Prologo

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11 giugno 1996

San Paolo, Brasile.

Camminava in mezzo a quel cumulo di macerie senza una meta, senza nemmeno sapere cosa stesse facendo. Metteva un piedino davanti all'altro in modo incerto, con le piccole gambe paffutelle e sudicie che tremavano, anche se non faceva freddo. Si chinò per mettere le manine su un pilastro di ferro che le sbarrava la strada e scavalcarlo per continuare il suo cammino. Continuava a guardare davanti a sé, inconsapevole, per fortuna, dell'orrore che la circondava. Camminava su quelle gambette incerte, era l'unica cosa che sapeva fare. Non avrebbe potuto fare altro, era l'unica cosa che i suoi genitori erano riusciti ad insegnarle. Ancora non poteva rendersi conto che non li avrebbe più rivisti. Non avrebbe più rivisto quella bella signora dagli occhi dolci che la cullava tra le braccia per farla addormentare, e nemmeno quel signore alto e bello che la faceva volare in alto, come un piccolo aeroplano. No, non ci sarebbero stati più.

Sentiva in lontananza un piccolo brusio, che si faceva sentire, man a mano che camminava, sempre più forte, sempre più vicino. Ad un certo punto si ritrovò in prossimità di un'apertura nel muro, una spaccatura dove, in precedenza, una porta scorrevole consentiva l'accesso alle persone dentro il grande centro commerciale, ormai distrutta dalla deflagrazione, e lì si fermò riuscendo a scorgere il cielo azzurro. La luce del sole l'accecò e si coprì gli occhi con una manina paffuta, sentendo la carezza leggera del vento sopra il suo corpicino coperto da brandelli di quello che doveva essere un vestitino azzurro a righe bianche. All'improvviso un'ombra la coprì completamente e alzò d'istinto lo sguardo per vedere l'uomo, vestito tutto di blu, che la guardava con una strana espressione negli occhi.

L'uomo si portò una ricetrasmittente alla bocca e premette il pulsante. "Ho trovato una superstite qua dentro, la prendo e la porto subito fuori, non sembra ferita, ma è ridotta male."

Una voce metallica arrivò dalla ricetrasmittente. "Ok, passo e chiudo."

Il signore in blu si piegò su di lei e la prese teneramente tra le braccia. "Vieni piccola, ti porto fuori da questo posto."

Lei lo guardò con i suoi grandi occhi castani, non capendo cosa stesse dicendo, ma si sentì confortata da quelle braccia forti che la sollevarono. Uscirono all'aperto dove una signora vestita di bianco corse loro incontro, prese la bambina dalle braccia dell'uomo e la portò in un'ambulanza parcheggiata al delimitare dei rottami del centro commerciale, dove una stupida bomba era esplosa togliendo la vita a quarantaquattro persone e ferendone più di cento.

La signora dai capelli neri, raccolti in una coda alta, sembrava avere fretta. La depositò sopra un lettino ed esaminò le piccole braccia e le gambe cicciottelle, rilevando, per fortuna, che non aveva nessun tipo di lesione. Aveva a malapena qualche graffio dove il vestitino si era strappato, in corrispondenza dell'addome, evidentemente le era rimasto impigliato da qualche parte e le si era aperto quasi completamente, rivelando il pancino tondo e il pannolone sporco di terra. Aveva la schiena quasi interamente ricoperta di sangue, ma non era il suo. La donna continuò la sua visita puntandole una luce negli occhi. La piccola rifiutò quella luce fastidiosa sbattendo quegli occhi meravigliosi e protendendo le braccia davanti al faccino per coprirsi da essa. La donna le aprì la bocca per esaminarle i denti, aveva appena gli incisivi superiori, inferiori e i premolari.

"Povera piccola, non puoi avere più di due anni!" La guardò mettendole una mano sulla testa, dove i capelli neri e lisci, lunghi fino alle spalle, erano sporchi di sangue, la avvicinò a sé e le diede un bacio sulla fronte. "Chissà quale mano dal cielo ti ha salvata da questo orrore."

La Rosa AmbrataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora