Mai più soli

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Un tuono assordante scuote le mie membra stanche, perché da quando la guerra è finita io non ho più pace. Credevo che con la sconfitta di Voldemort sarebbe finito tutto, avrei smesso di avere paura, avrei potuto vivere una vita normale al fianco delle persone che amo di più e soprattutto che tutte le mie sofferenze sarebbero svanite: ma così non è stato. Non passa notte in cui gli incubi non mi assalgano, in cui non mi svegli urlando e piangendo con il corpo imperlato di freddo sudore, in cui non riveda i volti, contratti in una smorfia di muto dolore senza tempo, dei miei amici morti durante la battaglia di Hogwarts, assassinati brutalmente mentre combattevamo per la libertà che ci era stata negata, in cui non riveda Lei, Bellatrix. Mi perseguita la sensazione delle sue viscide mani addosso. Le stesse mani che mi hanno inferto dolore, fatto a pezzi l'anima, marchiata a vita come la peggiore delle bestie, privandomi spietatamente della mia dignità di essere umano. Il suo scopo non era solo umiliarmi, no, lei voleva di più, voleva spezzare la mia mente, per arrivare ad annientarmi fin nel profondo, annullando la mia stessa essenza. Quando mi trovo sola nella mia camera da letto e mi sveglio nel mezzo della notte, rivedo l'insano luccichio dei suoi occhi mentre mi torturava senza alcuna pietà scagliandomi contro innumerevoli Cruciatus. E poi riaffiora il ricordo del dolore, il più atroce che si possa immaginare ed al quale non si può sfuggire se non per la pietosa volontà del proprio aguzzino. È un dolore invadente, che non ti lascia scampo, come se migliaia di lame arroventate ti straziassero le carni, penetrando sempre più in profondità, per poi riemergere e conficcarsi in un altro punto. Gli occhi sembrano voler scappare da tutto quel dolore buttandosi fuori dalle orbite, mentre i polmoni vanno a fuoco rifiutandosi di immagazzinare ossigeno, tanto che anche quando la maledizione viene sollevata pure l'atto più semplice e spontaneo, qual è il respirare, diviene la più atroce delle torture . Ed io ho resistito, non ho venduto i miei amici a quel mostro, anche se più di una volta sono stata sul punto di farlo. In questo molti vedono una forma di eroismo, che vi assicuro io non ho mai posseduto, perché l'unico pensiero che mi ha impedito di parlare e rivelarle tutto ciò che voleva sapere, era quello che prima o poi, o perché si sarebbe stancata di me e del mio ostinato silenzio o perché in un eccesso di collera avrebbe oltrepassato la sottile linea che separa la vita dalla morte sulla quale si stava divertendo a danzare, mi avrebbe uccisa, liberandomi definitivamente dalla mia agonia. Io, a differenza di coloro che non hanno vissuto gli orrori della guerra sulle propria pelle, non vedo nulla di eroico o coraggioso in tutto ciò. "La ferita che porti sul braccio per te deve essere motivo di orgoglio e non di umiliazione", mi hanno detto. MUDBLOOD. Questo è la parola che è stata incisa sul mio avambraccio sinistro. Io non ho vergogna delle mie origini, ma quella cicatrice, che mi porterò addosso per sempre, è il simbolo di un genocidio perpetrato per il folle principio della "purezza del sangue", che ha spinto maghi e streghe, o meglio uomini e donne, a macchiarsi dei più atroci assassinii, nella cieca illusione di depurare il mondo da una "razza" inferiore. Quella parola impressa nella mia carne rappresenta la morte di migliaia di ragazzini, figli di babbani, a cui è stata negata non soltanto l'opportunità di vivere nel mondo magico e di godere delle meraviglie della magia, ma la vita stessa, brutalmente strappatagli dai Mangiamorte tra le mura di Azkaban. Ma rappresenta anche l'assassino dei miei genitori, trucidati perché colpevoli di aver messo al mondo un abominio come me.
Certe volte quando mi fermo a pensare mi chiedo perché sono sopravvissuta a quel massacro, perché non sono morta come i miei amici, del resto cosa avevo io in più di loro? Forse però a pensarci bene la mia non si può definire propriamente vita. Si, é vero che fisicamente il mio cuore batte ancora, ma credo di aver perso per sempre la mia anima, rimasta intrappolata tra gli orrori del mio recente passato. La mattina quando mi alzo dal letto mi chiedo che senso abbia tutto ciò, oramai vado avanti solo per inerzia. La cosa peggiore di tutte è lo sguardo di Harry, lo vedo vuoto e perso quanto il mio. So cosa sta provando e forse sono l'unica a capire davvero cosa sente. Tutti lo vedono come un eroe da osannare, per loro lui è il "Bambino che è sopravvissuto due volte", il salvatore del mondo magico, ma nessuno si è mai fermato a capire come sta, come si sente, nessuno, neppure Ron, che ormai si è perso tra i fumi della gloria acquisita. Non è più il ragazzo semplice che ho conosciuto sull'espresso per Hogwarts, quel ingenuo bambino che cercava di far diventare il suo topo giallo. Adesso è pieno di se, finalmente può godere di tutte le attenzioni che in passato gli sono state sottratte dalla fama del suo migliore amico. Sembra quasi che disprezzi Harry. Tra di noi le cose non sono andate bene, lo sentivo sempre più distante. Con il passare del tempo non c'era più quell'alchimia che negli anni si era creata. Io ero diventata per lui solo un peso, come mi ha urlato contro poco prima che rompessimo definitivamente. È arrivato persino ad accusarmi di essere andata a letto con Harry mentre stavo con lui, ma questo lui sapeva benissimo che fosse solo una stupida bugia perché il suo migliore amico non gli avrebbe mai fatto uno sgarbo del genere.
Dopo la rottura con Ronald ho attraversato un periodo ancora più buio, se possibile. Mi sono chiusa in me stessa e più di una volta ho contemplato l'idea di porre fine alla mia inutile esistenza, ma non ho mai avuto il coraggio di farlo davvero. Non riesco a capire se questa mia ostinata resistenza sia frutto della mia codardia o di una forma di rispetto nei confronti tutte le vittime della guerra, fatto sta che già tre volte arrivai a puntarmi la bacchetta sul cuore senza riuscire a portare a termine il mio obbiettivo. Ogni volta mi ritrovavo a pensare ad Harry, rivedevo il vuoto nei suoi occhi, come avrei potuto fargli una cosa del genere? Arrendendomi lo avrei lasciato solo a combattere i suoi demoni e se c'era qualcosa che nessuno dei due poteva permettersi era di rimanere solo con se stesso. Nessuno dei due, per la prima volta, poteva vincere da solo quella battaglia.
Fu così che circa due mesi fa ci avvicinammo. La nostra solitudine ci accomunava, la medesima oscurità ci avvolgeva e ci isolava dal resto del mondo. Era quasi strano avere qualcuno accanto che potesse capirti anche solo con uno sguardo. All'inizio ci limitavamo ad stringerci l'uno nelle braccia dell'altra nei momenti peggiori. Poi una sera mentre fissavamo le fiamme che si inseguivano nel camino del soggiorno, senza sapere come le nostre bocche si unirono, in un bacio che sapeva di disperazione ed amarezza, un bacio reso salato dalle nostre lacrime. Di quello che successe subito dopo non ho un ricordo nitido, so solo delle sue mani sul mio corpo, dei baci sempre più esigenti che scambiavamo con crescente necessità. Non facemmo l'amore, fu qualcosa di più animalesco, quasi istintivo, privo di razionalità. Nei suoi occhi c'era solo dolore e disperazione, così come nei miei. Per la prima volta dalla fine della guerra mi sentì viva. Sentivo l'adrenalina scorrere nelle mie vene, perché quello che stavamo facendo era profondamente sbagliato, ma ci faceva stare bene: ci permetteva di non pensare. Ed è così che ogni notte, da quella in poi, ci teniamo compagnia a vicenda e quando gli incubi prendono il sopravvento ci abbracciamo forte e stiamo insieme per dimenticare. Non credo che il nostro possa definirsi amore, ma va bene così, ci basta avere un motivo per sopravvivere. Forse l'oscurità che ci attanaglia il cuore non andrà mai via, ma noi non la combatteremo da soli, saremo l'uno a fianco dell'altra, pronti a difenderci vicendevolmente dai nostri demoni.

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