Cap. 1

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Un'esplosione sorprese gli alunni ed i professori del Liceo François Dupont.

Marinette, alla vista dell'akuma, fece rientrare i suoi compagni nell'aula, ignorando le proteste di Chloé, perché non voleva ascoltarla, e Alya, perché voleva registrare tutto per il suo LadyBlog; alla fine, aiutata dalla professoressa Câline Bustier, riuscì a chiuderli nella stanza, non notando che Adrien era sparito da un bel po'.

La ragazza corse sulle scale, fermandosi a metà e urlando all'akuma per permettere ad alcuni suoi coetanei di fuggire.

Il suo piano funzionò, ma solo ora si ricordò che non era Ladybug.

L'uomo puntò contro di lei una pistola, sparando un raggio laser che se non avrebbe schivato l'avrebbe centrata in pieno; il ferro iniziò a corrodersi dov'era stato colpito, tremando e scricchiolando pericolosamente.

Marinette, per la seconda volta, vide puntata contro di lei la pistola, decidendo di saltare appena prima di essere colpita.

Toccò terra e, sentendo le scale scricchiolare nuovamente sopra di lei, si voltò, non facendo in tempo a schivarle.

Alya batteva i pugni contro la porta della classe, cercando di aprirla, ma la sua amica li aveva chiusi dentro.

La corvina riaprì gli occhi, accorgendosi che le scale le avevano intrappolato le gambe, lasciandola libera dal bacino in su.

Cercò di liberarsi, ma era incastrata e le fitte alla gamba destra le impedivano i minimi movimenti.

Guardò spaventata l'akuma davanti a sé, torreggiante sopra di lei, puntandole contro per l'ennesima volta la pistola.

"È la fine..." pensò la ragazza restando immobile, chiudendo gli occhi ad attendere il colpo.

Il rumore del caricamento della pistola ronzava nelle sue orecchie e l'unica cosa a cui riusciva pensare era che aveva fallito come Ladybug, tradendo Tikki, Chat Noir e tutti i parigini che contavano su di lei.

Ad un certo punto, un suono metallico ruppe il ronzio, sostituito dal ringhio dell'uomo reso malvagio da Papillon; l'adolescente riaprì gli occhi e vide Chat Noir che faceva roteare abilmente il suo bastone tra le dita, ghignando.

«Non credevo esistessero dei giocattoli così pericolosi. Più tardi farò reclamo alla fabbrica per toglierli dal mercato.» esclamò, per poi lanciarsi verso il nemico, calciandolo all'addome e scaraventandolo a diversi metri di distanza. «Principessa, stai bene?» chiese preoccupato.
«Se per te "bene" significa essere imprigionati sotto un cumulo di macerie allora sto bene, grazie.» rispose meno acida possibile, volendo liberarsi al più presto per trasformarsi.

Il biondo le ammiccò, mettendosi accanto a lei per sollevare i detriti, permettendole di strisciare fuori.

Marinette diede un rapido sguardo al danno che aveva subito: i pantaloni erano lacerati dal ginocchio in giù e, sulla gamba destra, si poteva vedere un taglio poco profondo, per sua fortuna, dal quale sgorgava del sangue e la caviglia piegata in uno strano angolo.

La ragazza non fece in tempo a rialzarsi da sola che Chat la prese in braccio in stile sposa, saltando sul tetto della scuola e, successivamente, davanti alla pasticceria dei coniugi Dupain-Cheng, aiutata dal suo partner di battaglia a rimanere in piedi.

Il danno alla caviglia sembrava parecchio grave e doloroso, ma lei strinse i denti, con un solo pensiero per la testa: battere l'akuma.

«Mari, io devo andare a prendere a calci l'uomo cattivo. Tu vai subito in ospedale, hai bisogno di cure urgenti.» si raccomandò Chat, avvicinandosi all'entrata del locale, ma venne fermato da Marinette.
«Devi farmi un favore.» lo pregò; sapeva che le avrebbe fatto parecchio male, ma doveva sopportare per i suoi amici ancora rinchiusi nella scuola. «Devi rimettermi in sede la caviglia.»
«Cosa?! No, non posso.» rispose lui nel panico, voltandosi verso la scuola dopo aver sentito delle urla di studenti.
«Invece sì che puoi.» la corvina gli mise una mano sulla guancia, spostando lo sguardo su di lei. «Io mi fido di te Chat, puoi farcela.»
«Io non voglio farti soffrire...» disse, ma la sua compagna insisteva.
«Sicuramente non mi farai più male di quello che sentirò quando lo faranno i medici.» scherzò, trattenendo una smorfia di dolore quando si sedette a terra. «Per favore. Fallo.»

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