Capitolo 1

16 1 0
                                    

Alice cominciava a sentirsi assai stanca di sedere sulla sdraio in giardino accanto a sua sorella, senza far niente: più volte aveva cercato di interessarsi al libro che Camille stava leggendo, ma le stupide storielle da quattro soldi che ormai invadevano il mercato non le interessavano. Non c’era niente di sensato in quei libri (se così si potevano definire) e ancor più senza senso era la capacità di quegli pseudo-scrittori di riuscire a venderli e guadagnar fior di quattrini. Certo che, pensò Alice, nel XXI secolo siamo caduti proprio in basso.

Non aveva mai perso tempo a lamentarsi eppure, da un po’ di tempo, non riusciva a trovare una spiegazione logica e razionale al mondo che la circondava. Potevano sembrare pensieri fin troppo pessimistici per una ragazza di appena diciott’anni, ma almeno lei pensava, azione che, ovviamente, era preclusa alla maggior parte delle sue coetanee.    Ecco perché restava sempre ai margini; ecco perché cercava sempre di evitare coloro che avrebbero potuto contaminarla con la loro stupidità e strafottenza.

Anche il suo aspetto fisico era stato influenzato dalla sua volontà di restare fuori dagli schemi: aveva tinto i capelli, passando da un biondo dorato ad un nero corvino, e continuava a vestire solo ed esclusivamente di nero, un colore che quasi nessuno indossava nella sua scuola.

Quello, inoltre, era anche il colore che aveva scelto per la sua anima.

Si stava interrogando su quanto sarebbe stato utile andare al College quand’ecco un coniglio nero passarle accanto, quasi sfiorandola.

Alice sgranò gli occhi. Com’era possibile che un coniglio fosse riuscito a salire su di una terrazza? E per quale motivo stava parlando? Come diavolo ci riusciva?

«Ho fatto tardi!» sembrava dicesse da lontano.

Fu ancora più strano quando il coniglio trasse un orologio dal taschino del suo panciotto e lo consultò.

Un coniglio con un panciotto?

Stava impazzendo, non c’era altra spiegazione.

Non esistevano conigli bipedi, né tantomeno capaci di parlare, vestiti con un panciotto e con in mano un orologio!

Decisa a trovare una spiegazione razionale alla faccenda, che di sensato non aveva proprio niente, corse dietro al coniglio.      Nient’altro, avrebbe capito in seguito, che il frutto della sua immaginazione.

Il coniglio si bloccò proprio accanto alla botola che nascondeva le scale di casa Liddell. Alice viveva in quell’edificio da ormai tantissimi anni, quindi sapeva perfettamente che nessun animaletto avrebbe potuto sollevarla, a meno che non fosse una scimmia con particolari abilità. Eppure, il coniglio nero ci riuscì. Sorpresa ma non troppo, data la già affermata stranezza della giornata, Alice, di nuovo, lo seguì. Ma invece delle sue familiarissime scale, trovò il vuoto.

O il pozzo era molto profondo oppure Alice cadeva lentamente: il fatto certo è che lei, prima d’arrivare in fondo, ebbe tutto il tempo di guardarsi intorno e chiedersi che cosa le stesse capitando. In un primo tempo cercò di guardare in basso per vedere dove stava andando a finire. Ma c’era troppo buio e non si vedeva niente. 

Decise, allora, di guardarsi intorno: le pareti erano piene zeppe di scaffali, da ogni parte si vedevano grandi fascicoli pieni zeppi di fatture. E cappelli.

C’erano cappelli ovunque!

D’un tratto le tornò alla mente una visita guidata fatta qualche anno prima con la scuola: avevano visitato La Cappelleria di Mr. Hatter, in cui venivano prodotti copricapo su scala internazionale.

Alice aveva assistito alla produzione di berretti, baschi, bombette, sombreri, tutti coloratissimi e particolari. Le era particolarmente piaciuto un grosso cilindro viola con la stampa di un gatto alquanto bizzarro raggomitolato su un albero, ma l’aveva dimenticato in fretta: era difficile trovare qualcosa che non l’annoiasse dopo un po’.

Tornata al presente, Alice continuò a guardarsi intorno, ma c’era ancora più buio di prima. Facendo molta attenzione, iniziò a camminare alla cieca. Non fu facile individuare il  coniglio,  dato  che  riusciva a mimetizzarsi perfettamente con le ombre, ma ci riuscì e lo seguì. Lo trovò fermo davanti ad una porta di normali dimensioni e notò che l’animale ora era alto più o meno quanto lei.

«Ehm…» mormorò «salve, coniglietto». Il coniglio fece un sorriso sghembo.

Okay, si disse Alice, mantieni la calma. I conigli non sorridono. Non parlano. Non hanno dimensioni umane. È solo un brutto sogno,   ti    sveglierai,    fa’   il    suo gioco.      

«Evita questi stupidi nomignoli, ragazzina. È la tua coscienza a rappresentarmi in questo modo.» si fermò e, di fronte ad un’Alice stupita, sospirò e continuò: «Cosa c’è da capire? Non ricordi? Stai impazzendo, di nuovo, ed io ne sono la prova».

Alice non riusciva a trovare un senso a quelle parole. In realtà, non c’era nessun senso in un grande coniglio nero, dalle caratteristiche fisiche sempre più umane, che diagnosticava la follia. E poi perché sarebbe dovuta impazzire? Era una normalissima ragazza di Daresbury con un’unica preoccupazione: il College.

«Sono piuttosto sicura che tu sia una sorta di sogno, ma visto che siamo nel bel mezzo della partita, giochiamo. Perché starei impazzendo?»

Il coniglio ignorò la domanda «Io ti conosco, Alice. Non sono altro che una tua rappresentazione, per quale motivo dovrei mentirti? Io so. Ricordi Mr. Black, il tuo amico immaginario? Sono io. Io so tutto di te».

Alice impallidì. Ricordava benissimo la sua infanzia, soprattutto i suoi sei anni. Cercò di parlare, ma Mr. Black prese nuovamente la parola. «So a cosa stai pensando e sì, mi riferisco proprio a quello. Non è normale che una bambina di sei anni cerchi di annegarsi, Alice. E non è normale neanche che provi ad ingoiare del detersivo.»

Alice scoppiò a piangere. Le lacrime uscivano copiose dai suoi occhi, mentre ricordava l’esatto momento in cui suo nonno l’aveva tirata fuori dall’acqua o quando sua sorella, con il viso pieno di terrore, l’aveva trovata in bagno mentre cercava di bere della candeggina. Aveva cercato di rimuovere quei ricordi e non c’era riuscita, ovviamente, ma nessuno ne parlava mai. La sua famiglia credeva che avesse dimenticato quegli scenari orribili, ma non era vero.

Cominciò a singhiozzare, il dolore partiva dal petto e si propagava nel resto del corpo. Il coniglio nero, Mr. Black, non era che la prima delle manifestazioni della sua follia. Lo era sempre stato.

Sto davvero  per  impazzire,  pensò  Alice,  o forse sono sempre stata pazza.

«Certo che lo sei sempre stata, Alice.» disse Mr. Black rispondendo alla sua domanda silenziosa «Come credi di poter fuggire da ciò che è dentro la tua testa?»


Alice nel paese degli Orrori Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora