Ce l'avrebbe fatta. Ce l'avremmo fatta. Ne ero sicuro. Io, Robin De Noir, ero certo che ci saremmo riusciti. Avremmospezzato la maledizione che incombeva su Moonacre – ormai eravamo nel passaggio che portava al "luogo dove tutto aveva avuto inizio", dove erano nati l'odio e l'orgoglio. Lì tutto era iniziatocinquemila lune prima e quella notte sarebbe finito... in un modo onell'altro. Eppure non ero soddisfatto, contento. Non provavoorgoglio. Cosa sarebbesuccesso poi? Non avevo mai provato nulla di simile, nulla. Erasconvolgente. Non sapevo cosa fosse. Non sapevo se fosse amicizia.Non sapevo se fosse amore. Madi certo non era odio, ero cresciuto imparando a detestare,riconoscere, odiare i Merryweather. Ora, non soltanto avevo aiutatoMaria, tradito la mia famiglia, il mio clan, mio padre,per combattere al suo fianco, ma mi ero anche accorto di provareaffetto per quellaragazza.
Deglutii, neppure la vista di Loveday era riuscita a calmarmi.
Aiutai Maria a scendere le scale e lei mi fissò coi suoi splendidi occhi grigi, dolcissima,piena di riconoscenza, come se quel gesto l'avesse resa finalmentecalma.
Guardai Maria avvicinarsi allo sperone di roccia che si affacciava a strapiombo sul mare.
La fissai, sbalordito dalla sua determinazione, dal suo coraggio.
Rimasi perplesso davanti allo strano comportamento delle perle. Certo ioavrei fatto lo stesso se fossi stato in loro, ma loro non potevanorifiutarsi di essere allontanate da Maria. Non dovevano.Saremmo morti tutti, altrimenti.
Maria spezzò il filo della collana e lanciò ciò che aveva in mano nel vuoto. Quelledannate perle, però, si fermarono a mezz'aria e tornarono indietro,appiccicandosi inesorabilmente al suo vestito, al vestito della miamigliore amica.
Maria si girò con un sorriso bellissimo stampato sul viso, un sorriso rassegnato, nontroppo triste, consapevole. I suoi occhi si soffermarono sui miei.Tante parole non dette, discorsi non fatti, paure non confessate, sentimenti messi a tacere... Aveva capito un secondo prima di me,come era sua odiosa abitudine, come sarebbe finita.
Poi, capii anch'io. Un attimo troppo tardi per poterla fermare, per impedirle quella pazzia,per abbracciarla e dirle cosa provavo per lei. Per abbracciarla ebasta...
Corsi dove si trovava, maera troppo tardi, troppo,troppo tardi.
«NOOOO,MARIAAAAAAAAA, NO! NOOOOOOOO-»
Era finita.
In un modo o nell'altro, non mi interessava saperlo. Il dolore cheprovavo era lancinante. Cercai in tutti i mondi di fermarla, ma ormaisi era buttata, era troppo tardi. Troppo tardi.
Lo sapevo, losapevo, lo sapevo... Sesolo non mi fossi perso in quegli occhi da cerbiatto, se solo avessicapito un po' prima quello che intendeva fare... ma non avevo capito.Non avevo voluto capire.
Non avevo mai provato undolore così grande, prendeva anima e corpo.
L'urlo mi morì in gola,trasformandosi in un nodo che mi rese incapace di respirare.
Maria scomparve inghiottita dai flutti, abbracciata dalla onde come io non avrei maipotuto fare.
Se solo mio padre eBenjamin l'avessero ascoltata, se solo avessero messo da partel'orgoglio...
"No, Robin non colpaloro, è colpa tua. Che razza di cacciatore sei? Un predatore nondovrebbe farsi suggerire la mosse dalla vittima stessa... Tu, tu, tuche sei nato e cresciuto nel bosco, che conosci i suoi alberi comefossero tuoi familiari, che hai imparato a cacciare ancora prima dicamminare... tu, tu ti sei fatto gabbare da una ragazzina..." Era una lacrima quelle cosa calda che mi scivolava sulla guancia e chelasciava il gelo al suo passaggio? Erano lacrime quelle che mibruciavano gli occhi e scottavano tutto intorno? Poteva essere, ma nonmi importava. Non mi importava più niente...
La luna, me ne erocompletamente dimenticato.
La luna piena era cosìgrande e vicina che sembrava di poterla toccare.
Mio padre mi trascinò viae io non mi opposi: il dolore era troppo forte e tutte le mie energieerano impegnate a resistergli.
La luna toccò l'orizzontee la valle s'illuminò a giorno. Aprii gli occhi, appannati daldolore, e percepii il respiro delle piante, il mormorio del mare,perfino il calore delle pietre... Tutto era tornato a sorridere allavita. Tutto – tranne Maria. La mia Maria.
Una fitta alla bocca dellostomaco mi costrinse ad accovacciarmi. Piegato in due dalladisperazione mi morsicai il labbro cercando inutilmente di nonpiangere.
Così ce l'aveva fatta...Nulla, neppure Madre Natura in persona poteva mettersi controdi lei: mi lasciai sfuggire un sorriso amaro.
Attraverso il velo di lacrime e cieca disperazione mi apparve una visione tanto terribilequanto meravigliosa. Un'onda altissima, la più alta che avessi maivisto, più alta di quelle illustrate sui libri di favole, più alta di quelle degli incubi... Dovevo avere paura, mi sforzai di avere paura, ma non provavo niente. Niente, tranne il vuoto. Se, se qualche secondo prima non avevo ceduto al desiderio di gettarmi nelnulla, di mandare tutto al diavolo e di raggiungere Maria era soloperché ribellarmi nuovamente a mio padre sarebbe stato troppo,troppo per i mieinervi, ora non mi sarei mosso di lì neppure se mi avessero portatovia a forza.: davanti all'onda c'era un branco di bianchi, selvaggi cavalli del mare.
Qualcosa di tetro, oscuro, cupo mi teneva strettamente legato a terra, ma anche un barlume di speranza – unicorni, non c'era nulla di più puro al mondo;unicorni, cavalli votati all'acqua, all'amore, alla libertà. Misticicompagni e protettori delle principesse della Luna.
Un unicorno aveva guidatome e Maria nella ricerca delle perle, nel passaggio sotto alla cavitàdell'albero della prima principessa. Non era forse giusto sperare chel'avessero salvata, aiutata, anche quella volta?
Sentii mio padre checercava di tirarmi via, ma puntai i piedi. Che importava a lui?
E a me, a me che importava? Niente,non mi sarebbe dovuto importare. Eppure... nulla in quel momento erapiù importante che fingere cheMaria potesse tornare. Strizzai gli occhi aspettando di esseretravolto.
Aspettai, aspettai. Aspettai.
«Maria...»
Un sussurro fastidioso miarrivò alle orecchie riportandomi alla realtà.
Maria.
Aprii gli occhi e ilrespiro mi si fermò.
Maria.
Era là. Là. Su ununicorno banco, al fianco del leone nero.
Maria.
Loveday le corse incontro e Benjamin l'aiutò a scendere.
Testarda. Testarda ragazzina. Il sollievo mipulsò nelle tempie.
Maria piantò gli occhi su di me, le sorrisi.
«Eri in pena, Robin?» michiese, arricciando le labbra con aria saputa.
Dì la verità, Robin. Dì la verità. «No,chiunque avrebbe potuto farlo.» mi sentii rispondere, beffardo.Stupido, stupido orgoglio.
E lei mi sorrise.
Nessuno dei due si sarebbe arreso quella sera. Nessuno due avrebbe dette ciò che provava. Nonquella sera. Maledetto orgoglio.
Ricambiai: aveva capito.
Maledetto orgoglio,che mi – ci – impediva di parlare.
Maledetto orgoglio.
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Maledetto orgoglio
FanfictionMaria si è buttata. Robin non sa più cosa fare, cosa pensare. Ecco cosa urla il suo cuore.