Sono da poco passate le sette di mattina. Paolo, ancora a letto, viene svegliato dalla mamma che, con un bacio sulla fronte, interrompe il rilassante sogno del figlio.
Sono da poco passate le sette di mattina. Efrim, adagiato su un mucchio di sterpaglie, viene svegliato da un uomo alto e bianco che, con un calcio sulla gamba, pone fine alle sei ore di sonno a cui il bambino ha diritto.
<Buon compleanno Paolo!> dice la mamma finché porta in braccio il figlio in cucina, dove ad attenderlo c' é una torta al cioccolato con nove candeline accese.
<Svegliati, é ora di andare!> urla l' uomo che, adesso, sovrasta con la sua altezza il piccolo corpicino di Efrim senza lasciargli nemmeno una via d' uscita.
Soffiate le candeline Paolo si mangia una bella fetta di torta, torna in camera per cambiarsi e infine, superato il soggiorno, esce con la mamma per andare a scuola.
Sospirando, Efrim si mette con difficoltá in piedi, indossa una canottiera bianca e sporca ed esce dallo stanzone nel quale dormiva.
Agli occhi di Paolo, una cittá grande come Roma, ha un aspetto oppressivo, quasi inquietante. Per questo, dopo essersi seduto sul portapacchi della bici della mamma, appoggia la testa sulla schiena di quest' ultima per venire poi pervaso da un senso di sucurezza che caratterizzerá tutto il tragitto da casa a scuola.
Agli occhi di un bambino di nove anni come Efrim, la Savana, l' immensitá di questo territorio, provoca una paura incredibile. Ogni mattina, per arrivare alla miniera dove lavora, deve camminare per mezz' ora assieme al suo migliore amico Ekene: si tengono per mano, consapevoli della loro debolezza e degli infiniti pericoli ai quali sono esposti con la certezza che, in caso di necessitá, nessuno verrá in loro soccorso.
Appena arrivato a scuola, Paolo saluta la maestra. Rivede Luca, Pietro e Sabrina, i suoi migliori amici; gli hanno portato un regalino per il suo compleanno. Tolta la carta argentata, viene alla luce una confezione con dei soldatini di plastica all' interno.
Arrivati all' entrata della grotta, Efrim ed Ekene vengono condotti all' interno assieme ad un gruppo di bambini che nemmeno conoscono; un uomo (questa volta di colore) li conduce a son di spinte fino ad un' ampia camera dove due persone dal volto coperto estraggono da alcune buste argentate dei picconi: ne consegnano uno a testa.
Paolo si siede comodamente sul suo banco nell' angolo della classe: é felice, si sente bene. Nel silenzio generale, intervallato ripetutamente dal rumore delle matite che solcano i fogli, prende parola la maestra: <Sú, bambini! Cominciate a scrivere l' alfabeto!>
Efrim ed Ekene si posizionano di fronte ad un' umida parete, stanchi solo al pensiero dello straziante lavoro che li attende. Nel silenzio generale, intervallato ripetutamente dal rumore dei picconi che sfregiano la dura roccia, prende la parola uno dei due uomini dal volto coperto: <Muovetevi! Entro fine giornata dovete aver trovato almeno quaranta pezzi di ferro, se ci tenete a mettere qualcosa sotto ai denti la sera!>
Sono le 11:00. Per Paolo é arrivata l' ora della ricrazione ed esce con tutti i suoi amici nel giardino della scuola per giocare ad acchiapparella.
Sono le 11:00. Il lavoro di Efrim, Ekene e di tutti gli altri bambini continua ininterrotto.
Tocca a Paolo prendere. Dopo solo un minuto si ritrova gia all' inseguimento del suo caro amico Pietro, che é molto veloce. L' ha quasi raggiunto, gli manca un metro. Con un salto riesce a toccare la caviglia del fuggitivo, facendo peró a quest' ultimo lo sgambetto. Pietro cade e si sbuccia il ginocchio.
Per Efrim, é un passatempo piacevole fissare le goccioline di acqua calcarea che scivolano sulla nera roccia, quasi facessero a gara per arrivare prime al terreno. É proprio durante una di queste avvincenti sfide che il suo piccone non viene a trovare la roccia e prosegue il suo percorso quasi lineare per poi andare a conficcarsi nel ginocchio di Ekene, il quale aveva ormai decretato la stilla vincitrice della corsa.
Pietro si mette a piangere. Paolo, in lacrime anche lui perché cosciente della sua colpa, va a chiamare la maestra che, con un sorriso rassicurante, prende in braccio il bambino ferito per portarlo in classe e medicarlo.
Nella grotta eccheggiano le urla di Ekene. Efrim, addolorato e distrutto nell' animo per quello che aveva fatto a causa della sua disattenzione, chiama l' uomo dal volto coperto. Quest' ultimo prende Ekene per il collo, sebbene il bambino abbia la gamba spezzata e escano flutti di sangue dalla ferita. <Vai a casa e fatti curare> Gli dice <Ci vediamo domani al lavoro>.
Efrim é distrutto: sá che nel tragitto Ekene morirá e che deve comunque continuare a lavorare, senza poter prestare aiuto al suo unico amico, consapevole di essere egli stesso la causa della sua morte.Medicato Pietro, la maestra si dirige verso Paolo che, ancora in lacrime, é triste e sconsolato <Tranquillo, Pietro sta bene, adesso torna a giocare! Non é successo nulla!>.
Portato Ekene fuori dalla miniera,un uomo si dirige verso Efrim che, martoriato dal dolore, aveva interrotto il suo lavoro <Muoviti! Lavora! O se no ti facciamo fare la stessa fine del tuo amichetto!>.
Paolo, felice dopo aver visto Pietro correre nuovamente, si siede, finita la ricreazione, di nuovo al suo posto.
Efrim, distrutto dalla sofferenza, riprende a picconare la parete di roccia: sembra che nemmeno le goccioline vogliano piú fare a gara per arrivare al terreno.
Un raggio di sole illumina il braccio di Paolo: tutto stá andando perfettamente. Ha tanti amici, una vita piena di persone che gli vogliono bene, una casa, delle certezze, un avvenire. Alla sola idea del suo futuro la faccia di Paolo lascia spazio ad un grandissimo e solare sorriso.
Il reiterato rumore delle picconate rimbomba nella mente di Efrim come se non fosse la roccia a subire i colpi ma la sua stessa testa. La parete buia che lo sovrasta da davanti non permette alcuna prospettiva di un futuro felice, di giorni solari e di momenti gioiosi. É un muro, un muro che si frappone fra Efrim e la libertá, la spensieratezza e la vita.
Nella mente del bambino, della vittima principale di un giro di soldi fuori dalla sua innocente portata, l' idea di un domani grigio regna incontrastata. Grigio, grigio come il piccone che stringe ogni giorno in mano. Grigio, come la roccia umida che martorierá con le sue piccole manine in eterno. Grigio, grigio come le catene immaginarie che lo tengono ancorato ad una vita non sua, non adatta ad un bambino, non adatta ad un adulto, non adatta ad un vecchio, non adatta né ad un essere umano né al peggiore e piú arretrato degli animali.