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Credo che la Fede, con la F maiuscola, sia un dono.
Io non l'ho ricevuto.
Mi chiedevo cosa spingesse una ragazza bella, solare, determinata e intelligente come mia cugina a voler diventare una suora... Di clausura, poi.
Quando la zia mi aveva parlato delle sue intenzioni, ci ero rimasto quasi male.
Certo, sapevo che mia cugina credeva in Dio più di un qualsiasi membro della nostra famiglia. Non capivo come pregare, confidare i propri tormenti senza mai ricevere alcuna risposta potesse aiutarla, ma non ne avevo mai fatto un dramma. Era dolce e simpatica, le volevo bene, lei ne voleva a me. Punto. Religione o no, per noi non aveva mai fatto differenza.
Invece, quel giorno, mia zia mi convocò preoccupata a casa sua.
Mi spiegò la situazione, gli occhi luccicanti e il petto matronico ansimante. Alla fine del suo appassionato discorso, la guardai e profferii una sola parola.
"Quindi?"
La zia mi osservò, cercando forse di capire quale problema avesse il mio cervello.
"Hai sentito o sei scemo? Matilde vuole farsi suora! Suora di clausura, Alex, capisci?"
Di nuovo, la guardai.
"Zia, che cosa vuoi che ci faccia? Se non cambierà idea con te, non lo farà con me", le dissi. Mi prese le mani, e solo allora realizzai che era davvero preoccupata per sua figlia.
"Alex, tu e lei siete molto legati. Prova a parlarle, nemmeno Andrea è riuscito a farla ricredere, forse con te..."
La stoppai con un gesto.
"Non ha ascoltato il suo ragazzo. Dovrebbe ascoltare suo cugino?"
L'occhiata della zia valse più di mille minacce. Mi arresi, e uscii a cercare Matilde.

"Alex"
Era bellissima, con il vestitino bianco che le avevo regalato io, seduta sulla nostra panca, quella di pietra sotto il salice piangente.
"Mati. Così, vuoi farti suora", esordii.
Lo ammetto, non fu un inizio molto delicato. Ma lei la prese bene.
"Così mamma te l'ha detto. Beh, io... Sì", disse d'un fiato. Mi sembrò che lo stesse ammettendo più a se stessa che a me.
"Mi hanno mandato per dissuaderti, ma sai che non lo farò. Tu hai tutto il mio appoggio. Ma voglio sapere perché"
Prese un respiro profondo.
Poi un altro.
Portò la mano alla crocetta che portava al collo.
Infine parlò.

"Quando ho conosciuto Andrea, credevo di aver trovato ciò di cui avevo bisogno. Un ragazzo bello, sensibile, intelligente e spiritoso... Ce ne sono pochi così. Lo amavo, e lo amo ancora, con tutta me stessa.
O quasi.
Sì, perché se all'inizio lui era tutto ciò che volevo, ora non è più così.
Lui mi ha chiamata, mi ha detto che mi aspettava.
L'ho sentito, Alex, e mi ha parlato.
Mi ha chiesto di accoglierlo.
Ho accettato, ma mi è costato fatica. Non sai quanta.
Sulla bilancia i pesi erano due: la vita che volevo, Andrea, un bel matrimonio, dei figli. Ritrovarsi tutti insieme a Natale, e a Pasqua. Andare alle feste di compleanno dei tuoi figli, e di quelli dei miei fratelli. Avere un bel lavoro all'Accademia d'Arte.
Dall'altra parte, c'era Cristo. Il suo Amore, una vita volta a Lui.
Ci ho pensato, ho pregato per avere la risposta.
Ho parlato con Andrea, a lungo, e lui mi ha solo detto che devo fare quello che mi sento.
Che sarò sempre nel suo cuore.
Non volevo perderlo, ma dovevo fare una scelta.
Sono andata in Chiesa, un giorno, e ho parlato con Padre Lorenzo -te lo ricordi? È stato il nostro parroco quando eravamo bambini.
Mi ha detto una cosa.
Mi ha detto che nella vita hai due possibilità: avere paura, o avere coraggio.
Poi mi ha benedetta e congedata.
Non capivo cosa intendesse: avere paura corrispondeva a non accogliere Cristo o a rintanarsi in un Ordine religioso per scappare dal mondo? E avere coraggio?
Poi, ho capito.
Avere coraggio significa semplicemente avere la forza di fare ciò che ci rende veramente felici e completi.
Andrea era la metà del mio corpo.
Dio è la metà della mia anima."

Rimasi in silenzio. Poi sorrisi.
"Quand'è che sei cresciuta così, cuginetta?", le chiesi scompigliandole i capelli. Lei rise.
"Cosa dirai a mia mamma?", chiese.
Sospirai.
"La verità. Che sei felice", risposi. Matilde mi abbracciò ringraziandomi e mi scoccò un bacio sulla guancia.
Sorrisi, ma mi veniva da piangere.
Era praticamente la mia sorellina minore. Se fosse entrata in un convento di clausura, non l'avrei mai più rivista. Certo, saperla felice avrebbe facilitato le cose, ma solo fino a un certo punto.
Parlavamo del più e del meno, come se nulla fosse accaduto. Ma un tarlo mi si era infilato nel cervello: dovevo sapere.
"Mati?"
Mi guardò interrogativa, distogliendo il viso dai raggi del sole che lo baciavano filtrando tra i rami.
"In che ordine entrerai?", chiesi timoroso.
Sorrise dolce e riportò il viso al sole, chiudendo gli occhi.
"Vorrei diventare una Benedettina", rispose.
Deglutii.
"Clausura?"
Non spostò il viso dal sole.
"Alex, perché tra di noi dovrebbe mai cambiare qualcosa se non ci vediamo? "Perché dovrei essere fuori dalla tua mente e dal tuo cuore solo perché sono fuori dalla tua vista?", dice Sant'Agostino"
A quelle parole mi rassegnai: era davvero felice, e chi ero io per esserle d'ostacolo?
La guardai, appoggiata allo schienale della panchina, il viso rivolto al cielo. Una ragazza, che stava diventando donna.

Quella sera, quando la zia mi interrogò sull'esito della conversazione tra me e Matilde, interruppi la sfilza di domande.
"Zia- dissi- lascia solo che sia felice".

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