Capitolo 2

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     Ore 8.15. Mi sveglio. Farei meglio a dire che sia stata quella stronza di Cayetana a svegliarmi. Per vendicarmi le cago nella borsetta, che successivamente sbatto con veemenza sul tavolo della cucina, imbrattandolo tutto assieme alla colazione di quella mangia-tacos. "Ingurgita la mia merda, puta inmigrada!" Il mio dito medio le si stampa nella mente. Controvoglia mi rivesto. Mi accendo una sigaretta e intanto scrivo commenti maligni sotto le foto delle grassone su Facebook. Il mio pane quotidiano. Si fanno le 8.30 e mi decido a salire in macchinetta. Mi accendo un'altra sigaretta e intanto continuo con il solito fat-shaming. Guido con le mie ginocchia arrossate. Investo diversi bambini, ma alla fine arrivo al Tito Livio. Parcheggio, come mio solito, sulla rampa riservata ai disabili, ostruendola. Varco la porta e mi dirigo in classe. Sono oramai le 9.00. La professoressa mi saluta con un cenno della mano ed un sorriso. Le do una sberla. "Così impari a non portarmi la dovuta riverenza, figlia di madre ignota". Si china a terra. Mi bacia il calcagno. Raggiungo il mio posto, all'ultima fila, ma nel frattempo, non perdo l'occasione di afferrare la testa di una nerd e sbattergliela sul banco. Il sangue schizza e macchia il mio candido corsetto. Che goduria. Mi siedo. La professoressa, tramortita a terra, si rialza dopo svariati minuti di agonia. "Bene ragazzi" si asciuga un rivolo rossastro che le scende dalla fronte e le solca il viso "volevo cogliere l'occasione per presentarvi la vostra nuova compagna.". La nerd alza il capo riverso sul banco e si dirige verso la cattedra, pulendosi il volto sfigurato e ricoperto di bava e muco. "Di il tuo nome" la invita la professoressa. "Di il tuo cazzo di nome" intimo io dall'ultimo banco. "Maria... mi chiamo Maria." Proferisce con timore.

Bene Maria. Ci vediamo a ricreazione.

Il suono della campanella rompe la tensione degli ultimi minuti. La professoressa, rimasta in vigile allerta fino alla fine dell'ora, scappa furiosamente dalla classe, dirigendosi urlante e piangente verso il bagno. Crystal e Sarah mi attorniano.

"Ehi, puttanella, come ti è andato il weekend?" esordisce Crystal, mostrando il suo inconfondibile sorriso equino.

"Bene. Da sballo."

"Come mai ieri non ti sei fatta vedere a danza? Durante la pausa sono stata costretta a vomitare insieme a Silvia, ma non è stata la stessa cosa senza di te." aggiunge Sarah, rigurgitando le parole da quella fogna che si ritrova al posto della bocca. Il suo odioso accento napoletano mi urta profondamente.

"Mi dispiace. Recupereremo alla prossima ora dai."

"Embé, allora ci vuoi dire che hai fatto?"

"Sono uscita in centro. Ho incontrato uno."

"Te lo sei fatto?" Crystal ha in volto il ghigno da pervertita che l'ha sempre contraddistinta.

"Secondo te?" Questa poraccia mi sottovaluta.

"E com'è stato? Dicci!"

"Intenso, ma niente di speciale. Come le altre volte, alla fine." Non credo veramente alle parole che ho appena detto. Una vocina dentro di me, mi dice che è stato diverso. Ma non posso distrarmi. Non posso pensare di legarmi a qualcuno, compromettendo così l'immagine che il mondo ha di me e che ho impiegato anni a costruire.

     Il professore entra in classe. Adesso ci toccheranno due ore di greco. Che palle! So che si tratta di una materia utilissima, lo dico sempre di fronte a quelli dello scientifico, ma non posso far vedere che mi ci impegno veramente. Intanto ho sempre la media del dieci.

     "Buongiorno ragazzi." Si volta verso di me. "E buongiorno, Rebocca." Si prostra con spirito di devozione. Accenno un sorriso e mi alzo. Dalla borsa Louis Vuitton estraggo una mela rossa. Con cadenza felina, attraverso la classe. Porgo il frutto al professore. "Per il mio prof preferito" e gli accarezzo l'avambraccio. Mi volto di scatto e, noncurante, sfilo l'iPhone dalla tasca. Nessuno sospetta nulla. Con un semplice tocco dello schermo, aziono l'ordigno nascosto nella mela. L'esplosione violenta sventra la classe. Sento un oggetto viscido sulla spalla. Lo tasto, ed è con piacevole sorpresa che mi ritrovo fra le dita l'orecchio del professore. Non ci rimprovererai più per il nostro chiacchierare, vecchio bastardo. Urla e risate isteriche si mescolano alle imprecazioni della preside, che scorgo sulla soglia della porta. Lentamente riprendo posto, e davanti ai miei occhi, si presenta una scena ancor più soddisfacente di quanto potessi figurarmi. Il corpo divelto del Signor Fumagalli giace sulla sedia. Oppure, farei meglio a dire il suo cinquanta per cento. Di fatto, le sue gambe grondanti sangue si possono dire ancora intatte, mentre non è oramai più possibile distinguere il torace, in mezzo a quella poltiglia fumante che ha sostituito l'intonaco delle pareti. E noi che volevamo pure ridipingere l'aula. Sulla cattedra, si possono ancora intravedere i resti del suo cranio. La mandibola è leggiadramente disarticolata; nonostante essa descriva un angolo piatto col resto del capo, si scorge ancora la paura ed il terrore da lui provati negli ultimi istanti di vita. La preside tenta invano di privarci della vista di questo spettacolo, ma oramai è troppo tardi. Le nostre menti giovanili risultano irreversibilmente corrotte.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 19, 2016 ⏰

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