Lamusica rimbombava nelle orecchie, scandendo un tempo, un ritmo, che da passodopo passo era sostenuto... tum tum tum
Stavo correndo nel sentiero fangoso dietro casa, addentrandomi sempre più nella fitta boscaglia. Era tutto umido e molliccio lì dentro, e la terra non era quasi mai secca o il fiume – che scorreva parallelo al percorso – risecco. Era come un microcosmo assestante, e quando vi entravi, i tuoi sensi venivano sopraffatti: il veloce scrosciare del fiume, il rumore della pioggia in autunno e dei forti temporali in estate, gli uccelli che cinguettavano, i colori delle foglie, l'odore muschiato del sottobosco, la neve candida in inverno, la leggera umidità sulla pelle, il vento che ti accarezzava lentamente i capelli; una serie infinita di particolari che sembrava non finire mai.
Ricordo perfettamente quanto odiassi la corsa all'inizio. Il fiato che mancava, i muscoli che urlavano, il corpo che chiedeva un trapianto immediato di polmoni, il sudore, la puzza... Oddio, odiavo davvero correre. Poi però, dopo circa i primi venti minuti, i muscoli cominciavano a sciogliersi, il corpo si abituava allo sforzo e potevo godermi la natura che mi circondava, eliminare le energie negative (o tutte quelle cazzate di cui parlano alla TV) e pure rassodare il sedere, che per chi come me ha una dipendenza da tutto ciò che è considerato cibo, va alla grande.
Soprattutto per chi è alta un metro e ottanta per sessantasei chili come me, e sarebbe potuto andarmi anche bene se tutto quel peso si fosse concentrato da una parte diversa dal mio culo. Come le tette, per esempio.
Della mia seconda coppa C soffrivo parecchio e ogni giorno mi crogiolavo nel rancore di vedere a scuola sosia di Kim Kardashian e le sue trentaquattro sorelle(che sarebbero cinque poi... ) affogando i dispiaceri nel cioccolato ripetendomi che almeno io avevo il culo di marmo.
Ormai ero giunta a circa un quarto del sentiero, che si divideva ora in un bivio : a destra, verso le colline e il fottutoEverest-Monte, e a sinistra, in un camminamento che andava allargandosi fino a raggiungere, pochi chilometri più in là, il sentiero principale, dove andavano gli escursionisti e le famiglie alla domenica; decisi di tornare indietro, proseguendo per un chilometro verso sinistra e poi prendendo una stradina nascosta tra i rami.
Uscendo dal bosco, subito al suo limitare, si trovava una strada che costeggiava la recinzione posta sul giardino nel resto di casa mia, cui accedevo attraverso un cancelletto. Come sempre quindi, mi affrettai ad attraversare la strada ed ero circa a metà quando il suono di un clacson seguito da uno stridore mi fece fermare e voltare verso la causa di quel rumore.
Noi esseri umani sappiamo essere creature interessanti: davanti a una minaccia sulla pelle si rizzano i peli, il corpo si blocca, il terrore surclassa l'istinto e lo sguardo va alla ricerca del pericolo.
Almeno, questo è ciò che mi successe.
Niente flashback, tempo a rallentatore, film in bianco e nero della mia vita, sensi di colpa, peccati da espiare o rimpianti. Oh no, non ne ho avuto il tempo, e l'unico pensiero che sono stata in grado di formulare era totalmente rivolto altrove.
Cazzo, mamma mi uccide... se sopravvivo.
Non riuscivo a muovermi.
Ho chiuso le palpebre, il tempo di sbattere le ciglia, e quando ho riaperto gli occhi consapevole di star per diventare come una mosca schiacciata nel parabrezza del mio pick-up (che dovevo ancora finire di pagare) la macchina non c'era già più. Con una manovra di emergenza mi aveva superato, aggirandomi come si fa con le isole di traffico, strombazzando impazzita.