Essere su questo stupido treno di certo non aiuta il mio umore a migliorare.
Questa mattina la sveglia non è suonata in tempo, come al solito i miei genitori sono andati a lavorare lasciandomi, come unico loro saluto, uno stupido bigliettino con su scritto 'Fai buon viaggio e salutaci tua sorella', in più ho riempito la valigia così tanto da renderla pesante al punto giusto da far schizzare via una delle quattro rotelle al di sotto.
Ma sono Luke Hemmings ed in diciannove anni di vita vissuti a Sydney, tra varie cadute dovute alla mie gambe troppo lunghe e diverse imprecazioni la mattina per sistemare al meglio il mio ciuffo biondo col gel, la puntualità e la fortuna non hanno mai fatto parte di me.
A fare da ciliegina su questa disgustosa torta , la mia compagna di viaggio. Una rimbambita e rivoltante vecchietta che, da più di tre ore, cerca di sistemare la sua dentiera sputacchiando a destra ed a sinistra rischiando di bagnare, con la sua saliva, la mia nuova t-shirt dei Sum 41.
Mi pare quasi di impazzire quando sento, come un miracolo divino, la voce robotica dell'altoparlante che annuncia:
"Ultima fermata, Canberra. Si pregano i gentili passeggeri diretti verso Canberra, di scendere alla prossima fermata."
Scanso tutti, lascio da parte i vari insulti di persone a cui ho calpestato i piedi, e mi incammino con la mia valigia a tre rotelle al bar più vicino, dato che la fame si fa sentire e di cibo, nel trambusto e nella solitudine di questa mattina, non ne ho visto nemmeno l'ombra.
Questo viaggio è stato il perfetto riassunto della mia vita: un completo disastro, costituito da continui disagi e persone che rendono il tutto ancora più difficile di quanto sembri.
Dopo esser uscito dalla stazione, ed aver percorso una buona manciata di chilometri, riesco a trovare un bar nelle vicinanze e sfinito mi butto su un sedia qualsiasi facendo traballare il tavolo e non curandomi del barista che mi ha gettato una brutta occhiata; d'altronde la stanchezza ha fatto di me il suo schiavo e non ho potuto fare altro che sedermi.
Lo stesso ragazzo dalle occhiate simili a proiettili si avvicina al mio tavolino chiedendomi, con tono abbastanza scocciato, se volessi ordinare qualcosa ed io prontamente risposi che avrei preso un cappuccino con una spolverata di cannella sopra ed una ciambella al cioccolato; non avrei di certo rinunciato alla mia tipica colazione per un barista dall'aria scontrosa che non si addiceva per nulla al suo aspetto, anzi, guardandolo meglio posso sicuramente affermare che, eccetto per la sua espressione crucciata e la mascella tagliente, ha quasi l'aria di una persona dolce dalle guance paffute.
Notando la sua carnagione tendente al caramello, i suoi occhi dal taglio orientale ed il naso 'importante', il mio cervello curioso, non fa altro che chiedersi da dove provenga questo strano tipo.
Il mio stomaco non ci vede più dalla fame quando noto, sul tavolino, la mia colazione; comincio a mettere le mani su quella ciambella ricoperta interamente di cioccolato che sembra molto più invitante dei miei pensieri sul cameriere proveniente dalla 'terra sconosciuta'; riprendo a respirare quando ho ripulito il piattino, mentre mi rimane da svuotare solo la tazzina col mio cappuccino alla cannella ancora fumante.
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Cliché |LRH+MGC|
FanfictionCliché cliché ‹klišé› s. m., fr. [part. pass. di clicher «stereotipare»] 1. Definizione Con cliché si intende, genericamente, un'espressione fissa divenuta banale a forza di essere ripetuta. "Ma d'altronde, in questi diciannove anni, la mia vita è...