I. Il funerale

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Nel pieno giorno di lutto, il Popolo Nomade dell'Est si era riunito ai piedi dell'Albero Vedente, i cui occhi fissavano la bara di pietra sul terreno. Le sabbie mobili lentamente trascinavano giù la parte inferiore della tomba, nel buio più totale. Solo la parte superiore rimase visibile. Mi sentivo smarrita. Yolmarik era stato come un padre per me. Fu lui il primo a esaminare il mio passato, sebbene non ne avessi quando ero neonata,  e fu lui a leggere il mio mio futuro. Per un attimo ricordai i momenti belli passati assieme: l'ora della consulta, il bagno nelle sabbie sacre del Popolo e, infine, il bacio sulla fronte, simbolo di consacrazione. Io, Nadya senza genitori, figlia acquisita di Sabina Shepard, ero definita la Santa Donna. Tuttavia i miei sedici anni non mi permettevano di sentirmi nominare tale, grande era il disagio che provavo quando mi definivano con quel nome.

Mi avvicinai lentamente alla tomba di Yolmarik, sigillata e ampiamente decorata dei più sfarzosi oggetti: collane d'oro, strumenti in cristallo, foglie di incenso. Il profumo di morte nell'aria mi fece scendere una lacrima sul viso, poi scoppiai a piangere a dirotto. Non potevo  accettare la morte di Yolmarik, proprio no. Mi asciugai l'amarezza sul viso con il velo che portavo avvolto attorno al capo.I miei occhi si andavano facendo sempre più rossi, il sangue ribolliva impaziente nelle vene di tutto il corpo. Per un solo istante, solo uno, ripensai a ciò che avevano detto le guardie. Di come Yolmarik fosse stato ucciso brutalmente, di come la sua carne fosse stata lacerata dalle molteplici sferzate di sciabola. Chi ha osato fare questo pagherà con la vita, dissi tra me e me. Feci scrocchiare sonoramente le dita delle mani, poi me le portai al viso. Tamburellavano ansiosamente sulle pallide gote. Gli occhi marroni si sfumarono e assunsero delle venature dorate. I capelli cominciavano a rizzarsi, come sospinti da una forza di gravità contraria. Dovevo calmarmi. Sospirai pesantemente e tutto parve ritornare alla normalità. Non volevo che la rabbia fuoriuscisse in un grido di imprecazione.

Il sole si andava nascondendo dietro le enormi sfere di materiale granuloso nel cielo, dalle quali scorrevano costanti cascate di sabbia dorata. Il vento si faceva sempre più forte, il clima cambiò repentinamente. In lontananza l'eco di urla di guerra si avvicinava sempre di più. Il rumore degli zoccoli dei cavalli sui sentieri di pietra gialla. Tutti i presenti al funerale si voltarono verso la fonte delle grida: dieci uomini, in sella a cavalli bianchi, avanzavano guerrieri verso di noi. Agitavano grottescamente le sciabole nell'aria. Gli uomini erano coperti di mille teli di tessuto nero, mentre solo un paio di corde li fissavano ai fianchi e attorno al capo. Solo gli occhi era possibile intravedere. L'Albero Vedente si svegliò dal suo sonno. I suoi occhi di due colori diversi ruotavano velocemente e ininterrottamente. Le fronde si muovevano, sospinte dal vento che pareva potesse sradicare anche gli alberi più mastodontici. Gli uomini si agitavano sempre di più, una tempesta arrivò. I volti erano bagnati dalla pioggia improvvisa mentre alle loro spalle i tuoni rimbombavano potenti.

Si avvicinarono all'Albero Vedente. A capo del gruppo di uomini vi era una figura massiccia, grassa,  anch'essa interamente rivestita di teli neri. Gli occhi azzurri risaltavano, distaccandosi dal colore della pelle olivastra. Agitò trionfante le mani piene di anelli preziosi. Tutti i presenti erano rimasti attoniti, tremavano come foglie gialle nel pieno della stagione aurunnale. L'uomo accarezzò la corteccia ruvida dell'Albero Vedente, ne fissava le striature marroncine e infine ne strappò un pezzo. Se lo portò alla bocca, lo provò a masticare.

Ciclo dei Rovi (Raccolta)Where stories live. Discover now