2016
Apro gli occhi. Sono ancora su quel lettino, legata con una corda. Sono ancora viva! Ma dov'è Jacob? Era qui un attimo fa. Con la testa do un'occhiata a quello che mi circonda. Non è cambiato niente, solo che al posto delle pareti metalliche d'argento rimangono solo delle luride pareti sporche di ruggine. Anche la corda con cui sono stata legata sembra essersi impolverata, come tutti i mobili e gli oggetti qui dentro. Cerco di liberarmi, ma inutilmente. Devo trovare un modo per uscire da qui e raccontare tutto su Jacob. D'improvviso mi viene un'idea, anche se non sarà molto igienica. Con i denti mordo la corda cercando di slegarla, lasciando che tutta la polvere si attacchi alla mia lingua. Anche se dopo un po' comincia a farmi male la mascella non permetterò a quel pazzo di cavarsela, e pensando a questo continuo il mio lavoro. Finalmente la corda si slega, e la mia mano destra si libera. Con quest'ultima slego le altre corde e con un po' di fatica mi alzo. Sputo in un secchio la polvere che mi è rimasta nella bocca e salgo le lunghe scale. Purtroppo la porta che vi è alla fine non si apre, avrei dovuto capirlo, Jacob mi aveva specificato che era chiusa a chiave.
«Oh... andiamo...» Dico mentre cerco di manomettere la serratura, ma inutilmente.
Allora provo a scendere le scale e a tornare in quel laboratorio per cercare una chiave. Metto in disordine ogni cassetto, ciascuno è sporco di polvere ed è pieno di insetti. Ma insomma... Jacob non pulisce mai qui? Eppure prima mi sembrava che fosse tutto pulito... Cerco ovunque ma non trovo una chiave. Quando ormai mi sono rassegnata a rimanere qui per sempre, il mio sguardo punta un piede di porco appoggiato al muro. Questo potrebbe funzionare... Lo afferro e ritorno alla porta di legno in cima alle scale. Con il piede di porco riesco ad aprire la porta. Ce l'ho fatta! E adesso farò arrestare Jacob. Rimango stupita quando mi accorgo di non trovarmi nella mia città. Mi trovo in un quartiere piuttosto inquietante... qui c'è puzza di spazzatura, e le finestre delle case hanno tutte il vetro spaccato, mentre alcune non hanno neanche la porta. Era ovvio che Jacob mi portasse in un luogo sconosciuto...
Stranamente è giorno, dalla posizione del sole saranno più o meno le quattro del pomeriggio. Chissà, magari sono stata tutta la notte in quel laboratorio terrificante. Cerco di uscire da quel quartiere, ma mi viene subito un colpo quando qualcuno mi afferra il piede. Mi volto di scatto. È un povero anziano seduto su un pezzo di cartone. Deve stare molto male...«Signorina... la prego... mi dia dei soldi...» Dice con la poca voce che ha.
«Ehm... io... non ho niente... mi dispiace.» Rispondo, per poi andarmene via a passo veloce.
Quel vecchietto mi ha fatto venire i brividi, però un po' mi fa pena... vorrei poter fare qualcosa per lui...
I miei pensieri vengono interrotti quando una specie di macchina mi sfreccia davanti, e penso che mi abbia anche suonato con il clacson.«Ma pensa te...» Bisbiglio.
Com'è maleducata questa gente... e che macchine strane! Questa non è la mia New York City. In effetti... questa città è molto carina. Al di là di quell'oscuro quartiere ci sono tanti grattacieli e alberi, e il tempo è piacevole. Solo non capisco il perché di quelle macchine assurde...
Cammino per il marciapiede dando un'occhiata a tutto ciò che ho intorno. Qui la gente si veste in modo strano e mi guarda come se avessi commesso un reato. Vedo alcune ragazze più o meno della mia età, e provo ad avvicinarmi per chiedere informazioni.«Scusate, potrei sapere dove siamo?» domando gentilmente.
Le due mi guardano e ridono, osservando il mio vestito e gli scalda muscoli. Che ha che non va il modo in cui mi vesto? Lascio perdere e vado da un'altra parte. Il mio sguardo punta su un signore vestito elegante.
«Mi scusi, buon uomo, saprebbe dirmi dove ci troviamo?» provo a chiedere cercando di essere il più educata possibile.
«Certo. Siamo a New York, a Manhattan.» Risponde.
È esattamente dove vivo, questa non è un'altra città.
«Oh, la ringrazio.» Faccio io.
«È la benvenuta. Spero di esserle stato d'aiuto.» È così bello che in questo mondo sia rimasta ancora qualche persona gentile.
Sorrido e me ne vado. A quanto pare questa è New York. Cammino senza sapere dove andare, voglio solo capire cosa sta succedendo. Questo posto è così diverso da come me lo ricordavo... mi siedo su una panchina vicino ad un parco giochi. Devo riflettere. Cosa aveva detto Jacob? La sua pozione a cosa serviva? Cerco di ricordare, e all'improvviso mi viene in mente un ricordo, ma dubito che sia corretto. Forse ho bevuto troppo a quella festa... ma proviamoci lo stesso. Mi alzo dalla panchina e mi avvicino ad una signora che sta spingendo la sua bambina sull'altalena.
«Mi scusi, in che anno siamo?» le domando.
Lo so che è una domanda strana, ma spero che mi risponda.
«Ehm... si sente bene?» mi chiede, un po' preoccupata.
«Sì sì, sto benissimo. La prego, è importante.» Insisto.
«Siamo nel 2016.»
D'improvviso non mi sento più tanto bene. Cos'è, uno scherzo? Sono sicura che quella signora si sia sbagliata, oppure che questa sia tutto una presa in giro. Infatti Jacob avrà organizzato tutto perché voleva divertirsi un po', ha chiesto alle persone con cui ho parlato di dirmi quelle informazioni e ha inventato delle nuove macchine e... tutto questo è ridicolo. Non mi reggo più in piedi e svengo.
Quando riapro gli occhi mi ritrovo per terra, e alcune persone mi stanno fissando preoccupate.
«Guardate, si è svegliata.» Fa una signora.
Mi stropiccio gli occhi e con fatica mi alzo.
«Che è successo?» domando confusa.
«Le ho detto in che anno siamo e lei è svenuta.» Risponde la signora con cui avevo chiesto le informazioni.
«Oh, sì, scusate, va tutto bene.» Faccio io per non dare molto nell'occhio.
«È sicura?» domanda un signore.
«Sicurissima.» Affermo.
La gente ritorna con sforzo a fare quello che stava facendo, senza staccarmi un momento gli occhi di dosso.
Allora è vero: sono nel 2016.