capitolo 2.

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6.30
Una suora aprì la porta della mia camera, scostó le tende della finestra in modo che il sole mi colpisse la faccia e tiró via le lenzuola in cui ero comodamente avvolta.

«Alzati. È ora della preghiera. Se non scendi al piano di sotto entro 10 minuti vengo qua e ti frusto a sangue.»

Le suore di quel posto non avevano sentimenti, era dure. Come la pietra.
Alzai gli occhi al cielo e biascicai un "okay".

Una volta alzata dal letto aprii la piccola cassettiera rovinata e ne estrassi la divisa, composta da una gonna che arrivava un po' sopra il ginocchio nera, una camicietta bianca e la classica cravatta nera.

Ci costringevano ad usare le divise per non far fuoriuscire il nostro carattere, il nostro stile attraverso il modo di vestire. Dovevamo essere tutte timbrate uguali.

Indossai le scarpe, uscii dalla stanza e mi buttai nella massa assieme alle altre, la suora di prima mi guardó e strinse gli occhi in due fessure.

Quando stavano entrando tutte nella cappella io velocemente feci retro front, accellerai il passo e me ne andai.

Tornai in stanza, presi il pacco di sigarette e salii nuovamente in soffitta.
Il sole risplendeva attraverso la piccola finestrella creando un ambiente luminoso e ospitale, quel posto era come casa mia per me, e in parte lo era davvero.

Estrassi la sigaretta dal pacchetto, tirai fuori dalla tasca della camicia l'accendino e la accesi.

Il fumo usciva a nuvolette dalla mia bocca creando una piccola nube intorno a me. Inspirai l'odore, l'unica cosa che mi faceva sentire davvero bene.

«Così ti rovinerai, ma credo che tu già lo sappia.» una voce echeggió nella soffitta

Mi allarmai e iniziai a guardarmi intorno spaventata, avevo controllato: non ci poteva essere nessun'altro tranne me.

«Sono quii» canticchió la voce misteriosa

Capii da dove proveniva, guardai vicino al vecchio armadio e vi scorsi un ragazzo biondo, messo con le gambe incrociate ed aveva un fastidioso sorrisino in volto.

Mi alzai in piedi «Che ci fai qua? Questo non è un orfanotrofio maschile. Vattene subito prima che scoprano me e anche te.» dissi abbassando la voce con la paura che potessero sentirci.
«È impossibile, in questo posto non ci entrerebbe nessuno. Tranne una ragazzotta stupida come te.»
«Non sono stupida.» dissi incrociando le braccia
«Dicono che qua sopra sia infestato dai fantasmi..» rispose il ragazzo sorridendo
«Cazzate. Ci sono sempre stata qua e non ho mai visto nulla fino a che tu non sei venuto a disturbarmi. Ma, te come lo sai delle voci che girano qua dentro?» chiesi con un accenno di curiosità
«Io so molte cose.» rispose lui, non voleva togliersi quell'antipatico sorriso dalla faccia.

Feci per accendere un'altra sigaretta, appena rialzai la testa notai che il misterioso ragazzo non c'era più.

Mi chiesi come avesse fatto a fuggire, poi notai la finestrella della soffitta aperta e capii tutto: doveva essersi infiltrato qua con una corda o qualcosa del genere. Ma senza qualche strano attrezzo non potevi saltare giù dalla finestra: era troppo alto.

Rimasi lì ancora una buona mezz'ora per finire la sigaretta, poi decisi di scendere visto che mi stavo annoiando.

Suonò la campana per annunciare che erano iniziate le lezioni, così mi mischiai a un gruppo di ragazze che sembravano della mia età ed entrai in classe.

Per il resto del tempo non avevo pensato ad altro che a quel ragazzo.

spazio autrice:
Hello motherfuckers.
Qua il nostro caro piccolo Evan lo descrivo con i capelli biondi perchè nella storia è in versione Tate (ahs)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, aggiorno il prima possibile.
Commentate e stellinate per rendermi felicia.🌟

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 03, 2016 ⏰

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