Erano passati quindici, maledetti anni da quel tragico incidente in cui persero la vita Augusto e Adele. Clara, quel giorno, era entrata nell'ottavo mese di gravidanza: si trovava seduta al primo banco di una chiesa a lei ben nota che, adesso, non riconosceva più. Poco più in là, due bare: dentro c'erano i suoi genitori. La tristezza era tangibile: c'era chi sospirava, chi piangeva e chi fissava, incredulo, le casse. Mentre il prete continuava la funzione funebre, un urlo squarciò il silenzio di quel luogo di culto.
«Giacomo, mi si sono rotte le acque. Chiama il 118! Sbrigati!»
Il prete interruppe la funzione, mentre Giacomo si avviava fuori dalla Chiesa con il telefono incollato all'orecchio: «Pronto, mandate un'ambulanza alla Chiesa di S. Tolomeo. Mia moglie sta per partorire» disse con la voce spezzata dall'affanno.
Dopo tre giorni di sofferenza, Clara teneva Kevin in braccio. Nei mesi successivi al parto, ogni sera raccontava al bambino di sé e Giacomo, della sua adolescenza trascorsa in Puglia e di Augusto e Adele, i nonni che non era mai riuscito a conoscere. I suoi eroi! Il piccolo ascoltava stupito i racconti di sua madre, tentando di mostrare tutta la sua felicità, pur non riuscendovi. A due anni, infatti, doveva ancora dire la prima parolina.
Il primo giorno di primavera del 1990, Clara e Giacomo si recarono dal pediatra, insieme al bambino. Dopo una serie di analisi, il medico stabilì la propria diagnosi: Kevin era nato muto. La tristezza non voleva lasciare quella casa: prima la morte dei suoi genitori e ora il figlio che tanto aspettavano non poteva parlare. Clara ogni notte piangeva. Era inconsolabile!
I cinque anni, per Kevin, erano passati da un pezzo. Per molto tempo, come favola della buonanotte, aveva richiesto la storia dei suoi nonni, morti due giorni prima della sua nascita: amava quella favola e amava sua madre, che lo accontentava sempre. Tra sei giorni avrebbe festeggiato il suo quindicesimo compleanno: con il calar dell'oscurità, quando le luci si spegnevano e il riflesso della luna traspariva dalle tende rosse con le farfalle che volavano come il soffio del vento, leggeva una poesia e poi si addormentava lasciando spazio all'immaginazione. Quella sera aveva scelto la sua preferita:
La notte è silenziosa
e nel suo silenzio
si nascondono i sogni.
(Kahlill Gribran)
Era il giorno del suo quinto compleanno: come tutte le estati, si trovava in Puglia, nella tanto adorata casa dei nonni Augusto e Adele e vi avrebbe passato quasi tutto il tempo. Era una stupenda villa a due piani con una grande mansarda tutta per lui, dove magia e realtà si fondevano e nascevano i sogni: era il suo luogo incantato.
Una mattina di agosto Kevin scese dal sottotetto per fare colazione: il sole era già alto nel cielo e le nuvole formavano tante candide figure geometriche , in netto contrasto col cielo turchino. Si sedette al grande tavolo della veranda, già apparecchiato e prese una tazza di latte con un goccio di caffè. Quando il liquido scuro colorò l'uniforme biancore, il bambino sorrise, certo che in fondo fosse semplice dare un tocco di vita allo squallore quotidiano.
«Kevin, questo sarà il nostro segreto» disse Adele, a voce bassa, riferendosi alla concessione di bere il caffè. «Mi raccomando non dire niente a quella brontolona di mia figlia, altrimenti ci sculaccia».
La donna e il bambino si guardarono in volto e scoppiarono a ridere.
«Nonna Ade, dove sta nonno Ago?» chiese Kevin, con la vocetta dolce e curiosa tipica dei fanciulli.