Capitolo 1

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" Su forza alzati dormigliona, sono già le 14.00." disse Georget aprendo la finestra di camera mia. La luce si propagò nella stanza come una macchia di inchiostro, investendomi in pieno. Io, in tutta risposta, mi girai dall'altra parte coprendomi la testa con il cuscino. Era la mia domestica, quasi come una tata, e le volevo molto bene. Ma quando mi svegliava così bruscamente non la sopportavo. La domestica sbuffò, si avvicinò a me e tirò giù le coperte, privandomi di quel dolce calore che si era accumulato sotto di esse durante la notte. "Lo sai che alla signora Johnson non fa piacere che tu te ne stia qui in panciolle. Quindi ora alzati, ti ho preparato il pranzo e se non ti sbrighi raffredderà." Disse prendendo alcuni vestiti sporchi che si trovano sul pavimento. Stava per uscire, quando si voltò e disse " Ah la signora Johnson mi ha detto di dirti che devi decidere quale università vuoi frequentare, tra Cambridge e Oxford." E detto ciò uscì definitivamente dalla stanza. Sbuffai e mi rigirai nel letto. Ero stufa della storia dell'università. Non la volevo fare, ma la nipote di Jessica Johnson, proprietaria della grandissima azienda Double J che vendeva in tutto il mondo, non poteva non fare l'università. Mia zia diceva sempre "Dobbiamo mantenere alto l'onore dei Johnson!" Ma sinceramente non mi era mai interessato "l'onore" di cui lei tanto parlava. Non mi era mai interessato il fatto che quando le persone sentivano il mio cognome, i loro occhi prendevano una strana sfumatura che io conoscevo bene. Un misto tra paura e stupore. E subito dopo erano ai miei piedi, come schiavi. Ma mi ci ero abituata e avevo incominciato a evitare di dire il mio cognome. Non mi piaceva essere trattata con un occhio di riguardo. Ero una ragazza come tutte le altre, e non mi meritavo di essere trattata meglio solo perché il mio cognome era più "importante". Non mi era mai interessato il fatto che avessi un sacco di soldi. Non mi interessava. Sono solo una ragazza come le altre. Solo perché sono ricca non vuol dire che sono meglio. Anzi, sono un disastro. Dopo ottocento riflessioni riuscì finalmente a trovare la forza di alzarmi e di scendere in cucina. C'era un odore buonissimo che invadeva il corridoio e che mi entrava nelle narici. E io avevo già capito di cosa si trattava. Georget mi aveva preparato il mega hamburger alla messicana che mi piaceva un sacco. Infatti appena arrivata in cucina lo trovai lì che mi aspettava, pronto per farsi un viaggio diretto nello stomaco di Nicole. Mi misi a sedere e lo finii in un boccone. Era buonissimo, come sempre.

Dopo aver mangiato mene andai in bagno, e quella ragazza nello specchio aveva bisogno di un urgente sistemata. I miei capelli neri, che erano lunghi poco più sotto le spalle, erano tutti arruffati, e più che capelli sembravano un nido di rondini. Gli occhi grandi e azzurri erano ancora un po assonnati. Decisi di farmi una doccia calda. Appena uscita mi guardai allo specchio. Ero abbastanza carina. Capelli scuri, occhi chiari, labbra carnose, naso piccolo e a patata, curve al punto giusto e abbastanza alta. Insomma, una ragazza normale, con niente di speciale. Mi asciugai i capelli e li piastrai. Mi misi l'accappatoio e uscii dal bagno.
Arrivata in camera iniziò il dramma del " non ho niente da mettere", come sempre. L'armadio era pieno di vestiti, ma nessuno mi piaceva. Cioè, mi piacevano, ma non sapevo cosa mettermi. Alla fine optai per jeans lunghi neri con lo strappo sul ginocchio, una felpa bianca e le mie amate vans tutte nere. Scesi le scale, aprii la porta di casa e urlai " io esco, torno stasera per cena"
" E dove vorresti anda..." Georget non ebbe neanche il tempo di finire la frase che la porta di casa si chiuse alle mie spalle.
Abitavo in un piccolo paese vicino a Londra, perché lì c'era l'azienda di mia zia e in macchina ci arrivava in poco tempo. Anche se a casa non c'era mai perché aveva un altra casa a Londra e stava sempre lì. Riuscivo a vederla solo per Natale, Pasqua e Capodanno. Non che mi interessasse più di tanto. Mi avviai dietro casa, dove si trovava un bosco che io amavo. Era l'unica cosa che mi piaceva davvero di quel posto. Anzi, la seconda, la prima era di sicuro la biblioteca. Stare nel bosco era bellissimo, c'era uno strano silenzio che mi piaceva un sacco. Si sentivano solo gli uccelli, il vento, avvolte qualche gufo e le mie scarpe che pestavano i rami secchi, provocando quel rumore che si sentiva sempre nei film horror. Dopo una mezz'oretta che camminavo nel bosco arrivai finalmente al mio stagno. Era una pozza d'acqua di modeste dimensioni, troppo piccola da navigare ma troppo grande per essere chiamato come tale. C'era un piccolo ponticello di legno, che in teoria serviva per pescare, ma che era fine a se stesso dato che non c'erano pesci. Mi ci misi a sedere, tirai fuori il pacchetto di sigarette e incominciai a fumare. Mi piaceva fumare. Sapevo che mi faceva male, ma mi sfogava. E stare in mezzo al bosco, fumando nel silenzio più completo,per me era come andare in una Spa a farsi i massaggi. Ogni volta che facevo un tiro sentivo quella sostanza aereforme invadermi i polmoni, riscaldandoli. Quel fumo tossico mi riempiva i bronchi , contaminando tutto l'ossigeno presente in essi. Poi quella nebbia tornava su e mi usciva dalle narici, facendole frizzare e bruciare un po. Mi persi nelle acque dello stagno e la mia mente incominciò a rimuginare su tutti quei pensieri che mi tormetavano. Il pensiero dell'università fu uno dei primi a bussare alla mia porta. Io non la volevo fare. Non mi piaceva studiare, ma la mia media scolastica era comunque alta. Mia zia voleva che la facessi, ma non mi ha mai domandato se mi sarebbe piaciuto farla. Perché a lei non interessava. Lei aveva solo la sua azienda e il suo "onore" da portare avanti. Non pensava mai a me. E credeva che facendomi regali costosi poteva comprare il mio perdono. Ma i suoi regali poteva prenderli e gettarli nella spazzatura. Non le è mai importato di me, mai. Gli sono capitata tra capo e collo dopo che i miei genitori sono morti durante una rapina, avevo 4 anni. Non mi ricordavo neanche la faccia dei miei genitori. Ma la faccia di quella arpia "si fa come dico io" era ben impressa in mente. Ero arrabbiata con lei. Non la sopportavo.

All'improvviso una luce illuminò il cielo. Un fulmine si schiantò contro un albero, che era sull'altra sponda dello stagno proprio di fronte a me. L'albero si spezzò e cadde in acqua. Mi alzai per lo spavento e la sigaretta, che non era neanche a metà, cadde in acqua spegnendosi. Rimasi lì a fissare quella strana scena per un bel po. Mezzo tronco era un po bruciacchiato e ben attaccato a terra, mentre l'altra metà era completamente bruciata e immersa quasi totalmente dall'acqua. Tutte le volte che ero arrabbiata o triste succedeva qualcosa di strano. Una volta a mensa Cassie Jenkins, la ragazza più popolare della scuola, mi stava prendendo in giro con il suo gruppettto. In quel momento pregai che anche lei facesse una figuraccia come la mia. E all'improvviso scivolò e cadde sul suo vassoio. Tutti incominciarono a ridere e io mi sentii subito meglio. Una altra volta invece, durante la lezione di scienze, ero super nervosa per il test e all'improvviso è scattato l'anti incendio e la classe si è allagata. Per non parlare di tutte quelle volte che ero arrabbiata e le cose si rompevano da sole. Forse ero io la cuausa? " Non dire cazzate Nicole, non puoi provocare queste cose. Non sei una strega o chissà cosa. Sei una ragazza normale " pensai. Giusto, con lo stress dell'università ora pensavo anche di esserne io la causa. Ma non era possibile. Guardai un ultima volta quell'albero e poi tornai a casa. Appena tornata a casa Georget mi fece la solita predica che mi dovevo subire tutte le volte che uscivo in quella maniera. "Ma dove sei stata? Lo sai che mi devi dire dove vai per due ragioni. Uno perché mi preoccupo e due perché è mia responsabilità tenerti d'occhio." disse lei, in tono serio e minaccioso. Si avvicinò a me, mi annusò e urlò " Nicole hai fumato di nuovo! Quante volte te lo devo dire che non devi farlo, eh? Che ti fai male e basta? Se te le trovo, e lo sai che le trovo, ci faccio un falò in giardino!" L'unica cosa che dissi fu " Ora posso andare in camera?" Lei mi guardò oer qualche secondo sbigottita. Di solito iniziavamo a discutere con io che sostenevo che non era vero e con lei che approvava il contrario. Ma ero stanca e poi era inutile mentire. Dopo qualche minuto di silenzio lei disse " Certo. " Io salii le scale e mene andai in camera. Mi misi il pigiama e mi stesi sul letto. Ero veramente stanca e non avrei cenato. Mi misi sotto le coperte e chiusi gli occhi. Incominciai a pensare a tutto quello che mi succedeva, e lentamente il silenzio iniziò a cullarmi, portandomi tra le braccia del sonno in cui, comodamente, mi addormentai.

Spazio autore
Ciao a tutti, questo è il primo libro che scrivo e spero vi piaccia. Mi scuso già in anticipo per eventuali errori.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 20, 2016 ⏰

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