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L'arrivo di Settembre aveva portato con sè spiacevoli conseguenze, come l'abbassamento delle temperature e quelle fastidiose ed interminabili piogge cariche di umidità. Nello stato della Virginia, tutto era rimasto esattamente uguale a come l'avevo lasciato tre mesi prima. Il cielo era ancora grigio e scuro; una coltre di grosse nuvole faceva in modo che il sole non si vedesse e che le strade fossero fredde, oscurate dagli enormi grattaceli che si innalzavano verso l'alto. Quella mattina potevo vedere dalla finestra del mio appartamento la nebbia che andava man mano formandosi tra i palazzi.
Tenni la tazza stretta tra le dita mentre la portavo delicatamente alle labbra cercando di non bruciarmi al contatto con la bevanda calda. Il vapore soffiava con dolcezza sulle mie guance e lasciai che la calda sensazione mi accarezzasse la pelle. Il mio computer portabile era posizionato esattamente sulle mie ginocchia e, cliccando pigramente sul pulsante sinistro del mouse, scorrevo le fotografie che proprio quella estate avevo scattato.
L'avevo passata interamente a casa mia: Nashville, in Tennessee. Nulla di estremamente emozionante visto che l'avevo trascorsa facendo le stesse cose che ogni estate facevo: passeggiare tra le praterie sconfinate con il mio cavallo marrone, cenare ogni sera in un locale differente, scegliendolo in base al giorno della settimana, e fare il bagno al lago quasi ogni notte, urlando terribilmente ogni volta che una parte del mio corpo veniva a contatto con l'acqua ghiacciata.
Infatti, una terribile sensazione di sconforto e tristezza mi aveva assalito quando vidi l'email dell'Università dove mi comunicavano l'inizio delle lezioni, gli orari e i vari libri da comperare. Il primo anno non era stato esattamente come me lo aspettavo, anzi non era stato proprio come me lo ero aspettato
e, la consapevolezza di doverci tornare, riusciva a riempirmi lo stomaco di acidità. Eppure cercavo costantemente di mascherare il disagio che provavo nel dover tornare: sapevo quanto i miei genitori ci tenessero e quanto sperassero in un futuro migliore per me, in modo tale che diventassi una donna autonoma e responsabile, e non la solita "zoticona" standar del Tennesse.
I miei genitori lo scorso anno erano riusciti a trovarmi questo piccolo appartamento, che mantenevo con i soldi ricavati da alcuni lavoretti estivi, che si trovava ad alcuni isolati di distanza dal campus della Washington D.C University. Dopo aver riletto un'ultima volta la lista, chiusi il portatile, buttandolo poi sul divano rosso dietro di me.
L'appartamento era grande quasi quanto una stanza all'Università, l'unica differenza era che non dovevo condividerla con nessuna stupida coinquilina.
Mi guardai intorno e quasi caddi per colpa di un grosso scatolone ancora pieno lasciato al centro della stanza. Ero arrivata solo la sera scorsa, e non avevo avuto ancora il tempo di sistemare. Infatti, la stanza era in un totale disastro: masse di scatoloni e cianfrusaglie varie erano posizionate in ordine sparso sul pavimento, sui banconi della cucina o di fronte alla porta.
Afferrai un pacchetto di sigarette dalla mia scorta e ne presi una, infilandola tra le mie labbra leggermente screpolate. Cercai in vari scatoloni l'accendino, borbottando infastidita ogni volta che non lo trovavo. Infine, lo vidi; era posizionato esattamente su una mensola in alto e fregandome sul perchè si trovasse lì, lo afferrai.
Mi sedetti di nuovo vicino alla finestra e, mentre lasciavo che il fumo mi entrasse dritto nei polmoni, guardai fuori il veloce avanzare delle nuvole e la pioggia che dolcemente iniziava a picchiettare sul vetro. Nonostante tutto, il tempo era abbastanza caldo e piuttosto umido tanto da permettermi di stare scalza per casa e indossare semplicemente una camicia bianca, larga e lunga fino alle cosce.
Il telefono vibrò e seppi chi era ancora prima di rispondere, infatti quando sentii la voce squillante e severa di mia madre ne ebbi la conferma.
<< Eccoti finalmente, ti ho lasciato circa una decina di messaggi! Non rispondevi e mi stavo preoccupando >> sbottò, fingendo di essere arrabbiata.
Io sbuffai e prima di rispondere feci un altro tiro, più lungo dei precedenti. << Mamma mi hai praticamente lasciata sei ore fa, cosa vuoi che mi sia successo? Credo di essere una donna adulta ormai >>
<< Una donna adulta dei miei stivali! Hai sistemato la stanza? Ieri era un disastro >>
Guardai ancora una volta la stanza, immersa nel disordine più totale: << Certo >>.
Ascoltai mia madre parlare ancora per quelli che ai miei occhi sembravano minuti infiniti, annuendo e mormorando qualcosa in risposta di tanto in tanto. Infine ci salutammo e dopo averle detto che le volevo bene chiusi la telefonata.
Le lezioni sarebbero cominciate il mattino seguente alle nove, quindi non avendo niente da fare per le prossime ore decisi di mettere un po in ordine la casa. Mantenendo due scatoloni in una mano, una busta in un'altra e una seconda sigaretta in bocca iniziai a mettere in ordine partendo dai vestiti.
Alle quattro del pomeriggio finalmente terminai e la casa poteva essere definita pulita. Attaccai una copia degli orari delle lezioni sul frigorifero, evidenziando le materie in cui avrei dovuto impegnarmi maggiormente. Notai un nome diverso associato al professore di Letteratura, ma non ci feci più caso del necessario. Infatti quando mi fui allontanata dal frigo, l'avevo già dimenticato.
L'intero pomeriggio lo trascorsi leggendo e controllando di tanto in tanto i messaggi sul cellulare. Erano le sette di sera ed il sole, che nel tardo pomeriggio si era fatto vivo, stava pian piano tramontando oltre gli imponenti palazzi.
Alle nove in punto il mio corpo era appena stato coperto dalle lenzuola e la mia testa era stata riposta sul cuscino quando qualcuno bussò più volte alla porta, sbattendo le nocche sul legno con eccessivo furore. Mi alzai dal letto sbuffando, borbottando e maledicendo chiunque si trovasse oltre quella porta.
Prima di aprire guardai dallo spioncino e in un primo momento non ci credetti: infatti dovetti guardare una seconda volta per potermi accertare che fossero davvero loro.
Aprii la porta ed immediatamente fui invasa: i miei amici del Tennessee mi abbracciarono e si introdussero in casa, urlando il mio nome ed un stupida canzoncina sulla mia vita all'Università. Riconobbi tutti e vidi che ognugno di loro teneva in mano parecchie birre ed alcuni sembravano essere parecchio eccitati. Contai una decina di gente, e nonostante dal numero citato sembrassero poche, in realtà, per colpa del mio piccolo appartamento, sembrava che ce ne fossero almeno una trentina. I miei occhi si riempirono di lacrime che furono presto interrotte dalle braccia di Amelia, che mi stritolarano a tal punto che per me risultò difficile perfino respirare.
<< Questa casa è maledettamente triste! Non dirmi che stavi già andando a dormire, sono solo le nove di sera! >> esclamò la mia amica sedendosi con un salto sul divano.
Non capì esattamente quanta gente stesse ancora entrando e quanto alcool era stato introdotto in casa, ma in quel momento non mi importava affatto.
<< Potevi avvisarmi >> risi, spostandomi una ciocca di capelli dal viso. Portai poi una mano alla bocca, sorpresa, con il cuore che batteva ancora troppo veloce.
<< E che sorpresa sarebbe stata poi! Dai vieni qui, abbiamo portato delle birre e anche un po di erba se ti va >> disse facendomi l'occhiolino.
Ero pronta per sedermi accanto a lei quando fui bloccata da due forti braccia che mi fecero girare. Riconobbi il tocco delle dita, infatti non ebbi alcun dubbio su chi fosse.
<< Lei non fuma stasera >> affermò Carl, sorridendo ampiamente. Gli angoli della bocca gli si alzarono in un sorriso arrogante e divertito. I suoi capelli biondi erano nascosti dal solito cappello da cowboy che puntualmente indossava, e la sua camicia era leggermente stroppicciata.
<< Certo >> brontolai spingendolo con il braccio.
Lui rise e afferrandomi la vita mi spinse sul divano, accanto ad Amelia che in risposta si era già aperta una birra da sola.
Carl era il classico ragazzo stronzo che ogni madre consiglia alla figlia di non frequentare, a cui puntualmente lei non da retta. Ed era anche l'unico ragazzo che avessi mai avuto. Avevamo rotto proprio prima che mi trasferissi, ma il modo in cui sembrava desiderarmi nuovamente non mi sbalordii affatto. La nostra era una relazione complicata, era un continuo lascia e prendi che mi infastidiva ogni singolo giorno. Ma ormai ero abbastanza matura da capire che il mio sentimento verso di lui non era amore; sicuramente tra di noi c'era passione ma non amore. Ne ebbi ancora una volta la conferma quando sentii le sue dita lunghe ed esperte accarezzarmi le cosce scoperte.
Riuscii a liberarmi di lui abbastanza in fretta quando alcuni amici mi chiamarono. Nel frattempo qualcuno aveva acceso lo stereo ed il mio salotto era improvvisamente diventato una sala fatta apposta per ballare. Tutti sembravano divertirsi e quella serata mi ricordò l'estate che era appena passata, e la sensazione di non rivivere serate del genere per un bel po mi assalii.
Dopo aver salutato un paio di gente, raggiunsi nuovamente Amelia che stava fumando al centro del salotto. L'abbracciai da dietro e le baciai la guancia. Lei grugnì infastidita ed io risi di conseguenza, sapendo che non adorava essere toccata troppo.
<< TI ringrazio per aver fatto tutto questo per me. Avevo bisogno di dirvi addio come si deve >>
<< Hailee non sei ancora fatta e spari già tutte queste stronzate? >> mi prese in giro, facendo un tiro alla canna.
<< Ah, fanculo >>
La musica mi rimbombava nelle orecchie come se le casse stessero esplodendo dritte verso di me. Il calore della mia pelle si infiammò e quando terminai la terza birra iniziai a sudare. Vidi Carl ballare proprio di fronte a me. Iniziai a muovermi, chiudendo gli occhi e ondeggiando i capelli sapendo che stava guardando attentamente ogni mio movimento. Quando lasciai che le mie mani vagassero lungo tutto il mio corpo Carl mi raggiunse in fretta. Mi posò le mani sui fianchi e mi baciò. Un bacio lento e lungo che si trasformò poi in uno più appassionato. Con la sguardo dei nostri amici su di noi Carl cercò di trascinarmi verso la cucina, afferrandomi le cosce e sollevandomi dal pavimento. Mi posò sul bancone, ma scesi immediamente quando sentì il rumore del campanello e un forte bussare alla porta. Carl mi lasciò andare con difficoltà e mi seguí fino alla porta dalla quale oltre di essa qualcuno davvero incazzato stava bussando.
Aprii la porta, e rimasi sorpresa quando vidi un volto a me sconosciuto. Due occhi arrabbiati mi inchiodarono, e per colpa del buio che gli oscurava il volto non riuscii a riconoscerne il colore. La sua altezza mi bloccò alla porta ed il suo sguardo aveva validi motivi per intimorirmi. Mi riparai dietro la porta di legno e tutto quello che successe dopo avvenne in pochi secondi.
Lui sbattè la mano sulla porta dalla quale mi stavo riparando e l'aprì con uno scatto che mi fece indietreggiare.
<< Non so in quale fottuto country club tu credi di essere- la sua voce era roca e lenta, fece una pausa nella quale guardò dietro di me -ma in questo palazzo non è ammesso tutto questo cazzo di rumore. Vedi di cacciare tutti entro cinque minuti o chiamo un fottuto poliziotto e vi faccio arrestare per possesso di Marijuana >> sbottò furiosamente.
Lanciò un'ultima occhiata a Carl dietro di me, poi si voltò sparendo oltre la porta di legno che si trovava di fronte alla mia.
Non avevo replicato per tutto il tempo, ed ero rimasta a fissare la porta per qualche secondo. A distrarmi fu Carl che, con un'improvvisa veemenza, mi spinse in modo da oltrepassarmi.
<< Che cazzo di coglione. Vado a dirgliene quattro a quello lì... >> sbottò, con un accento e un linguaggio tipico del mio paese.
Lo bloccai, ricavando un'occhiataccia da parte sua.
<< No, Carl. Ha ragione, ho davvero esagerato questa volta. E' meglio che andiate >> borbottai, passando le dita sul suo braccio, cercando di calmarlo.
Lui rise arrabbiato e mi sorpassò, entrando nuovamente in casa. Entrai anch'io e appena raggiunsi lo stereo lo spensi, ricavando varie lamentele dai parte dei presenti.
<< Mi dispiace ragazzi ma la festa è finita, vi ringrazio per essere venuti- urlai, in modo tale che mi sentissero tutti -portate i vostri culi fuori, adesso >> aggiunsi, ridendo.
Tutti mi salutarono e ringraziai ognuno di loro. Quando raggiunsi Amelia la abbracciai forte e lei ricambiò macchiando la mia maglietta con le sue lacrime.
<< Tu che piangi, è una specie di scherzo? >>
<< Ma fanculo, stronza. Mi mancherai >>
<< Anche tu- dissi sinceramente. L'abbracciai un ultima volta. -Chiamami ogni tanto >> aggiunsi quando era quasi sparita oltre la porta.
<< Cazzo, sai che non lo trovo mai quell'aggeggio. Devo averlo perso alla Baia >>
Risi, infine chiusi la porta dietro di lei e rimasi sola nel silenzio del mio appartamento. Respirai profondamente; mi lasciai cadere sul divano e fissai per qualche minuto il soffitto bianco e ampio, facendomi annebbiare la vista dalla profondità dei miei pensieri.
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Teach him.
FanfictionSe solo avessi saputo. Se solo avessi potuto evitarlo. Ma come avrei potuto. E' come quando tenti di sopprimere te stessa al semplice piacere di respirare, ci provi ma non ci riesci mai. E per me respirare poteva essere paragonato a lui. Un semp...