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È come se fossi in attesa.
Sto letteralmente chiamando a me la morte.
Credo di preferire quest'ultima, invece di sostare in questo lerciume.
Sudicio.
Sono sudicio.
Non ho neppure il coraggio di toccarmi.
Questo posto è lordo.
I miei vestiti, lo sono.
Questo pigiama, questo tessuto a righe, è terribilmente sporco.
Non riesco neppure a spiegarmi come sono finito qui.
Protendo lentamente una mano verso la barriera, che mi divide dal mondo esterno.
Ed inoltre, mi offre la capacità di osservare cosa c'è dall'altra parte.
Mi strappa via la libertà, la sgretola, e la fa scivolare via, come se fosse acqua.
Acqua.
Non ricordo l'ultima volta che ho avuto l'occasione di assaporarne un po'.
Sospiro, e i polpastrelli delle dita, imbrattati della polvere del terreno, scorrono lungo le protuberanze aguzze del filo spinato.
D'un tratto, le cinque dita affusolate della mano, stringono con forza quest'ultimo.
Ed iniziano subito dopo a smuoverlo, con rudezza.
Digrigno i denti, e continuo ad accentuare la presa, come se stessi cercando di distruggere quella, che all'apparenza, sembrava una barriera assolutamente innocua.
Ritiro di scatto la mano ossuta, e i pori della pelle, liberano il liquido scarlatto, che scorre lungo le vene.
Osservo il sangue fresco e denso rigare la manica dell'indumento a righe.
Che stupido.
Davvero pensavi di riuscire a liberarti così, Jimin?
I miei complimenti, davvero.
Strofino il palmo sulla maglietta, lercia, e sospiro.
Poi, le iridi trafficano nuovamente verso il filo.
O meglio, verso l'esterno.
Una figura, fa capolino fra i ciuffi del terreno erboso.
Corrugo la fronte, ed avvicino ancora le mani al filo, iniziando a stringerlo nuovamente, non curandomi delle ulteriori ferite che scalfiscono la mia pelle, nel mentre che cerco di avvicinarmi.
Non che mi interessi, per carità.
Sto solo cercando di assimilare l'aspetto della sagoma.
Metto a fuoco la vista, e lo sguardo, si concentra sugli occhi, scuri, profondi.
A primo impatto, sembravano due pozzi privi di fondo.
Hanno un evidente taglio a mandorla, proprio come i miei.
I capelli, invece, sono tutto il contrario.
Possiede una chioma scura, sforbiciata in maniera elegante.
Evidentemente, appartiene ad un ceto elevato.
I vestiti, rigorosamente decorati dal pizzo e da una serie di merletti, sembrano valere un patrimonio.
A quel punto, ogni dubbio tramuta in una certezza: si tratta di un essere importante.
Si fa strada fra i sottili ciuffi verdognoli, con leggiadria.
Assumeva un portamento nobile, signorile.
Qualche attimo più tardi, si volta verso la barriera spinata.
Merda.
Forse, si è accorto di me.
Diamine, avevo iniziato a fissarlo.
Distolgo immediatamente lo sguardo, fingendo di non aver percepito nulla.
Non avevo detto di non essere interessato? Che non mi importava?
Ma certo, cosa può fregarmene di uno sconosciuto?
Peccato che, infondo, qualcosa mi importava.
Forse.

paper plane ✧ jikook.Where stories live. Discover now