Atto II

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I can't help but love you
Even though I try not to
I can't help but want you
I know that I'd die without you

(Ruelle - War of Hearts)

Malia lasciò andare il cucchiaio, che cadde sulla tovaglia con un tonfo, e si alzò in piedi imprecando tra i denti, mentre una smorfia di dolore le deformava il viso.
«Che cosa ci fai qui?» fece qualche passo indietro.
«H-ho... ho sentito Braeden parlare con Deaton. Di te».
«Cosa?! No, non può essere, lei non l'avrebbe mai fatto, lei non...»
«Non è colpa sua, ho ascoltato per sbaglio la loro conversazione e poi quando è saltato fuori il tuo nome, io...» si schiarì la voce per sciogliere il groppo in gola «io avevo bisogno di vederti».
Lei lo guardò smarrita, aprì e richiuse la bocca ma non aggiunse altro, se non un lungo sospiro.
«Malia, dobbiamo parlare» provò ad avvicinarsi, ma più Stiles avanzava più lei indietreggiava, finché Malia non si ritrovò a sbattere contro il ripiano della cucina. Allungò allora un braccio per fermarlo, prima che fosse troppo vicino.
«Stiles, ti prego, va via».
Il rifiuto lo prese a pugni, ma lui non cedette sotto i suoi colpi, forte delle parole dette da Deaton. Il Druido era una persona saggia, forse la più saggia che avesse mai conosciuto e se per lui Stiles era la soluzione a qualsiasi cosa fosse capitata a Malia, non poteva far altro che tentare.
Avrebbe voluto abbracciarla e stringerla fino a romperle e rompersi tutte le ossa, ma non poteva.
Prese la sua mano ancora tesa a mezz'aria tra le proprie e ne baciò il palmo; a quel gesto Malia si ritrasse, come scottata.
«Che ti è successo?».
«È tardi per chiederlo» fu la secca risposta della ragazza.
«Malia, fino a poco fa credevo che tu fossi a Tucson e che probabilmente non ti avrei più rivista. Ci sei andata almeno in Arizona o era tutta una montatura?» la tristezza stava lasciando il posto a qualcos'altro.
«Non mi riferivo a questo,» indicò se stessa con un ampio gesto «ma non ha importanza ormai».
«Starò bene, se è ciò che ti interessa sapere, quindi perché non torni a vivere la tua vita?».
«La mia... ma di cosa stai parlando? Non andrò da nessuna parte finché non mi dirai cosa cazzo hai fatto dalla sera in cui hai affrontato la Lupa del Deserto a oggi» era senza fiato, ma non stava urlando. Rabbia, preoccupazione e paura avevano aumentato i battiti del suo cuore.
Malia sorrise amara e gli si avvicinò, tanto che potè vedere le lacrime riempirle gli occhi e sentire sul viso l'odore dei cereali al cioccolato.
«Fottiti» disse decisa e fece per scansarlo, ma Stiles le afferrò d'istinto il polso.
Malia gridò dal dolore e lui la lasciò andare sorpreso.
«Scusa, mi dispiace io... io non sapevo che...» boccheggiò confuso.
Malia lo ignorò e sollevò invece svelta la manica della felpa, guardando il braccio fasciato da varie angolazioni.
«Le ferite di cui ha parlato di Deaton, sono queste?».
«Stiles, torna a casa» gli indicò la porta continuando a tastare le bende.
«Sai che non posso farlo...».
Malia alzò gli occhi su di lui per un lungo istante, in silenzio.
«Va bene resta pure, ma ho bisogno di sedermi» disse poi con tono neutro.
Si sentì disorientato da quel repentino cambio d'atteggiamento, ma evitò di farglielo notare e la seguì in salotto, sedendosi sul divano accanto a lei.
Malia appoggiò la testa sullo schienale e, da quella posizione, Stiles potè vedere i lunghi segni rosacei attraversarle il collo in senso verticale. La luce del sole, unita al colore scuro dei capelli, metteva ancora di più in evidenza il suo pallore cadaverico e le marcate occhiaie che le contornavano gli occhi stanchi.
Rimasero fermi per un tempo che a Stiles sembrò infinito. Lei lo conosceva bene, odiava aspettare, ma se sperava di sfinirlo si sbagliava, perché non si sarebbe arreso.
Non più, non dopo l'ultima volta.
«Sai cosa succede quando un licantropo trova la sua àncora?» gli domandò spezzando il silenzio.
«Riesce a controllare l'istinto di uccidere. Perché me lo chiedi?».
Lei non rispose, ma con uno strattone tirò la stoffa del pantalone, arrotolandola fin sopra il ginocchio. Stiles vide spuntare altre bende.
«Cristo...» imprecò a mezza voce «quanto sono estese?».
«Abbastanza».
«Quanto?» disse allora aspro e quasi sentì un ringhio gorgogliare nel petto.
Alla sola idea che qualcuno le avesse causato tutte quelle sofferenze sentì il sangue arrivare alla testa. Raramente gli aveva dato quel genere di preoccupazione, ma si rese conto di quanto forte e diverso da tutti gli altri fosse il senso di protezione nei suoi confronti.
«Prova a immaginare...» lo sfidò, le labbra incurvate in un falso sorriso.
L'immaginazione non era mai stata il suo forte, non in quel genere di situazioni. Afferrò con prepotenza la maglia di Malia e la sollevò, scoprendo che anche l'addome e il petto erano fasciati e macchiati di sangue.
«Dimmi chi è stato e ti giuro che andrò a cercarlo di persona».
«E poi lo ucciderai?» chiese beffarda, costringendolo a mollare la presa.
«Forse».
Malia gli andò vicino, a pochi centimetri dal viso, per poterlo guardare dritto negli occhi. Era il suo modo di fargli capire che non poteva scappare da ciò che stava per dire. L'aveva già fatto un'altra volta, su quello stesso divano. Ricordava tutto di quella notte: l'asfissiante caldo estivo della California, il profumo della sua pelle, le goccioline di sudore tra i suoi seni nudi, la sua risata, quello sguardo e il "ti amo" sussurrato a fior di labbra.
«Sono stata io» disse con tono piatto e l'immagine di quel dolce ricordo sfumò via, cancellata dalla nuova terribile consapevolezza.
«Cosa?» chiese senza rendersene conto.
«Hai capito bene, sono stata io» disse dopo essere tornata al suo posto.
Era stata lei. Lei si era ridotta in quelle condizioni. Scartò le domande ovvie e scontate, ce n'era una più importante, forse l'unica che contasse davvero.
«Perché non stai guarendo?».
Malia lo guardò di traverso.
«Conosci la risposta».
«Voglio sentirla uscire dalle tue labbra».
«È già uscita dalle mie labbra. Andiamo Stiles, tu sei un detective, sai fare di meglio».
«Ti sembra il momento di scherzare?».
«Non sto scherzando, è solo che... è difficile» battè un pugno sul bracciolo del divano imprecando.
Quelli che a chiunque sarebbero sembrati sbalzi d'umore non erano altro che il maldestro tentativo di nascondere le sue vere emozioni. Lo faceva spesso quando stavano insieme: indossava la maschera di cinico sarcasmo e fingeva che il dolore non la toccasse. Peccato fosse davvero una frana a recitare.
Si asciugò gli occhi e sospirò per impedirsi di continuare a piangere. Stiles provò ad accarezzarla, ma lei lo scansò brusca.
Dentro il suo cuore Malia era ancora sua e lui le apparteneva, ma non riusciva a staccarsi di dosso la sensazione di essere diventato un intruso.
«Sto bene, non sei obbligato a toccarmi» disse fra le lacrime.
«Credi che io mi senta in dovere di fare una cosa del genere?».
Malia non sembrò ascoltarlo. Si era sollevata e non faceva che torturare l'orlo della felpa, che riconobbe - era la sua -, guardando fuori dalla finestra con il volto corrucciato. Stava pensando a qualcosa di molto importante e allo stesso tempo doloroso e Stiles decise di aspettarla senza farle pressioni.
«Tu... tu eri la mia àncora» disse infine, dopo una lunga pausa.
Sarà stata la disperazione malcelata in quelle parole, la lacrima solitaria che le solcò il viso proprio mentre provava a regalargli un sorriso - nonostante tutto -, Stiles sentì il cuore frantumarsi.
«Ma io sono la tua àncora, lo sarò sempre» le disse con voce tremante.
Malia scattò in piedi e prese a girare per la stanza, parlando più a se stessa che a Stiles.
«No, non funziona così. No. Io ti amavo così tanto e tu non c'eri, non ci sei stato quando avevo bisogno di te, poi ho saputo che lui sarebbe arrivato» prese fiato e si fermò. «Ho visto una speranza, ma non era destinata a durare. Forse io non avrò mai la mia occasione, forse me lo merito» il corpo scosso dai singhiozzi, Stiles non le permise di cadere, la prese fra le braccia e la strinse forte al petto.
«Perdonami» sussurrò con il volto immerso tra i suoi capelli, finché Malia non si calmò e fece un passo indietro. Stiles non la lasciò comunque andare, trattenendola per le spalle.
Aveva voglia di piangere, ne sentiva il bisogno, ma non poteva crollare senza trascinarla con sé.
«Malia, perché l'hai fatto?» chiese cauto.
«Ho perso il controllo. Senza di te a tenermi ancorata alla mia forma umana mi sono trasformata all'improvviso, in pieno giorno e... e allora ho ricordato le parole di Scott».
«"Il dolore ci rende umani"» ripetè meccanicamente la frase che molte volte aveva sentito pronunciare al suo migliore amico.
«Ha funzionato, ma non avevo messo in conto qualcosa di fondamentale: il motivo per cui avevo dato di matto mi avrebbe anche impedito di guarire».
«E qual è questo motivo?»
Malia sospirò e abbassò per un attimo lo sguardo.
«Io sono una falla nel sistema, non sarei dovuta venire al mondo. No, non dire niente, ascoltami. Se io non fossi mai nata, la famiglia Tate sarebbe ancora viva e tu... tu non saresti coinvolto in questa storia, potresti vivere il tuo vero amore senza sensi di colpa».
«Il mio vero amore? Malia, che stai dicendo?» le prese il volto tra le mani, per impedirle di fuggire ancora una volta, e lo strinse fino a sentire la forma dei denti attraverso le guance scarne.
«Sei tu il mio vero amore» poggiò la fronte contro la sua e si costrinse a non baciarla, sapeva che l'avrebbe scacciato se avesse osato tanto.
«Ipocrita» la cupa rassegnazione sul suo viso gli riempì il cuore di angoscia.
«No, Malia ascolta, sono stato stupido. Avevo paura che nessuno potesse capirmi e credevo che in fondo tu meritassi di meglio e...»
«Smettila, è solo il mucchio di cazzate che racconti a te stesso. Tu ami ancora Lydia e io ti ho concesso tutto il tempo e lo spazio per capirlo, che altro vuoi da me?» lo spinse via, ma lui non ci fece caso, troppo spiazzato, la mente in subbuglio per far combaciare i pezzi del puzzle e vedere il quadro completo.
«Tu non puoi dire sul serio... non puoi! Io e Lydia siamo solo amici, devi credermi. Perché sarei qui?».
«Non lo so, probabilmente ti senti in colpa. Ma non devi, ero già un disastro prima di incontrarti» asciugò le ultime lacrime con la manica della felpa.
La sua felpa blu portafortuna. Una mattina aveva trovato accanto a sé Malia, dormiva stringendola tra le braccia come se fosse un orsacchiotto di peluche. Sentì una fitta allo stomaco.
«Cosa vuoi che faccia?» allargò le braccia esasperato, i nervi sfilacciati e pronti a cedere.
«Torna alla tua vita, continua a fare quello che hai fatto fino ad oggi, io non resterò ancora per molto a Beacon Hills» disse lei con semplicità. Fin troppa semplicità.
«Che idiota, avevo già la soluzione...» biascicò tra i denti. «Be', immagino ci sia una zia ansiosa di conoscerti che ti aspetta in Arizona» gli sembrò di poter sentire il veleno sgorgare tra le labbra, ma Malia ignorò il sarcasmo.
«Seguirò Braeden. Non ho doti eccezionali, ma sono forte e posso lavorare per lei».
«Ah, va bene. Passerai il resto della vita a muoverti da un posto all'altro uccidendo persone che non conosci per soldi, mi sembra un buon piano».
«Lo è!» disse risoluta.
«E non pensi che sia da egoisti?» sbottò. «Non pensi alle persone che...?»
«Persone?! Quali persone?» lo fronteggiò con occhi fiammeggianti.
«T... T-tuo padre!».
«Mio padre starà meglio senza di me, l'ho quasi ucciso due volte da quando ho ripreso ad avere gli incubi» si portò una mano alla bocca e masticò un'imprecazione: le era sfuggito qualcosa di troppo.
Stiles respirò a fondo, il momento della resa dei conti era arrivato. Stava per tuffarsi nel mare in tempesta dalla cima di una scogliera alta decine di metri, sotto di sé c'erano scogli appuntiti e acqua scura come la notte, ma doveva farlo.
«Me» disse in un sospiro «pensa a me».
Malia non esitò neppure un istante a rispondergli.
«L'ho fatto, Stiles. Ho pensato a te, più di ogni altro, e ho messo la parola fine a questo capitolo - il nostro capitolo - per il tuo bene».
Testarda e orgogliosa come una Hale, lo sfidava con lo sguardo, proprio come un tempo aveva fatto Derek.
Lui però non aveva ancora raggiunto gli scogli.
«Dunque è questo che sono per te? Un capitolo chiuso?».
«Chiuso» ribadì.
Stiles accorciò la distanza che li separava, avvolse tra le dita uno dei lacci sdruciti, che penzolava molle dal cappuccio della felpa - la sua felpa, la felpa di Malia - e lo tirò piano verso di sè.
«E allora perché indossi ancora i miei vestiti?».
Non c'era cattiveria, non c'era vittoria in quella domanda, solo una richiesta, l'ultimo disperato tentativo di far breccia nel muro che li divideva.
Malia si morse le labbra. «Sono oggetti come altri, non hanno alcun valore».
Stiles tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il suo mazzo di chiavi: attaccati all'anello principale c'erano un portachiavi con un pupazzetto dai colori sgargianti e la linguetta argentata di una lattina.
«Vedi questi? Sono oggetti molto importanti, mi ricordano una persona speciale. Da quando l'ho persa ho deciso di portarli sempre con me, per non dimenticarla, per non dimenticare il sorriso che aveva la sera del nostro primo appuntamento. In quel periodo mio padre era pieno di debiti e non potevo permettermi di portarla a cena in un bel ristorante. Provai a spiegarle la situazione, ma lei rise, mi guardò come se fossi matto e mi disse di prenderle un Happy Meal e una lattina di cola» fece una pausa e deglutì per scacciare il nodo in gola che era tornato a fargli visita. Malia invece era immobile e fissava le chiavi con gli occhi lucidi e le sopracciglia aggrottate.
«Non mangiava un hamburger da più di otto anni» proseguì «e, a quanto pare, aveva dimenticato il sapore delle bibite gassate, perché reagì con stupore al primo sorso di coca-cola e mi guardò sorpresa come una bambina. Ho... ho pensato che fosse la persona più dolce e... e pura che avessi mai incontrato» non era abituato a versare lacrime e aveva gli occhi e la gola in fiamme.
«Noi due non possiamo essere un capitolo chiuso, non così, non in questo modo».
«Stiles, ti prego non rendere tutto più difficile» disse con voce rotta.
«Non capisci? Io non voglio perderti» lei scosse la testa. Testarda come una Hale.
Le mise una mano sulla nuca per attrarla a sé e, inaspettatamente, non incontrò alcuna resistenza. Disegnò con il pollice un arco dalla guancia fino alle labbra morbide, che si schiusero al suo tocco.
«Guardami negli occhi e dimmi che non mi ami; se lo fai ti prometto che uscirò da quella porta e non mi vedrai mai più» sussurrò ad un soffio dal suo viso e raccolse con un bacio le ultime lacrime salate che lo bagnavano.
Lei allora si sgretolò tra le sue braccia come un castello di sabbia, smise di lottare contro se stessa si abbandonò a lui in un bacio frenetico che sapeva di disperazione.
Malia che lo baciava, Malia che lo toccava, accarezzava, mordeva, non sentiva altro che lei, dentro e fuori di sé, il mondo sarebbe potuto crollare in quell'istante, Stiles non se ne sarebbe accorto.
Si lasciò cadere tra i cuscini del divano trascinandola con sè. Era finalmente a casa, aveva schivato gli scogli, affrontato la corrente gelida ed era arrivato incolume sulla riva.

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