Chapter Four

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Aaron mi chiese apprensivamente di spiegargli le indicazioni stradali per potermi accompagnare a casa.
Cercai di illustrargli dettagliatamente tutte le strade che avrebbe dovuto percorrere dopo essere uscito dall'autostrada, ma spesso mi confusi oppure mi ingarbugliai nelle mie stesse parole.
Sia l'imbarazzo che il pessimo senso dell'orientamento mi stavano rendendo ridicola in quel momento.

«Che ne dici se prima andiamo a mangiarci qualcosa?» domandò vedendo la mia evidente difficoltà
«Ehm... okay.» risposi esitando
«Bhe se la cosa non ti fa piacere, non siamo costretti ad andarci...» replicò con un tono lievemente irritato
«No, assolutamente. Il fatto è che...» dissi lasciando in sospeso la frase
«Che?» domandò nuovamente, impaziente di sapere le mie ragioni di insicurezza
«Ho paura che mia madre si preoccupi per me...» accennai piano
«Tutto qui? Non faremo tardi, te lo assicuro.» affermò con l'umore evidentemente più sollevato
«Allora andiamo, onestamente ho una certa fame!» risposi rassicurata dalla sua affermazione

Mentre aveva lo sguardo concentrato sulla guida, mi lasciò a rimuginare nel mio silenzio.
Stare in sua compagnia mi metteva di buon umore, mi sentivo a mio agio e in quel momento non avrei voluto essere con nessun altro che non fosse lui.
Nonostante fossimo stati due perfetti estranei, tra di noi c'era un nonsoche di sintonia.
E oltretutto si era preoccupato per me, cosa che pochi avrebbero fatto di propria spontanea volontà, soprattutto in quell'occasione.
Lui era lui, non avrei potuto compararlo con nessun altro.

«Ehi va tutto bene? Ti vedo pensierosa...» proferì lui, interrompendo di netto le mie riflessioni
«No nulla, mi ero incantata.» risposi sperando che non fosse in grado di leggere nel pensiero
«Pizza o hamburger?» domandò nuovamente cambiando radicalmente discorso
«Scelta ardua, ma tutto sommato direi pizza!» esclamai tutta contenta
«Allora conosco un posticino proprio niente male!» aggiunse tutto pimpante
«Sia chiaro, ti devo un favore.» sentenziai con un tono alquanto serio
«Ma non se ne parla neanche, offro io, altrimenti dove andrebbero a finire le vecchie buone maniere da gentiluomo?» domandò scherzosamente
«Non si può proprio discutere con te!» bofonchiai mentre facevo il broncio con il labbro inferiore della bocca, esattamente come quando ero piccola

Mentre Aaron imboccava una strada secondaria per uscire dall'autostrada, accese la radio.
Proprio in quel momento trasmettevano "R U Mine?" degli Arctic Monkeys, una delle mie canzoni preferite.
Senza curarmi del suo sguardo incuriosito, iniziai a cantare in modo totalmente naturale le parole di quella canzone che conoscevo a memoria.
La mia performance era completa di microfono invisibile tra le mani, assoli eseguiti totalmente a caso su una chitarra anch'essa invisibile e strani movimenti eseguiti con la testa.
Aaron mi guardava divertito, ma non osava interrompermi.
Non appena la canzone terminò ci guardammo dritti nelle pupille per parecchi istanti e poi scoppiammo entrambi in una risata fragorosa.
Quello sguardo, lo ricordo tuttora.
Fu il primo di tanti, ma entrò in me e mi incendiò dentro.
Incise indelebilmente nel lato sinistro del mio petto, il suo nome, così chiaro, così evidente, così indimenticabile.
In breve tempo arrivammo alla destinazione annunciata da Aaron: una modesta pizzeria demodé di proprietà di alcuni anziani di origine italiana.
Fummo accolti molto calorosamente dai proprietari, che propabilmente ci avevano scambiati per una coppia di fidanzatini.
Il locale era deserto, forse per l'orario decisamente inappropriato, ma comunque ci accomodammo ad un piccolo tavolo isolato.
In breve tempo ci servirono le nostre pizze e noi iniziammo a parlare del più e del meno.
Gli sguardi che ci scambiavamo continuamente erano spontanei e carezzevoli.
Percepivo in ogni attimo una complice intesa.
Alle domande che ci ponevamo trovavamo sempre un compromesso che ci metteva d'accordo entrambi.
Avevamo gusti molto simili e ciò avvalorava la mia tesi: "Gli opposti non si attraggono, si fanno la guerra."
Finalmente dopo tanto tempo riuscivo a sentirmi libera di non mentire e di non adeguarmi alla massa.
Con Aaron al mio fianco le lancette dell'orologio erano in perenne corsa.
In ogni attimo riuscivo a cogliere nuove sfumature di lui, che mi portavano sempre di più ad esserne attratta.
Ero presa da lui a tal punto da non aver nemmeno dato uno sguardo per mezzo nanosecondo allo schermo del mio smartphone, cosa che capitava molto spesso quando mi sentivo esclusa e annoiata.

«Sfortunatamente dobbiamo proprio andare, si è fatto tardi...» accennò con la sua voce leggermente troppo bassa e sfiorandomi il dorso della mano
«Perché che ore sono?» domandai con un tono affranto
«Piccola, si sono fatte le dieci.» sussurrò con le labbra semi socchiuse

Un brivido mi corse lungo la spina dorsale.
Quel soprannome, pronunciato dalla sua voce, mi fece rabbrividire.
Ci affrettammo ad uscire dalla pizzeria, salutando i gentili signori che ricambiarono con il loro accento inglese un po' storpiato.
A quell'ora il cielo era già oscurato e cosparso da migliaia di stelle.
Ogni stella, quella notte, parlava di noi.
Era la nostra notte.
Stanca della giornata impegnativa, mi accucciai sul sedile, appoggiai la testa al finestrino e mi addormentai lentamente.
Sentivo le sue grandi mani calde sfiorarmi piano le cosce scoperte ed era la sensazione più piacevole che avessi mai provato.
Girovagò per tutte le stradine della mia città in cerca di qualcuno che potesse dargli delle indicazioni più accurate, poiché non voleva disturbare il mio sonno.
Alla fine, arreso di non poter trovare qualcuno a quell'ora di notte, quando giunse nel quartiere residenziale, passò in rassegna ogni citofono per poter trovare il mio cognome.
Ci impiegò parecchio tempo, ma alla fine riuscì a trovare la casa giusta.

«Sei dannatamente sexy Madelyn Young.» sussurrò lievemente, senza accorgersi che da un po' stavo solo fingendo di dormire e poi riprese modificando il tono di voce: «Madelyn sveglia, siamo arrivati.»
«Di già?» bofonchiai, mentre cercavo di fingere di essermi appena svegliata
«Purtroppo . Mi è piaciuto tanto stare in tua compagnia.» proferì facendomi arrossire le guance
«Anche per me.» balbettai tutta impacciata dall'imbarazzo
«Aspetta, ti lascio il mio numero, così se hai voglia puoi chiamarmi...» disse prendendo una penna dal cruscotto e scrivendo sullo scontrino della pizzeria
«Ci sentiamo allora e grazie infinite!» esclamai sorridendogli, prima di scendere dalla sua macchina
«Ah Madelyn un'ultima cosa...» disse affacciandosi dal finestrino della sua auto: «Sei molto graziosa quando dormi!»

Aaron accese il motore dell'auto e in poco tempo già era scomparso dalla mia visuale.
Abbassai lo sguardo sull'unica cosa che mi era rimasta di lui: uno scontrino stropicciato con scritte in penna dieci cifre.
Lo continuai a rigirare tra le dita finché entrai in casa.
Mia madre già dormiva sul divano con la sua solita serie tv accesa.
Spensi la televisione e andai in camera mia per cercare in qualche modo di prendere sonno, ma perfettamente conscia di avere per la testa pensieri troppo agitati per concedermi una serena nottata.
L'indomani mi presentai sotto casa di Leah per scusarmi del fatto che ero sparita nel nulla all'improvviso, siccome prima di addormentarmi trovai sul mio smartphone almeno una ventina di sue chiamate.
Avrei voluto anche raccontarle della mia nuova cotta, ma ero ancora indecisa se tenerlo come segreto oppure no.
Stranamente fu sua madre ad aprirmi la porta.
Mi avvisò che Leah era ancora in camera sua e che ieri era tornata molto preoccupata per me.
Salii cautamente le scale per arrivare al piano superiore.
Bussai alla porta di camera sua che era chiusa.
Lei aprii senza nemmeno chiedere chi fosse a bussare, probabilmente pensando che fosse sua madre.

«Che diavolo ci fai tu qui?» domandò con un tono di voce molto aspro
«Sono venuta per scusarmi...» asserii senza nemmeno riuscire a terminare la frase
«Non mi servono le tue fottute scuse, sono stata a preoccuparmi per te per tutto ieri, mi ero preparata persino tutto un discorso da fare a tua madre per giustificare la tua scomparsa! Sei un'orribile egoista!» sbraitò furiosamente contro di me
«Lasciami almeno spiegare Leah...» accennai cercando di avvicinarmi a lei
«No Maddie, questa volta hai esagerato. Avresti potuto chiamare oppure mandare un messaggio... Invece cosa hai fatto? Te ne sei fottuta altamente di me!» gridò continuando ad inveire contro di me
«Leah...» ripetei con le lacrime agli occhi
«Hai chiuso con me.» sentenziò con un'espressione rammaricata, ma irremovibile

Scappai con in cuore una rabbia amara e infinita che mi stava facendo odiare me stessa.
Stavo perdendo Leah.
Stavo perdendo una parte di me.

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