"Mi chiamo stefano lepri e ho 17 anni." Continuavo a ripetere nella mia testa, sembravo uno di quei robot che sono stati progettati per dire una sola frase e la ripete all'infinito, ecco appunto.
Scossi la testa e cercai di dire a me stesso di smettere di ripetere quella frase ma anche se volevo smettere non ci riuscivo..
Ero davanti allo specchio e lo ripetevo, più che ripeterlo allo specchio lo ripetevo a me stesso perché in quel periodo non mi ricordavo manco chi fossi..
Nonostante il voler capire me stesso, non ci riuscivo, ero un enigma persino ai miei stessi occhi.
Lo ripetevo ogni mattina da oramai due anni, da quando mi sono reso conto di essere gay.
Non ho mai creduto di essere sbagliato, anzi ho sempre creduto di essere nel giusto, infondo ognuno merita la propria libertà.
Avevo un ragazzo di nome Isacc, lo amavo e anche lui amava me, ma quando ci accorgemmo che le cose non funzionavano più ci lasciammo, quello stesso giorno lo baciai per l'ultima volta perché ci tenevo ancora a lui.
Mio padre aprì la porta di casa in quel momento e mi prese per il colletto della maglietta, sbattendo la porta.
Mio padre è omofobo, odia questo genere di rapporti e da due anni a questa parte avevo saputo tenerglielo nascosto, beh...fino a quel giorno.
Quando mi sbatté a terra mi tirò uno schiaffo, io impassibile senza rispondere né sentire male guardavo l'uscio della porta, la fissavo come se sperassi qualcuno potesse salvarmi in quel momento, ma chi poteva infondo?
Sentii qualcuno fermarsi sulle scale di casa, mio padre smise di picchiarmi, era mia sorella, aveva 10 anni.
Si coprì la bocca con la mano e i suoi occhi si riempirono all'istante di lacrime, avrei voluto portarla via di lì, ma cosa potevo fare io? Mio padre non mi avrebbe lasciato stare un momento.
Mia sorella corse sopra le scale verso la sua stanza "Emily!" Urlò mio padre lasciandomi e correndo anche lui verso la sua stanza, io rimasi lì, mi sedetti solamente contro la porta di casa, fissavo il parquet su cui mi ero seduto, ora che sarebbe successo?
L'indifferenza dei miei occhi fece posto al terrore, mio padre dove mi avrebbe mandato? Quella domanda tormentava la mia testa da oramai dieci minuti quando sentii qualcuno scendere nuovamente le scale, era mio padre che mi guardava con occhi pieni di odio, come se non fossi suo figlio, ma sfortunatamente lo ero.
Volevo scomparire o diventare grande quanto una formica, volevo non essere me.
Mio padre mi prese di nuovo per la maglietta e mi alzò, cercai di allentare la presa ma i miei piedi neanche toccavano terra, mi minacciò con alcune parole ma non ricordo quali fossero, la mia mente non collegava più niente.
Non mangiai quella sera, mi chiusi in camera fino al mattino seguente in cui sentii la porta di casa aprirsi, mia madre non aveva detto niente a cena probabilmente perché non lo sapeva, ma era meglio così infondo.
Mi alzai dal letto e guardai l'orario sul mio orologio, ci misi un po per capire se quello di ieri sera era stato un sogno o era stata la realtà, ma andando poi in bagno vidi che avevo tutto l'occhio destro nero, perciò opto per la seconda.
Rimasi in camera ancora per un po, poi dopo un ora scesi a far colazione, ma mi resi conto che c'era qualcosa di strano, infatti c'erano tre poliziotti sulla porta di casa che parlavano con mio padre, lui li accoglieva con un sorriso a trentadue denti, io rabbrividii a vedere quella scena e provai a risalire le scale "STEFANO NON CI PROVARE NEMMENO, SCENDI." Tuonò mio padre facendomi rassegnare e tornare giù, gli ufficiali di polizia mi squadrarono da capo a piede, io ero già vestito e pensai che minchia avevano da guardare ma non dissi niente solamente deglutii rumorosamente.
"Stefano, devi venire con noi" dissero poi, mio padre si girò verso di me in un modo troppo macabro...
Era felice che me ne andassi, tanto non mi aspettavo altro.
Sapevo mi avrebbe sfrattato di casa.
Le voci dei poliziotti mi riportarono alla realtà i quali mi ripeterono di dover venire con loro, ma prima che obiettassi mi presero per le braccia e mi portarono fuori, la mia famiglia a tavola mi guardò, mia madre solamente mi guardava, ma vedevo della tristezza nei suoi occhi, mentre mia sorella piangeva, l'unico realmente felice ovviamente era mio padre.
Mi ammanettarono e mi misero dentro la macchina, feci un viaggio abbastanza lungo, poi mi resi conto di dove erano diretti...
Lo vidi in lontananza mentre stavamo imboccando lo sterrato, era un manicomio o meglio dire il manicomio.
Il Kirkbride era "riconosciuto" come uno dei manicomi più famosi e questa cosa mi terrorizzò ancora di più, iniziai a dimenarmi sul sedile posteriore ma niente ero ammanettato, "sta fermo ragazzo, non ti conviene" disse serio l'ufficiale sul sedile vicino al guidatore, invece quello vicino a me solamente mi guardò e scoppiò a ridere:"davvero ragazzo non ti conviene." Disse poi quello di fianco a me, mi fecero scendere mentre io ancora cercavo di liberarmi, ma tentavo invano.
Passammo sul marciapiede fatto apposta per quel luogo infernale, era così raccapricciante da farti accapponare la pelle solo guardandolo.
Era tutta una struttura gigantesca e bianca, c'erano le finestre ma col cazzo che ne uscivi.
Era famoso anche per quello, nessuno era mai riuscito ad evadere dal Kirkbride.
I poliziotti mi fecero camminare fino all'ingresso, aspettarono qualcuno, poi un gruppo di dottori mi prese e mi sciolsero le manette, iniziai a urlare, i dottori mi misero contro il muro e una infermiera mi iniettò qualcosa nel braccio, ero solo, tremendamente solo.
Al mio risveglio ero dentro a una stanza seduto su una sedia, non avevo la forza di alzarmi, aprivo gli occhi e vedevo la porta spalancata della mia stanza, ma mi si chiudevano dopo poco, cercavo di tenerli aperti ma non ci riuscivo, dopo un po mi resi conto che c'erano due dottori entrambi ai lati della porta, dopo un po uno entrò, ci misi un po a capire che era uno tra i dottori che prima mi aveva preso le braccia, si inginocchiò davanti a me per farsi vedere visto che non riuscivo a muovere la testa, i suoi occhi scuri mi catturarono seppure li vedevo a scatti e in modo lento..fece un sorriso strano "io sono sascha burci, sono un dottore. Tu sei stefano giusto?"
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Kirkbride ||saschefano|| #wattys2016
FanfictionStoria omosessuale spero vi piaccia. ---------------------------------------------------------- "Mi chiamo stefano lepri e ho diciassette anni" Stefano è un ragazzo come tutti gli altri tranne per il fatto che è omosessuale. Suo padre è omofobo, che...