A volte mi ritrovavo a pensare.
Sul letto, in camera mia, con la coperta avvolta attorno alle spalle e la porta chiusa a chiave.
Mi sforzavo di regolare il respiro, di mantenerlo al suo normale stato mentre le lacrime scendevano silenziose sulle mie guance leggermente arrossate.
Trattenevo a stento i singhiozzi o, nei casi peggiori, le urla isteriche.I miei "genitori" non dovevano sentirmi. Non mi avrebbero mai perdonato.
Loro pensavano che io fossi il figlio perfetto, ma non sapevano niente di me. In fondo mi avevano adottato a quindici anni e ne avevo solo diciassette quando cominciai a passare le giornate solo.
Ogni giorno mi ritrovavo solo a piangere, e pensavo, pensavo molto.
Mi chiedevo a cosa servisse vivere.
Tutti prima o poi saremmo dovuti morire, nessuno escluso. Allora a cosa mi sarebbe dovuto servire vivere la mia vita? Non avevo più nessuno a cui voler bene, avevo perso tutti. Non avevo più nessuno per cui alzarmi alla mattina, non provavo più nessuna felicita ad andare a scuola.
Da quando avevo perso i miei genitori e il mio migliore amico in un incidente d'auto mi ero sempre sentito in colpa.
Perché io ero vivo? Perché non ero morto io al posto loro? Avevo visto il mio compagno di vita privato della sua vita.
"«Calum che bello! Andiamo al mare non sei contento?» Chiesi quella mattina al mio migliore amico.
Aveva dei bellissimi capelli scuri che ricadevano sulla sua fronte ambrata.
Era davvero un bel ragazzo e tutte le ragazzine del quartiere se ne erano accorte.
Delle volte lo odiavo. Lui aveva sempre tutte ai suoi piedi. Io ero lo sfigatello di turno.Comunque, ero davvero felice al pensiero di passare due settimane al mare con lui e la mia famiglia.
Euforici salimmo in macchina. Mamma e papà davanti e io e Cal dietro.
Noi cominciammo subito a giocare con i cellulari, ad ascoltare questa e quella canzone, a messaggiare con amici invidiosi.
Mamma e papà parlavano, ridevano e ci osservavano tramite lo specchietto retrovisore.Eravamo così felici.
Poi accadde. Non so esattamente come.
Un camion uscì dalla sua corsia invadendo la nostra e scaraventandoci fuori dalla carreggiata.
La macchina era sotto sopra.
«Mamma papà!» Urlai. Loro non risposero e non lo fecero mai piu.Io stavo bene. Mi facevano male le gambe ma stavo bene!
E poi lo vidi. Mi voltai alla mia destra e notai una lunga scia di sangue scendere dallo stomaco di Calum, quando le goccie arrivavano ai capelli cadevano sul soffitto.
Gli strinsi la mano quando capii che era ancora in vita.
Mi stava guardando, dritto negli occhi.
Nel suo sguardo potevo leggere paura, dolore e un senso di consapevolezza.«Andrà tutto bene Calum, tutto bene. Ci sono io qui okay?» Cominciai.
Lui fece un mezzo sorriso che sparì subito dal suo volto. «Aiutami Luke. Fa tanto male.» Mi si spezzo il cuore a quelle parole pronunciate così innocentemente.
Portai lo sguardo al suo stomaco dove una parte della lamiera che componeva la carrozzeria dell'auto si era conficcata in profondità. Non c'era modo di salvarlo.«Hey hey. Tu sei Calum Hood. Lo stesso Calum Hood che si fa tatuaggi a caso perché lo fanno sembrare più forte. Lo stesso che non ha mai pianto. Lo stesso che per me ci è sempre stato.
Tu sei il ragazzo piu forte che conosco. Okay?»
Gli strinsi la mano più forte che potevo.Non piansi. Dovevo resistere per lui.
Calum annuì. Ormai le forze lo stavano lasciando.
«Ti ricordi quando siamo andati su quella collina e tu hai voluto a tutti i costi scendere con la bici in velocità?»
Aspettai che annuisse e poi continuai.«Io non volevo ma tu continuavi ad insistere. -Forza Luke. Hai paura eh?- Mi avevi fatto talmente arrabbiare che decisi di scendere. Alla fine si rivelò una fortissima esperieza. Anche perché tu cadesti, il che fu davvero esilarante. »
Lui mi guardava e ascoltava attentamente le mie parole. Io risi leggermente al ricordo della sua strepitosa rotolata per l'ultima parte di discesa.
«Ecco vedi, è quello il Calum che conosco io.»
Il sangue ormai colava a fiumi.
Sentii la sirena dei soccorsi in lontanaza.«Ecco ecco. Arrivano. Tra poco saremo fuori.» Esclamai sorridendo.
Proprio in quel momento gli occhi del mio migliore amico si chiusero. Gli sussurrai un flebile ti voglio bene prima di scoppiare a piangere."
E da allora mi chiedevo quale fosse il senso della vita.
Ma poi un giorno guardai il cielo.
Così azzurro. Poi, per quel poco che riuscii, guardai il sole.Anche loro prima o poi non sarebbero più esistiti e pure continuavano a illuminarci.
Il sole aveva visto tante persone perdere la vita ma non si era mai abbattuto, era ancora li per chi rimaneva.
E così decisi. Sarei rimasto per quelli che, prima o poi, avrebbero avuto bisogno di me.
Mi manchi Calum.
Ed eccomi con un altra os triste per la vostra gioia.
Votate babies
Fatemi sapere cosa ne pensate e se dovrei scriverne delle altre.