Prologo

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-Harleen,dovrai prenderti cura del paziente nella stanza 217-

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-Harleen,dovrai prenderti cura del paziente nella stanza 217-. Fissai Amber piuttosto contrariata. Incrociai le braccia al petto e tentai inutilmente di calmare i miei bollenti spiriti.

-Il terzo piano non è di mia competenza-. Bisbigliai utilizzando un tono professionale nonostante mi sentissi presa in giro da quella vecchia bacucca. -Mi occupo solo del primo piano-. 

-Non preoccuparti-. Sentenziò dura in risposta senza posare lo sguardo sulla mia figura neanche una volta. -Ti troverai bene con Jack-. Inarcai le sopracciglia completamente devastata. Era diventata un'abitudine di poco gusto quella di addossare i pazienti sull'ultima psichiatra arrivata. 

-Che problemi ha?-. Chiesi ormai arresa a quella presa di potere squilibrata, tirando fuori il taccuino e la penna a stilo pronta a recepire quante più informazioni possibili sul soggetto.

-Non cercare di curarlo-. Si limitò a rispondere sfilandomi dalle mani il taccuino e fissandomi per la prima volta. -Non analizzarlo. Non capirlo. Non parlarci. Non cedere alle sue provocazioni-. A quelle parole, non potei fare a meno di sbottare innervosita. Era diventato impossibile continuare ad annuire come una bambolina. 

-Insomma. Cosa diavolo dovrei farci allora?-. Mi pentì di aver utilizzato una tale sfacciataggine sul posto di lavoro: per quanto non potessi sopportare Amber era pur sempre una persona di rango superiore al mio in quel manicomio. Intrappolai il labbro inferiore fra i denti e mi dannai l'anima. 

-Limitati a sfamarlo-. Il tono di Amber non ammetteva repliche, parve non essersela presa per la mancanza di rispetto e ringraziai il cielo per questo... Tuttavia, tutte quelle avvertenze non fecero altro che spingermi ad essere più curiosa. Come psichiatra, più profonda è la follia più interesse desta. 

Camminai spedita verso la camera numero 217 del terzo piano: era poco illuminato e puzzava terribilmente di muffa. Mi chiesi da quanto tempo quei corridoi non venivano spazzati. 

Feci cenno all'agente posizionato di fianco alla camera e in meno di un secondo mi ci fiondai dentro. Analizzai attentamente l'ambiente: era marcio, buio, tetro e terribilmente spaventoso. Non appena la porta si richiuse alle mie spalle, una risata priva di divertimento mi perforò i timpani. Lui era proprio dietro di me.

Rimasi pietrificata chiedendomi per quale assurdo motivo non fosse stato legato con la camicia di forza. Tentai di mantenere la calma non appena il suo fiato fresco si posò sul mio collo: era gelido.

-Tu..-. Sussurrò continuando a ridere amaramente. -Devi essere la nuova psicologa-. 

-Sono una psichiatra-. Ribattei duramente allontanandomi di scatto e voltandomi verso Jack. O meglio, verso un pagliaccio. Rimasi completamente stupefatta dal suo viso, dai suoi lineamenti, dalle sue cicatrici e dalla sua espressione divertita e al tempo stesso depressa e nostalgica.Si era dipinto una maschera da clown sul volto -Sei Jack?-. Domandai ordinando a me stessa di non esserne spaventata, stringendo sempre più forte fra le mani la sua cartella clinica e penale pesante quanto un mattone. 

-Quel nome non mi rispecchia-. Canticchiò spensierato. -Troppo serio per un tipo divertente come me-. 

-Come vuoi che ti chiami?-. A quelle parole vidi la sua espressione mutare impercettibilmente. Si fermò al centro della stanza e ricominciò a ridere divertito quasi avessi raccontato la più divertente delle barzellette. -Cosa c'è di divertente?-. Chiesi infastidita. 

-Oh piccola, in questo mondo di pagliacci tutto è divertente-. Pronunciò quella frase piuttosto seriamente, con il solito tono di voce basso e lascivo come lo slinguazzare di un serpente. 

-Credi di essere un pagliaccio?-. 

-Tutti lo siamo!-. Urlò cambiando umore per l'ennesima volta nel giro di pochi secondi ed alzando le mani ed il viso al soffitto. Erano passati meno di cinque minuti ed avevo già disobbedito a tutte le regole di Amber: ci avevo parlato e lo stavo analizzando. 

-Credi di essere pazzo?-. Diedi libero sfogo alla mia curiosità. Era pazzo al 101%. Eppure, la maggior parte dei pazzi rinnega di esserlo: ero convinta che lui non l'avrebbe fatto. 

-Pazzo?-. Domandò a se stesso portandosi una mano a sfiorarsi il mento. Cominciò a camminare per la stanza realmente perplesso, sfiorandosi il mento con il pollice e l'indice della mano destra. -Credo di esserlo-. Rispose quasi avesse fatto la più grande delle scoperte. -Si, si si!-. Urlò divertito. -Sono pazzo!-. Aggiunse ironicamente poggiandosi a peso morto sul letto accanto al muro. -Pazzo, pazzo, pazzo!-. Cominciò a sbattere i piedi sul materasso divertito dal rumore delle molle ormai vecchie e consumate del letto. Poi, d'un tratto si risollevò mostrandomi ancora quanto capace fosse di cambiare umore in pochi secondi: era tornato completamente serio.

 -Lo siamo tutti. Tu credi di non essere pazza? Beh,credere di non esserlo è il primo passo per diventarlo-. Mi si avvicinò pericolosamente e poggiò una mano sul mio viso.-Harleen Quinzel-. Aggiunse sfiorando con l'indice della mano sinistra,la targhetta con il nome sulla mia divisa. -Mi piace. Mi ricorda arlecchino-. Sorrise intenerito. -Saremo una gran bella squadra. Io e te-. 


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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 23, 2016 ⏰

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