailon, ma Aaron, nel profondo, aveva sperato di poter avere voce in capitolo.
Dovendo far conto con la realtà, la sua stessa vita era stata plasmata da decisioni e scelte prese da altri, come se lui non avesse mai avuto voce in capitolo.
Sì, patetico. Ma triste verità.
Non ostate avesse sempre avuto un piano per il suo futuro, c'era sempre qualcosa o qualcuno che aveva la priorità su di lui. E senza esitazione, si buttava a capofitto nell'aiutare in un qualche modo, rimandando i suoi piani. Non lo faceva per masochismo, anche se così sembrava, semplicemente metteva gli altri prima di se stesso. Era più forte di lui.
Il suo sogno era sempre stato quello di diventare un'artista, ma Ailon lo aveva sempre denigrato, dicendogli che una carriera da graffitaro non lo avrebbe di certo portato al successo, e comunque andare in giro su uno skateboard e delle bombolette in mano era stupido e privo di originalità.
Non c'era bisogno neanche di dire quanto la cosa lo ferisse, persino la sua stessa ragazza non lo comprendeva, o nemmeno ci provava.
Il fatto è che Aaron, sì, per un momento della sua vita aveva pensato di mandare tutto a 'fanculo e vivere grazie alla Street art, ma non erano i graffiti di per se a piacergli, o l'idea di andare in giro a vandalizzare edifici e nemmeno l'andare in giro sullo skate, ma la forza con cui vi si poteva raccontare una storia o trasmettere un messaggio.
Tutto ciò che comportava l'arte era la sua passione. L'aria con cui respirava.
Non amava solo le bombolette, ma anche i pennelli, i pastelli, il carboncino e persino la scultura. Anche solo una matita gli sarebbe andata bene. Ma l'arte ormai era solo un cassetto chiuso a chiave con un centinaio di lucchetti, recluso in un angolo della sua anima.
Il cellulare riprese a squillare per la milionesima volta con i Fall Out Boy che urlavano a perdifiato. Spazientito da tutti quei cazzo di pensieri che gli vorticavano in testa, Aaron spostò malamente con un calcio le lenzuola e sputò qualche capello finito in bocca. Rispose senza neanche guardare chi fosse appena in tempo che cadesse di nuovo la linea.
«Pronto», bofonchiò ancora intontito dal sonno.
«Aaron, brutto figlio ingrato, dimmi dove sei, altrimenti come ti ho fatto, ti distruggo. Hai idea di che spavento hai fatto prendere a tuo padre?». Aaron alzò gli occhi al cielo, sbuffando divertito.
Sì, certo, a suo padre, non a Meredith, sua madre, che lo aveva appena tartassato di una trentina di chiamate nel giro di dieci minuti.
«Te ne sei andato senza dirci una parola, e ti aspetti che io lo accetti? Non potevi aspettare che tornassimo a casa così ne avremmo parlato? Per non parlare dell'enorme buco che hai fatto nella parete di camera tua, pensavi che così ti sarebbe passato il prurito alle mani? Aaron, se ti prend»
«Mamma, respira e calmati», la interruppe, costringendosi a connettere il cervello, altrimenti quella donna lo avrebbe tartassato, fino alla morte.
«Calmarmi? Aaron, sei sparito nel nulla da un momento all'altro, credi avremmo lasciato correre? Che non ci saremmo preoccupati?».
La voce le si stava gradualmente calmando e così anche il respiro agitato di poco prima. Dall'altra parte sentì la voce ovattata di suo padre, sussurrarle qualcosa che, quando riprese a parlare, l'aiutò a tornare più lucida e non accecata dalla rabbia. «Stai bene, Aaron? Cosa è successo, tesoro? Aspetta un secondo che ti metto in vivavoce così può sentirti anche tuo padre».
Aaron si passo una mano sul viso, stropicciandoselo, ed emise un grugnito.
«Sì, mamma, sto bene. Mi dispiace essermene andato così, ma dovevo farlo. Era già da un po' che ci pensavo e così, adesso che ne ho avuta l'occasione, sono partito senza pensarci», spiegò tergiversando. Sapeva che se avesse spiegato il vero motivo della sua partenza sua madre sarebbe andata spedita a casa della Signora Adkins per sbranarla e nemmeno papà sarebbe riuscito a trattenerla dal farlo. Ailon non era mai piaciuta ai suoi, anche se non l'avevano mai fatto trasparire, lui l'aveva capito, e la loro rottura sarebbe stata la scusa perfetta per sua madre per non dover più sopportare la madre della sua ragazza.
I suoi genitori ascoltarono in silenzio e anche quando ebbe finito, continuarono a non proferire parola.
«Mamma? Papà?».
Sua madre si schiarì la voce. «Aaron, non accetto qualunque scusa tu voglia propinarci, va bene, abbiamo capito che dovevi andartene, anche perché altrimenti non l'avresti fatto, ma almeno dicci la verità. È successo qualcosa tra te e Ailon, vero?».
Perché sua madre doveva sempre cogliere il punto?
Aaron sospirò sconfitto nel microfono del telefono. «Diciamo che... Ci siamo presi una pausa. Una di quelle lunghe». Mentre parlava, sentì lo stomaco brontolare a causa dell'assenza di cibo prolungato. Si alzò e, incastrando il cellulare tra orecchio e spalla, iniziò a spogliarsi. Prese il borsone e pescò una T-shirt nera e dei pantaloncini da tuta. Infilò i vestiti mentre sua madre iniziava ad inveire contro la sua ormai ex.
«Ti sei sistemato da qualcuno, presumo. E, dimmi, hai abbastanza contanti o hai bisogno di qualcosa?». Questo era suo padre, Cole, silenzioso ma una presenza costante.
«Sono da un vecchio amico del Collage, Brandon, ricordate? Mi ha affittato una camera nel suo appartamento, a New York, non dovete preoccuparvi. Sì, è stata una decisione affrettata ma ne avevo davvero bisogno, per staccare. Mi dispiace davvero, ma devo capire cosa fare adesso e a New Haven non ci sarei riuscito. Devo trovarmi un lavoro e rincominciare, ma tornerò, okay?».
Mentre quelle parole gli uscivano di bocca, sentì salire in gola un sapore amaro di bile che gli fece salire le lacrime agli occhi.
«Mamma, davvero, scusami. Non volevo farvi preoccupare, ma se mi fossi fermato a parlarne con voi, mi avreste convinto a non farlo. Non vi sto incolpando di nulla, anzi, vi voglio un mondo di bene, solo che ho bisogno di tempo per stare da solo».
Aveva un terribile nodo alla gola e sentiva la testa girare.
«Hai fatto quello che ti sentivi, figliolo, va bene così. L'importante è che tu ci tenga aggiornati su come vanno le cose e non farai mai più una stronzata simile», disse suo padre gentile, con una punta di minaccia nella voce, cosa che fece sorridere Aaron.
«Ti vogliamo bene anche noi, Aaron. Telefonaci presto, okay? Non farmi venire lì a prenderti a calci in culo».
Aaron scoppio a ridere nel sentire la voce finta aggressiva della madre. Amava i suoi genitori ed era stato un vero stronzo nell'andarsene in quel modo, si sarebbe fatto perdonare in un qualche modo.
Si salutarono e  il ragazzo uscì dalla camera per cercare qualcosa da mangiare.
Strizzò gli occhi, quando la luce proveniente dalla parete a vetrata opposta alle camere, lo colpì in volto.
«Buongiorno, Principessa!», esclamò una voce alla sua sinistra, vicino all'isola della cucina.
Aaron cercò di ignorarlo, la sensazione di malessere provata durante la conversazione con i suoi genitori continuava ad opprimerlo; tuttavia la presenza di Drake in casa, pronto ad accoglierlo con un sorriso smagliante e a tratti strafottente, non lo aiutava di certo a calmarsi.
«Siamo loquaci di prima mattina, eh!», continuò a punzecchiarlo Drake, non vedendo arrivare alcuna risposta dall'altro ragazzo.
Cercò di ignoralo e si diresse verso gli armadietti della cucina e li aprì finché non trovò una tazza con una strana scritta sopra.
Si sedette su uno sgabello, afferrò il cartone del latte e dei cereali e iniziò a fare colazione.
Ma nonostante tutti i suoi tentativi di ignorarlo, sentiva il suo sguardo perforante addosso.
Drake era lì, il petto ben definito avvolto da una maglietta bianca smanicata che si confondeva con il colore latteo della sua pelle; i pantaloni grigi della tuta gli pendevano sui fianchi, lasciando in vista le ossa iliache sporgenti. Tutto ciò non aiutava Aaron a calmare il nervosismo, anzi, pressappoco equivaleva al buttare benzina sul fuoco.
Aaron, arrivato alla seconda porzione di cereali, non riuscì più a resistere.
«Qualche problema? », sbottò, lanciando uno sguardo di sfida.
L'altro, da serio, sfoggiò un sorrisetto sarcastico e inclinò la testa leggermente di lato.
« Io? No, no... ma forse tu sì. Hai dormito bene? Brandon mi ha detto che arrivi da New Heaven e che avevi bisogno di riposare, quindi spero di non averti disturbato. »
Mentre Drake parlava, Aaron avvertiva un leggero - a tratti quasi impercettibile - velo di derisione, ma non conoscendolo bene, non poteva esserne sicuro, decise quindi di non ribattere e di lasciarlo parlare.
«Sai, capisco di non averti fatto proprio una buona impressione ieri, ma non c'è bisogno di fare lo scontroso, cazzo. Anche perché in questo momento stai usando la mia tazza, mangiando il mio latte con i miei cereali, ma non mi sembra di aver fatto lo stronzo».
Punto sul vivo, Aaron abbassò lentamente lo sguardo sulla ciotola davanti a sé: i pochi cereali alla fragola rimasti galleggiavano nel latte.
Si sentì arrossire, non tanto per il rimprovero per niente velato da parte di Drake, ma perché veder imprecare quelle labbra gli aveva fatto smuovere qualcosa nel basso ventre.
Si schiarì la voce.
«Te li ripiegherò», rispose semplicemente, rincominciando a mangiare, mantenendo lo sguardo distante.
«Ho un'idea migliore», si accese Drake.
Aaron se ne accorse perché all'improvviso la stanza crebbe di luminosità. Lanciò uno sguardo all'altro, diffidente.
«Sai...», iniziò vago Ciuffo bianco, con fare innocente. L'atteggiamento duro di prima scomparso nel nulla. «Invece di ripagarmi, che ne dici di aiutarmi a rimettere a posto questo casino?», chiede indicando il mezzo casino ancora rimasto dalla festa del giorno prima.
Aaron era sbalordito. Distratto dall'idea del cibo, non aveva notato che Drake non aveva ancora ripulito l'open space come Brandon gli aveva imposto.
Ma del resto si era già offerto il giorno prima a dare una mano, e poi doveva distrarsi da quella sensazione che gli attanagliava lo stomaco.
«Okay, quando finisco di fare colazione, ti darò..».
Mentre parlava, vide Drake sfrecciare in camera sua e  uscirne cinque secondi dopo con un nuovo cambio d'abito: jeans stretti, maglietta aderente a maniche lunghe, un paio di stivaletti da biker e zaino in spalla.
«Ti ringrazio, Aaron, sei il migliore. Mi raccomando i prodotti per rimuovere le macchie sulla moquette sono sotto il lavandino in bagno, strofinala per bene, Brandon non sopporta che gliela si rovini. Io corro a lezione. Ciao!», disse afferrando la giacca di jeans appesa vicino all'ingresso, pochi istanti prima di scomparire oltre la porta di casa.
L'unica cosa sicura in quel momento, nella vita di Aaron, era che quello stronzetto lo aveva fottuto per bene.
Il biondo sbuffò pesantemente.
Solo lui poteva farsi fregare così bellamente.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 10, 2019 ⏰

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