La fuga

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Trattenne il respiro.
Un secondo, due secondi.
Niente.
Riguardò il volto della madre coperto in parte dal lenzuolo candido e si accorse di essersi sbagliata, nessun rumore, nessun movimento.
Chiuse definitivamente la porta d'ingresso lasciandosela alle spalle e salì quei pochi gradini che la separavano dalla scala. Sbloccò lo schermo del telefono e controllò rapidamente di averlo messo in silenzioso, per evitare di ripetere l'errore  della scorsa notte. Ormai era diventata una routine; sveglia alle 3, scarpe, pantaloni e chiavi di casa. Maya aveva spesso bisogno di schiarirsi le idee, di passare del tempo con se stessa per affogare nei ricordi e riemergerne allo stesso tempo. Le capitava di piangere, cosa che succedeva di rado, per cose sciocche e insensate, per lo meno ai sui occhi. Ma a lei andava bene, del resto non può essere tutto rose e fiori.
Fece leva sugli avambracci dopo essersi arrampicata sulla scaletta e aver aperto la botola di legno che la separava da quello che ormai definiva -il suo riudii-. Scivolò sulle mattonelle fino a raggiungere l'equilibrio e aprì le braccia, rabbrividendo quando il vento freddo le sferzò la pelle candida. Si accomodò accanto ad un camino osservando il cielo scuro, stringendo le braccia al petto per racchiudere il calore.
"Senti freddo?" Una voce roca la fece sobbalzare, tanto che si sbucciò il braccio contro il muro ruvido del caminetto. Girò la testa lentamente incontrando un paio di occhi azzurri. Avrebbe dovuto avere un minimo di timore. Si sarebbe dovuta spaventare, insomma, c'era un ragazzo sul tetto alle 4 del mattino, ma quella sensazione la fece sentire incredibilmente sollevata.
"Cosa ci fai qui? " ignorò la sua domanda  osservando i suoi capelli corvini incasinati sulla nuca in un groviglio di ricci che lei, però, trovò accattivante.
"Chi sei?" Rispose lui con la voce ancora impastata dal sonno. Le venne da sorridere, sembrava un gioco, nessuno dei due aveva intenzione di rispondere all'altro.
"Dovrei farti la stessa domanda" sospirò Maya stendendo le gambe. Gli diede le spalle e aspettò che si accomodasse accanto a lei, cosa che fece subito dopo.
Era un ragazzo molto bello, uno di quelli che le ragazze per strada si girano a guardare e che ha l'aria di fare cose che non si possono raccontare in giro. Si fissarono a lungo, due oceani azzurri che si scontravano, due mine inesplose che si stuzzicavano a vicenda.
A Maya passò per la testa l'idea di conoscerlo, di passare del tempo con lui e magari anche di farlo diventare un incontro fisso. Poi pensò che probabilmente era fidanzato, che forse non la trovava interessante o nemmeno carina.
Si sistemò nervosamente i capelli biondi dietro l'orecchio, distogliendo lo sguardo.
"Hai per caso una sigaretta?" Gli domandò riportando lo sguardo fisso davanti a lei.
In risposta estrasse un pacchetto di Camel dalla tasca e gliene porse una, che prontamente si infilò in bocca. Il ragazzo avvicinò l'accendino alle sue labbra facendo scontrare le loro costole e avvicinandosi impercettibilmente al suo corpo. Ovviamente ci fece caso, era abituata a questo genere di situazione e, in particolar modo se davanti a lei c'era un ragazzo come quello, non le dispiaceva affatto. Diminuì le distanze anche lei, non molto discretamente e, al secondo tiro, si concesse il privilegio di posare la testa sulla sua spalla che le circondò la vita con un braccio.
Era buffo, non le era mai capitato di avere questi atteggiamenti con persone di cui nemmeno conosceva il nome.
"Margherita Maya Stalin" disse socchiudendo gli occhi e interpretando la parte della ragazza misteriosa ancora un po'.
"Tu chiamami Maya" aggiunse infine.
Lui la guardò con attenzione, pensò che fosse davvero bella, un volto angelico abbellito dal trucco leggermente colato sulle occhiaie marcate. La pelle bianca e le labbra sottili da cui uscivano di tanto in tanto nuvole di fumo.
Ne aveva viste di ragazze, e diciamo che ci aveva anche avuto a che fare, ma Maya lo incuriosiva e attraeva forse troppo per essere solo una sconosciuta.
Nel frattempo si era acceso anche lui un sigaretta che, dopo aver portato alle labbra, scostò per poter rispondere:" Dylan Keller, è un piacere" Maya annuì a se stessa quando riconobbe il cognome tedesco che probabilmente spiegava quegli occhi tanto turchesi.
Non si parlarono, non avevano nulla da dirsi, si limitarono a fumare scambiandosi occhiate fugaci.
Fu proprio Maya a interrompere quel silenzio quando si accorse delle prime luci dell'alba.
"Beh, spero di rivederti presto " dichiarò alludendo ad un secondo incontro.
"Domani alla stessa ora, buonanotte Maya"
In tutta risposta si chinò verso di lui, sporgendo leggermente il seno, e gli posò un bacio sulla guancia per poi infilarsi dentro il buco del tetto.
Dylan la osservò fino all'ultimo per poi sorridere e sdraiarsi sul cemento, godendosi la vista del rossore del cielo e pensando a quella ragazza sconosciuta.

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