War of love

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La guerra incendiava da ormai due anni ad Ilio

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La guerra incendiava da ormai due anni ad Ilio.
Gli Achei, vittoriosi nelle loro pesanti armature di bronzo, da un lato e gli Iliensi, sfiniti dal lungo assedio, dall'altro.
Si combatteva aspramente, giorno dopo giorno, interrompendosi solamente quando giungeva l'inverno ed il freddo avvolgeva le membra dei soldati.
Le alte mura di Ilio parevano invalicabili agli occhi del diciassettenne Ionathan, o più comunemente soprannominato Jace.
Dovevano essere in un totale di circa cinquecento uomini quel giorno. Gli Iliensi, accatastati ai piedi della città, altrettanti.
Si domandò come avrebbero fatto lui ed i suoi compagni a farle crollare.
Più volte era rimasto rapito dai racconti degli aedi sulla leggendaria città di Ilio e la sua famiglia reale. Aveva ascoltato le vicende di Priamo e dei suoi cinquanta figli; Ettore in particolare. Ettore elmo abbagliante, domatore di cavalli; primogenito ed erede al trono.
O, almeno, prima che Paride ritornasse dal suo esilio.
Paride il seduttore, bello quanto un Dio; colui a cui fu predetta la distruzione di Ilio e che, infine, compì il suo destino rapendo la bella Elena.
Rapendo...
Se era amore quello che la moglie di Menelao provava per il giovane Paride perché non concederglielo? Non era forse il dio Eros a decidere le sorti dei loro cuori?
Ma di questo neanche Jace ne era certo.
Anche lui amava. Amava una donna che da ormai due anni non poteva più sfiorare. Una donna di cui forse non gli apparteneva nemmeno più il cuore. Una donna che forse mai più sarebbe riuscito a rivedere.
Una donna che portava il nome di Klarisse, stella del mattino.
Oh la sua Clary... Cosa avrebbe mai dato pur di rivederla ancora e ancora. Pur di placare quello strazio nel petto.
Eppure sapeva di non essere l'unico a soffrire per amore.
Gli occhi del giovane indugiarono qualche secondo sul ragazzo al suo fianco che scrutava timoroso le file nemiche, agitando nervosamente la lancia.
– Se non la smetti finirai per uccidere qualcuno – disse.
Sospiró, togliendosi l'elmo di bronzo e ravvivandosi la folta criniera. Quel giorno faceva troppo caldo per combattere sotto quell'armatura così calda e pesante.
– Jace! – urlò il ragazzo, ricomponendosi – Si può sapere cosa stai facendo?
Fra tutte le file degli Argivi solo Ionathan non portava l'elmo sul capo.
– Combatto meglio senza – gli rispose, sollevando le labbra in una espressione di pura spavalderia.
Il giovane ricambiò con un sorriso e lo imitó, scoprendo i capelli corvini appiccicatigli sulla fronte e sul collo dal sudore. I suoi occhi celesti si illuminarono come due stelle. – Allora vediamo chi dei due vivrà più a lungo – disse.
Lanciò l'elmo per terra, in segno di sfida.
Jace ebbe un tuffo al cuore – Alexandros... Alec, ti prego...
Ma ormai era troppo tardi per replicare.
L'eroe Achille, piè veloce, urló di rabbia e squarciò il silenzio che tra l'esercito acheo e ilienso si era creato gettandosi contro quest'ultimo.
Fu il primo ad attaccare, seguito poi da Patroclo, suo più caro amico, ed, infine, da una caotica mischia di Argivi e Dardani.
– No! – urlò Alexandros, spalancando gli occhi. – L'hai... – sussurrò – L'hai visto?
Ionathan sapeva perfettamente a chi si stesse riferendo.
Due occhi da gatto, capelli scuri, carnagione olivastra e più alto della metà dei suoi compagni; Magnus non passava di certo inosservato.
– Mi ha detto che si sarebbe schierato in prima fila e...
Una lancia puntó veloce verso il petto di Alexandros, la quale, se non fosse stato per Ionathan, lo avrebbe trapassato da parte a parte.
– Attento! – urlò, buttandosi sull'amico.
Precipitarono entrambi a terra, l'uno sull'altro. L'asta passó sopra le loro testa con un sibilo, andando a conficcarsi a terra.
Jace si rialzó subito in piedi, tirando su con se Alexandros.
Il fragore della battaglia adesso infuriava intorno a loro; rimbombando nelle loro orecchie come il suono di mille tamburi.
– Se continuerai a preoccuparti per lui ti farai ammazzare. È un adulto; ed un bravo soldato, sa badare a se stesso – lo rimproverò.
Ma Alec non lo sembrava stare ascoltando.
Non aveva ancora sfoderato la spada, al contrario di Jace, che adesso la stringeva in mano così forte da sbaincarsi le nocca. Parava i colpi degli Iliensi che gli si gettavano contro, proteggendo l'amico che quel giorno sembrava proprio volersi fare ammazzare.
Un uomo barbuto, dall'armatura dorata si avventò sul ragazzo dagli occhi celesti, tirando dritto su di lui come un toro.
– Alec! – urlò, riscuotendolo.
Il ragazzo sobbalzò e sfoderò agilmente la spada, colpendo il suo avversario sulla spalla. Cadde a terra, folgorato dal dolore.
– Sto bene – disse.
Si tolse dalle spalle l'arco di legno e incoccò una freccia, mirando ai nemici Iliensi.
Jace fece un sorriso sghembo e pregó Apollo arciere di guidare le mani dell'amico nella battaglia.
Tre frecce sibilarono nel cielo e tre nemici caddero al suolo, morenti. Ma poi, quando la quarta freccia stava per essere scoccata, qualcosa frenò l'Argivo Alexandros, facendogli spalancare gli occhi dall'orrore.
Ionathan seguí lo sguardo dell'amico e, proprio sotto le immense mura della città di Ilio, vide ergersi in piedi Achille il glorioso; la lunga asta puntata verso un curioso giovane prostrato a terra.
– Magnus! – urlò Alec con voce tremante.
Dimenticò ogni cosa e corse verso l'amato, veloce come se Hermes gli avesse messo le ali ai piedi.
Jace osservava frastornato la scena e per poco la sua distrazione non gli costò la vita. Abbatté con un colpo il Dardano che gli si era scagliato addosso.
Il cuore gli battè più forte nel petto quando l'amico raggiunse l'eroe acheo, inserendosi tra Magnus e la sua asta.
Vide Achille lanciare uno sguardo assassino ad Alexandros, forse irritato o ferito nell'orgoglio da quel gesto.
"No", pensò mentre un'immagine del corpo straziato e senza vita del ragazzo cominciava a prendere forma nella sua testa.
Si lanciò verso di loro con uno scatto, abbandonando la spada e la la lancia.
Il dolore impresso nello sguardo celeste del ragazzo lo schiaffeggiò in pieno cuore.
Quali sacrifici si potevano compire per amore?
E Jace; Jace per coloro che amava avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Achille sbraitava, come un cane a cui hanno tolto l'osso.
– Levati dalla mia preda – lo sentì dire quando si fu avvicinato abbastanza – Spostati o subirai l'ira di Achille, figlio di Teti; caro a Zeus.
– Tu non toccherai questo uomo, Achille. Io lo amo; e credo che anche tu sappia cosa si sia capaci di fare per amore – gli rispose Alec, lasciando cadere la faretra a terra.
Si ergeva come un dio benefico su Magnus, riverso dolente ai suoi piedi.
Ionathan correva verso di loro come mai aveva corso prima.
– Esistono vari tipi di amore – disse Achille. E poi si preparò al corpo mortale, caricando la spada per darle potenza.
Fu allora che Jace si sentì perire. Non sarebbe mai riuscito a raggiungere l'amico in tempo. Non sarebbe riuscito a fermare quel corpo mortale. Non sarebbe riuscito a salvare Alexandros, l'unica famiglia che gli era rimasta.
Urlò, consumando quel poco fiato che gli era rimasto nei polmoni. Le gambe dolevano ad ogni balzo.
Urlò; e vide Alec voltarsi verso di lui. "Scusami", sembrava voler dire il suo sguardo. "Scusami per il dolore che la mia morte ti porterà nell'animo."
Ma Jace sapeva che, per quanto ci avesse provato, non sarebbe mai riuscito a perdonarlo.
"Io non posso vivere senza di te, Alec" avrebbe voluto sussurrargli.
Come avrebbe potuto vivere senza una parte del proprio cuore?
Eppure la spada non si macchiò mai del sangue dei due giovani.
Fu Patroclo, il magnanimo, a non permetterlo.
– Achille - disse sconvolto, quando notò la scena – Achille smettila.
E il Pelide cessò perfino di respirare.
– Patroclo... – sussurrò – È un nemico. E lui un traditore.
Il forte figlio di Menezio sorrise, levando la spada dalle mani del guerriero. – E vorresti forse negare l'amore a questi due ragazzi?
Ionathan, che nel frattempo era giunto là dove lo scempio si stava compiendo, si accasciò a terra, in ginocchio, e si scoprì piangere lacrime di gioia.
– Guarda – continuò Patroclo – Non vedi quanto dolore una sola morte può causare?
Indicò Jace con la mano, rivolgendogli uno sguardo solidale.
E lui provó un senso di profonda gratitudine verso quell'uomo così gentile e colmo di comprensione.
– Alec... – farfugliò poi, abbracciando l'amico illeso. – Per un attimo... Io...
– Almeno avresti vinto la scommessa – provó a sdrammatizzare Alec.
Jace ebbe l'impulso di tirargli uno schiaffo.
– Non dire sciocchezze, tu...
Magnus tossì all'improvviso e Alexandros sussultò.
– Sta bene? – domandò Patroclo.
– No – rispose il ragazzo dagli occhi azzurri, ancora scosso. – Sta morendo...
– Si rimetterà. Io stesso mi occuperò della sua ripresa – disse Achille. E poi, rivolgendosi a Patroclo, aggiunse: – Non so quanto sia grande il sentimento che lega questi uomini, ma so quanto sia l'amore che lega il mio cuore al tuo e di come si lacererebbe la mia anima se tu morissi.
Sorrise il Pelide; sorrise anche Patroclo.
La battaglia, intorno a loro, era cessata, conclusasi senza vincitori né vinti per quella che sembrava la millesima volta.
Jace ringraziò tutti gli sacri dei per ciò che avevano fatto quel giorno.
Li ringraziò per aver finalmente riunito i pezzi del cuore di Alec; risparmiando Magnus e riunendolo a lui al di là delle avversità. Li ringraziò perché il giorno seguente non avrebbe dovuto seppellire il suo migliore amico ne piangere la sua morte.
Li ringraziò per aver portato un po' d'amore in quell'aspra guerra.
Afferrò una mano dell'amico e la strinse forte, assaporandone il calore della vita.
– Giuro che se provi a ripropormi una scommessa del genere sarò io ad ammazzarti. Tu non morirai prima di me. – gli sussurrò in un orecchio – E da domani guai, e ripeto, guai, se oserai toglierti quell'elmo dal capo.

 – gli sussurrò in un orecchio – E da domani guai, e ripeto, guai, se oserai toglierti quell'elmo dal capo

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Non chiedetemi come sia venuto fuori questo piccolo sclero; è venuto e basta. La Patrochille era d'obbligo morale metterla, la Malec lo stesso, nonostante la coppia focale sarebbe dovuto essere la Jalec :"""3
PATROCHILLE IS LIFE *^*

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