The oblivion of death.

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Specchi. Specchi ovunque intorno a lui, lo circondavano, gli rinfacciavano la sua ingenua stupidità e la crudeltà del destino. Si soffermò sul suo riflesso opaco: i capelli biondi incollati alla fronte imperlata di sudore, un rivolo di sangue che fluiva dall'angolo delle labbra, i suoi occhi azzurri, lucidi, disorientati, velati di confusionaria sorpresa. Era convinto che non avesse potuto riaprirli mai più. Fissava lo specchio di fronte a sé in attesa di veder sgorgare le lacrime. Aveva pianto tanto nella sua misera esistenza, oh si se aveva pianto, tanto che probabilmente aveva esaurito le lacrime, adesso che ne sentiva davvero il bisogno, adesso che aveva perso tutto.

(Rahel)

Avvertì il suo nome risuonare cupo nell'oblio che lo circondava. Si guardò intorno, incespicò sui suoi passi quando fece un giro su se stesso per verificare ciò che lo circondava come se potesse esserci davvero qualcuno. Che gesto squallido. Le sue labbra si incurvarono in un sorriso amaro.

(Svegliati, Rahel.)

Non si voltò più. Non c'era nessuno, lo sapeva. Era un'illusione.
Aveva... dormito? Tutto questo tempo... Ma quanto? Nemmeno poteva immaginarlo. Quanti minuti, ore, giorni, anni, aveva trascorso nell'oblio da quando aveva chiuso gli occhi? Quanti, da quando aveva sentito per l'ultima volta la voce di Jophiel? Quanti, da quando aveva avvertito l'ultimo tocco delle sue dita fredde sul volto?
Quell'angelo... la sua voce rauca, spezzata, lo aveva cullato fino a quando i sensi lo avevano abbandonato completamente, lo ricordava, finché la morte lo aveva sfiorato con il suo gelido soffio. Gelido come le lacrime di Jophiel che gli avevano accarezzato la pelle un istante prima che la coltre d'oscurità lo avvolgesse definitivamente... No, Rahel non lo aveva mai visto piangere. Era L'angelo a cui le lacrime ghiacciavano dentro, fino a soffocarlo, corrodendo la sua anima, riducendola a una tela squarciata sulla quale ogni giorno un nuovo graffio portava via un vecchio pezzo di colore. E la sua sofferenza interiore era così inadatta al nome cui rispondeva...
Jophiel. Mai sarebbe esistito titolo più adatto a lui. Era il nome dell'angelo Portatore di Bellezza, e non poteva essere stato un caso che la sua avvenenza incantasse chiunque. Era uno splendore abbagliante, una meraviglia assassina che catturava la preda nelle sue spire e la dilaniava fino all'incertezza, la induceva a perdere il senno verso l'annullamento del pensiero razionale: la ragione non poteva coesistere quando si aveva dinanzi una tale ammaliante bellezza. Ma Rahel non si era affatto innamorato di lui solamente per gli occhi ipnotici dalle sfumature del fuoco intenso, né per il suo viso tanto perfetto da apparire surreale, armoniosamente disegnato da tratti spigolosi e affilati, assemblati, tuttavia, con inaspettata morbidezza, né tantomeno per i sinuosi riccioli corvini che incorniciavano quei lineamenti fiabeschi. No, non era questo che lo aveva fatto invaghire di Jophiel, non era stato neppure il suo slanciato fisico statuario, degno di un angelo, bensì la tristezza che si celava aldilà di quegli occhi, la malinconia e la scia di disperazione simile a stalagmiti di ghiaccio che si lasciava alle spalle. Da questo punto di vista sembrava essere un dannato più che un angelo. Era diverso. Era tetro, spento, aveva sepolto le sue emozioni col passare dei secoli, si era rassegnato all'idea di essere destinato alla sofferenza, eppure cercava ancora di proteggersi, di restare in piedi nonostante le ferite. Rahel lo aveva visto lottare contro demoni e angeli, contro se stesso e ciò che gli stava a cuore, contorcersi sotto il peso del macigno che gli gravava sulle spalle, che gli opprimeva la coscienza, lo aveva visto mostrarsi sempre forte e deciso, la testa sempre alta, la voce sempre ferma, mentre gli occhi bui, invece, nascondevano la sua immancabile paura di non farcela, di non essere abbastanza. Jophiel era stato la sua ancora di salvezza, la roccia cui aggrapparsi durante la tempesta che lo aveva investito distruggendolo, l'unico a cui si fosse lasciato andare, l'unico di cui si fosse fidato senza ripensamenti. L'unico angelo capace di essere davvero stronzo, quello a cui piaceva illudere solo per procacciarsi la soddisfazione di veder soffrire gli altri almeno un decimo di quello che aveva patito lui. Lo stesso che, un momento dopo aver spezzato il cuore alla sua vittima, era capace di accarezzarle il viso con la dolcezza più sincera, facendola sprofondare in quel baratro di sofferenza che era l'amore, l'amore verso di lui, attirandola nuovamente in errore, verso il peccato, sussurrandole parole dolci con la sua voce incantevole. Ma quella fermezza doveva essere solo una copertura, una corazza che lo proteggeva dalla debolezza e dalla frivolezza del mondo esterno. Peccato che quell'armatura che si era costruito fosse un'arma a doppio taglio: lo proteggeva si, ma verso l'interno si erano protesi spunzoni di metallo che ad ogni colpo lo laceravano. Quella maschera che ormai si era incollata al suo splendido volto riusciva a celarne il dolore, ma i segni restavano, le cicatrici non scompaiono mai. Eppure quell'armatura si era crepata, quando si era lasciato sopraffare dalle circostanze, quando le ferite dell'anima si erano tramutate in squarci, quando la sofferenza aveva surclassato l'orgoglio... E Rahel a quel punto era stato troppo stanco per confortarlo, anche solo per tenere gli occhi aperti, il suo respiro era stato troppo debole per poter parlare, la testa gli era sembrata infinitamente leggera, sgombrata dai suoi soliti complessi, aveva smesso di ascoltare i suoni che lo circondavano, le voci gli erano sembrate tanto ovattate da essere incomprensibili, sebbene la voce del moro risuonasse ancora chiara alle sue orecchie «Apri gli occhi bastardo, non è affatto bello come scherzo.» aveva detto tra i singhiozzi. L'angelo in fin di vita stentava a crederci, ma quella voce era inconfondibile... e stava piangendo davvero. Avrebbe voluto guardarlo e rassicurarlo, asciugargli il volto e sorridergli, come lui aveva fatto tante volte quando era stato Rahel a piangere, nonostante tutti gli insulti su quanto fosse un bambino viziato e senza scorza, su quanto fosse debole e indegno, lui gliele aveva sempre asciugate, le lacrime. Invece non riuscì a muovere un muscolo, nemmeno il cuore si dibatteva più... l'ultima pulsazione era risuonata nella sua cassa toracica come un gong, un suono sordo che annunciava la fine di tutto. «Sei uno stronzo a lasciarmi così.» furono le ultime parole di Jophiel... Non avrei mai voluto, pensò, un pensiero che non sarebbe mai arrivato al destinatario. Poi il tepore era sgusciato via dal suo corpo in modo crudele, l'aveva percepito, come se un freddo pungente lo stesse spingendo verso l'oscurità che lo avviluppava lentamente coi suoi morbosi tentacoli, straziandolo, soffocandogli il respiro, imprigionandolo, finché tutto svanì. Lì, tra le braccia dell'angelo che, nonostante la sua eterna bipolarità, era riuscito a farsi amare come nessuno. E Rahel sapeva che neppure la morte avrebbe scalfito quel sentimento.

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