If Calling You

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The Avengers, 'If calling you' di HayleKowalski

Dalla storia:
Il silenzio gli avvolse, troppe parole avevano da rivolgersi, troppe scuse da dir... (continua)


If calling you.

Erano passate settimane da quando quello strano ometto era venuto al Complesso a portargli un pacco.
Non vi erano recapiti, solo una scatola di cartone chiusa con un bel po' di nastro adesivo.
Appena era arrivata era corso nella sua stanza, perché lo sapeva. Lui lo sapeva da chi proveniva, o per lo meno ci sperava.
Prese un coltello svizzero, di quelli muti-uso che teneva per le 'occasioni speciali' nel cassetto della sua scrivania.
Aprì in fretta l'involucro, con le mani tremanti e gli occhi lucidi. Sentiva il cuore esplodere in petto.
Sapeva che doveva essere sua.
Sapeva che era lui il mittente.
"Tony"
Un nome, il suo nome.
Scritto con l'inchiostro blu di una penna, probabilmente la prima che aveva trovato sotto mano.
Scritto velocemente forse, o forse no.
Ma non aveva importanza.
Anche tra un miliardo, lui riusciva a riconoscere quella calligrafia.
"Steve..." sussurrò in un filo di voce e stranamente roca.
Le mani ormai erano fuori controllo, il cervello non ragionava.
Voleva solo sapere cosa ci fosse scritto,
e così fu:

"Tony,
sono contento che tu sia tornato al complesso. Non mi piace l'idea che tu vaghi in una villa tutto solo. Abbiamo bisogno di una famiglia, gli Avengers sono la tua, forse più che la mia.
Io sono da solo dall'età di 18 anni.
Non mi sono mai integrato, nemmeno nell'esercito.
Ripongo la mia fiducia nella gente, forse... negli idividui e sono felice di dire che la maggior parte non mi ha mai deluso, motivo per cui nemmeno io posso deluderli.
Le serrature si possono rimpiazzare, ma sarebbe meglio di no. So di averti ferito, ho deciso di non dirti niente dei tuoi genitori per risparmiarti... ma ora capisco che stavo risparmiando me stesso. E mi dispiace. Spero che un giorno potrai comprendere.
Vorrei che la pensassimo uguale sugli accordi, dico davvero. So che fai quello che credi ed è tutto quello che noi possiamo fare e che dobbiamo fare.
Qualunque cosa accada, te lo prometto:
se hai bisogno di noi,
se hai bisogno di me...
io ci sarò."

Era davvero passato tanto tempo da quel giorno,
e il miliardario non aveva smesso di leggere quella lettera.
La leggeva talmente tanto spesso che ormai la sapeva a memoria, ma nonostante questo continuava ininterrottamente.
"Se hai bisogno di me,
io ci sarò."
Ripetè a voce alta guardando il pacco.
Beh, la lettera non era arrivata da sola.
In quella scatola di cartone, Tony aveva trovato anche un cellulare,
uno di quei telefoni che ti chiedi se davvero esistono ancora o se è stato portato via da negozio di antiquariato.
Era abituato al Touchscreen e quel cellulare aveva ancora i tasti.
Ma non aveva importanza.
Quello era il loro unico collegamento.
Solo che...
Ancora non lo aveva chiamato.
Ma cosa aspettava?
Cosa?
Aveva così una dannata voglia di vederlo, di sentirlo... di sentire la sua voce... anche solo il suo respiro...

Si sedette sul divano in pelle del soggiorno della sua villa.
Era tutto così silenzioso, così deserto... era da un po' che non si sentiva così solo.
Quel vuoto, quella solitudine gli pesavano sul torace, gli comprimevano le viscere, gli gelavano il sangue.
Chiuse gli occhi per un momento. Voleva abbracciarsi a Morfeo e non lasciarsi più andare, ma ogni volta che ci provava quelle terribili immagini tornavano a galla.
Eccoli di nuovo. I suoi genitori che venivano uccisi da quel viso che era tanto caro a Steve.
Quel viso, quel corpo che erano stati scelti al posto suo.
Ma era ovvio, chi mai lo avrebbe scelto?
Era egoista, prepotente, egocentrico,
chi lo avrebbe mai voluto al suo fianco?
Si alzò di scatto dal divano e barcollando per le vertigini andò verso il mobiletto dell'alcool.
Forse era per quello che era diventato un'alcolista, quella bevanda che ti pizzica la gola, che ti infiamma l'esofago c'era sempre stata a consolarlo nei momenti più dolorosi, a consolarlo e a fargli compagnia.
Si versò una dose generosa di vodka e subito ne prese un sorso bello capiente.
La testa gli cominciò subito a girare, ma non si fermò.
Non voleva fermarsi, non voleva continuare quel supplizio, anche a costo di svenire, non gli importava più di niente.
Quando si girò con un altro bicchiere bello pieno per tornare al divano, lo vide.
Era lì, illuminato da quella fioca luce della luna che entrava dalle tende malamente tirate.
Si avvicinò lentamente, quasi per paura, con timore e con le gambe tremanti.
"Steve..." sussurrò mentre sfiorava la superficie metallica dello scudo.
Passò le dita sui tagli inerti da Pantera Nera. Non erano troppo profondi però ben visibili.
Tracannò il terzo bicchiere. Ora cominciava sul serio ad avere alcuni problemi da sbronza.
Chiuse gli occhi e si lasciò cadere sul divano, in quella posizione poteva vedere lo scudo, il rosso scintillante ed il blu metallico a contatto con la luce debole creavano delle macchie di colore sul soffitto.
Si passò un braccio sul viso e cominciò a piangere silenziosamente, quasi per paura di poter disturbare quella quiete innaturale.

Non sapeva quanto tempo fosse passato ma era ancora buio fuori, e lui ormai era del tutto ubriaco.
Si sorreggeva a stento sulle proprie gambe mentre riempiva un ennesimo bicchiere di qualche liquido alcolico e mentre lo faceva, ad ogni sorso chiudeva gli occhi e il volto di Steve appariva.
Sorridente, bello come un Dio, con gli occhi acqua marina ed l'immancabile ciuffo anni 40.
Si maledì e mandò tutto il resto a quel paese.
Afferrò il cellulare, quello che gli era stato dato, quello di Steve e lo accese.
Aspetto qualche minuto che gli sembrò eterno e con dita tremanti andò in rubrica.
Un solo numero, nessun nome nulla di nulla.
Solo 10 cifre tutte messe una dopo l'altra.



Erano le sei di mattino, il sole si era alzato da parecchio su quell'isola.
Ma Steve non dormiva da giorni, tanto che non ci faceva più caso. Giorno o notte che fosse, lui se ne stava in quella stanza ad aspettarlo.
Era seduto come al suo solito sul bordo del letto che guardava la luce del sole entrare dalla finestra del suo terrazzino. Due grandi borse marcate sotto agli occhi a deturpargli il bel viso e lo sguardo stanco.
Stingeva tra le mani il suo cellulare ed ogni tanto controllava che non gli fosse arrivato un messaggio senza rendersene conto.
Questa storia andava avanti da quando aveva spedito la lettera a Tony, ed era peggiorata quando il suo amico Bucky si era fatto ibernare lasciandolo solo.
Guardò lo schermo, 6.43 di mattina. Chiuse gli occhi, ma appena lo fece il volto di Tony, il volto ferito di Tony gli apparve nella mente. Era lì da giorni, ogni volta che chiudeva gli occhi ricompariva. Era tutta colpa sua, quello sguardo, era tutta colpa sua. Si odiava, si odiava davvero tanto. Ma voleva proteggerlo, sapeva che nella sua vita c'era già stato tanto dolore, voleva solo evitarne dell'altro. Quanto era stato stupido. E ancora che chiedeva perdono sussurrandolo con voce roca con la testa tra le ginocchia e gli occhi in lacrime.

Abbassò lo sguardo velocemente quando sentì il cellulare muoversi nella mano che lo stringeva.
Non poteva crederci.
'Numero sconosciuto' recitava la schermata lampeggiante.
Con le mani tremanti ed il cuore in gola schiacciò la cornetta verde.



Sperava di essere troppo ubriaco per quello che aveva fatto, che la mattina dopo non si sarebbe ricordato di nulla.
Era quello che sperava così non avrebbe sofferto più di quanto giù non lo stesse facendo.
Solo che...
Quella voce...
Quella voce che tante volte era stata al suo fianco, che gli aveva sussurrato parole d'amore lievi, quella voce che dolcemente gli aveva detto e ripetuto ti amo un'infinità di volte...
Sicuramente, quella voce non l'avrebbe scordata neanche con i sintomi della sbronza.
'Tony' disse semplicemente.
Il suo nome, e quel nome che tanto odiava, che tanto gli ricordava chi era e che non poteva permettersi di fare passi falsi, gli parve un vento rigenerante, gli sembrò quasi che tutto il dolore che provava e che aveva provato potesse scomparire se solo quella voce avesse ripetuto il suo nome.
Il silenzio gli avvolse, troppe parole avevano da rivolgersi, troppe scuse da dirsi ma nessuno dei due aveva il coraggio di parlare.
'Tony.' Ripetè Steve quasi incredulo che potesse trattarsi davvero di lui, che finalmente lo aveva chiamato, che finalmente era lì, lontano ma vicino che poteva sentire il suo respiro e i rumori della città in lontananza.
Il moro non parlava. Non ci riusciva. Ogni parola che avrebbe voluto dire era spezzata nella gola incapace di salire e di farsi chiara tra le labbra.
Avrebbe voluto urlare quanto gli mancava, quanto lo amava ma nulla. Solo le lacrime riuscivano ad uscire da quel corpo morto, fluide e capienti come un fiume in piena.
"Tony." Ripeté un'altra volta con la voce rotta. Anche il biondo a quanto sembrava stava piangendo.
Il miliardario chiuse gli occhi, la stanchezza gli appesantiva le palpebre.
'mi manchi.' Soffiò sulla cornetta e poi riagganciò il telefono di colpo, quasi come se si fosse pentito, come se avesse fatto la cosa più imbarazzante del mondo.
Ma la realtà era diversa.
Non era ne pentito ne imbarazzato,
semplicemente,
non voleva che Steve lo sentisse piangere.

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