Il dottore ha fatto zittire la mensa.

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"Stefano, vuoi che ti accompagno alla sala comune?" "Sala comune?" Ripetei confuso, ma dov'ero?
Era tutto bianco. Mi facevano male gli occhi a fissare le pareti, sembravano dei cuscini quelli che vedevo.
"Si, li si mangia. quando senti la campana è ora di mangiare." Disse e dopo qualche secondo sentii la campana suonare e tante voci che si sovrapponevano.
Mi tese la mano:"vieni con me?" Disse aspettando la risposta, io solamente annuii, non ricordavo se avevo una madre, se avessi un padre o anche un fratello o una sorella.
Non ricordavo quanti anni avevo, non ricordavo di essere miope, o che avevo i capelli disordinati, non sapevo come era la mia faccia, non c'erano specchi.
Mi accompagnò fino all'ingresso di quella sala e si mise a braccia conserte, pensava di farmi paura con quello sguardo ma anzi mi divertiva.
Andai a sedermi da solo, lui guardava me e tentava di mettermi soggezione intimandomi di smettere di sostenere il suo sguardo, ma vedevo il nervoso nel suo sguardo, sembrava che non sorrideva mai, allora alzai gli occhi al cielo e gli battei la mano sulla mia panca, lui mi guardò stupito e scosse la testa, vedevo qualche ragazzo guardarmi strano, come se stessi parlando a un fantasma.
Allora per dispetto andai a sedermi vicino a un ragazzo, con cui finsi di parlare ma che era molto gentile, vidi le  vene sul suo collo ingrossarsi e alla fine entrò nella mensa, in quel momento tutti lo guardarono e si zittirono, aveva fatto qualche passo lungo e poi mi sussurrò:"vieni a mangiare in camera." Disse trascinandomi via, perché ora era così...scontroso, ecco.
Mi lasciò il braccio quando mi riaccompagnò alla stanza, che dopo poco chiuse, il suo sguardo provocatorio mi trapassava il corpo, io mangiavo tranquillo facendo finta di niente.
"Te l'ho già detto una volta ma siccome non lo ricordi te lo ripeterò:non ti abituare al fatto che ti sto aiutando.
E ti dirò anche un altra cosa: qui non va tutto come vuoi, stefano."
Okay, adesso mi metteva paura, mentre parlava si era avvicinato a me ed era a un centimetro dal mio naso, il suo tono minaccioso mi aveva fatto raggelare il sangue e passare la voglia di mangiare, cosa che non succedeva mai.
"Ti dirò qualcosa per tenermi buono- sottolineò - ti conviene non scherzare con me, non parlare con gli altri che non siano medici, non fissare nessuno negli occhi tranne me, una semplice regola: ora mi appartieni, vedi di giocarti bene le tue carte."
Deglutii rumorosamente e i suoi occhi continuarono a fissarmi, prese il vassoio che avevo in mano e me lo tolse, lo appoggiò sul tavolino, chiuse a chiave la porta e tornò a guardarmi, ora leggermente più distante da me e dal mio letto, io mi tenevo alzato con le braccia e lo fissavo scettico, avevo paura non lo nego.
Lentamente si avvicinò a me ma io indietreggiai, lui mi prese i polsi e mi fermò alzò di poco la mia maglietta e mi accarezzò la pancia, dopo di che iniziò a lasciare dei piccoli baci e persino qualche morso, mi faceva male ma in qualche modo era piacevole, qualcuno bussò alla porta, così si staccò da me sbuffando e la aprii "Burci il tuo turno è finito" "non posso restare un altra ora?" Disse con un tono di supplica cosa voleva da me?
Perché mi perseguitava?
Cosa voleva farmi?
Le domande che non lasciavano stare la mia mente. Avevo paura di lui.
si dissero qualcosa ma oramai non ascoltavo più la conversazione, ero nel panico.
"Io ero come te" mi ricordai le sue parole, avevo paura.
E non poca.
Alla fine richiuse a chiave la porta e la infermiera s'e ne andò, mi guardò con fare malizioso, si avvicinò mordendosi un labbro, ho già detto che avevo paura?
Mise le mani sul letto difronte a me, chiusi gli occhi girando la testa, le lacrime premevano ai lati dei miei occhi, ancora una volta spostò la mia testa verso di lui, "apri gli occhi" sussurrò, con paura li aprii e delle lacrime amare scesero dai miei occhi.
Lui mi guardò stupito:"non piangere" sussurrò di nuovo per poi posare le sue labbra sulle mie, ora quello stupito ero io.
Le sue labbra erano morbide e ancora più sottili di quanto credevo, avevano un tocco delicatissimo, senza pensarci due volte gli accarezzai i capelli e dopo un po' di tempo le lacrime cessarono di uscire incessanti dai miei occhi, mi morse il labbro e poi indugiò con la lingua, chiedendomi l'accesso che non rifiutai di dargli, mi prese per i fianchi e mi attirò a se, aveva delle braccia davvero forti...
Si staccò per riprendere fiato e mi fissò le labbra respirando quasi a fatica, i suoi capelli erano un disastro, ma lui continuava a essere perfetto.
Aveva le labbra gonfie, non volevo immaginare come fossero le mie.
Lo guardai negli occhi e scesi dal letto, lui mi guardò confuso, andai verso la porta a cui aveva lasciato attaccate le chiavi, sentii lui prendermi un braccio e mettermi contro la stessa "dove stai andando?" Mi chiese "sto andando a mangiare, ho fame" mi guardò ma il suo sguardo arrabbiato non cambiò "non ti credo." Ed era vero, volevo allontanarmi da lui e basta. Per la prima volta non avevo fame..
"Non puoi sempre credere di fare tutto quello che vuoi." Disse abbassando lo sguardo, poi mi tirò un pugno all'altezza dello stomaco, caddi a terra dolorante, dovevo raggiungere la porta, dovevo scappare.
Stavo per abbassare la maniglia quando mi trascinò un piede iniziai ad urlare, lui con una mano mi tirò su il collo, non respiravo, sentivo il sangue dalla mia testa venisse risucchiato, vedevo offuscato:"non provare più a scappare, stefano." I suoi occhi ora persino alla luce parevano neri, ma di solito non lo erano.
Erano neri come la paura che scorreva nelle mie vene sostituendo il sangue che oramai non mi apparteneva più, mi mollò e io tossii rumorosamente nuovamente strisciai verso la porta aiuto.
Aiuto. Qualcuno mi salvi. Ripeteva la mia testa in continuazione.
Sentii un calcio all'altezza della costola e urlai di nuovo dolorante, ora lo vedevo.
Vedevo come mi fissava, quasi con disgusto.
Come mi fissava...
Ma poi persi i sensi, definitivamente.
Mi svegliai e niente di nuovo passò per la mia testa...la stessa stanza, la sedia posata in mezzo alla stanza.
Ma c'era qualcosa di diverso.
Si, non era tutto come ogni volta, no..
Notai dopo un po un uomo a braccia conserte che mi fissava all'angolo della stanza.
Cercai di muovermi ma ero legato.
Fece un cenno della testa e dalla porta entrarono tre uomini che mi misero seduto sulla sedia, mi ammanettarono e mi legarono con una catena che ricopriva tutto il mio corpo, tentavo incessante di muovermi ma era inutile, il peso della catena mi faceva male e basta.
"Ciao stefano" disse l'uomo dapprima nell'angolo della stanza, venne verso di me, lo guardai con disprezzo, si inginocchiò e lo guardai male:"devi dirci chi è Sascha Burci"

Kirkbride ||saschefano|| #wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora