Space Oddity

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Era il tempo in cui le navi a vela solare solcavano lo spazio una volta immenso tra i pianeti del sistema solare; la velocità della luce era stata raggiunta, la luce stessa imbrigliata nei motori. I sistemi planetari vicini erano facilmente raggiungibili con navi-fionda solari.

Il Sole.
La luce.
Tutto dipendeva da essa: il lancio, il viaggio utilizzava l'energia catturata e accumulata da una stella vicina.
L'umanità ha sempre visto prima i limiti ancora da raggiungere piuttosto che gli obiettivi conquistati. E' sempre stato così, nel bene o nel male. Come si potevano raggiungere le stelle più lontane e, ancora più in là, le galassie al di fuori della Via Lattea?
Come colmare quel vuoto?

"Controllo di terra a Maggiore Tom."

La risposta fu trovata, intuita dagli scienziati.
Scienziati alternativi da sempre denigrati dalla scienza cosiddetta "ufficiale". Come se lo spazio e le sue stranezze avessero un unico modo per essere guardate, raggiunte e comprese.
Tanto tempo fa un poeta scrisse: "Ci sono più cose in Cielo e in Terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia".

"Controllo di terra a Maggiore Tom. Prendi le tue pillole proteiche e mettiti il casco."

La risposta fu trovata modificando una visione materiale per una visione energetica, dove tutto con la giusta energia sarebbe stato possibile, anche l'impossibile. La matematica divenne musica, la fisica pittura, l'ingegneria scultura. La scienza divenne arte. E funzionò.
Nacque così Space Oddity, il primo motore a frequenze dimensionali. Per raggiungere un luogo, ovunque esso sia, si doveva creare le condizioni nelle quali ci si dovrebbe trovare una volta raggiunta la destinazione; fingere di esser già arrivati e, incanalata l'energia correttamente, si sarebbe arrivati.

Sulla rampa di lancio stava un razzo a stadi. A bordo, la navicella che montava il motore a frequenze dimensionali attendeva di fare il suo primo volo. Il battesimo. Tutti gli occhi dell'umanità gli erano puntati contro; insieme attendevano il responso dell'Universo. Avrebbe fallito? L'uomo era nato per essere precluso ad una piccola, minuscola porzione di Cosmo?

"Controllo di terra a Maggiore Tom."
"Dieci."
"Nove."
"Conto alla rovescia cominciato. Motori pronti."
"Otto."
"Sette."
"Sei."
"Cinque."
"Quattro."
"Tre."
"Due."
"Uno."
"Controllo accensione."
"Decollo."
"Che l'amore di Dio sia con te."

La rampa di lancio si illuminò, un rombo riempì il cielo; un fulmine che saliva al cielo.
La navicella salì attraverso l'atmosfera, si sarebbe automaticamente sistemata in orbita attorno alla Luna. Aveva bisogno di molto spazio per partire, una zona di contenimento per evitare danni collaterali; non si sapeva cosa sarebbe successo una volta azionato il motore.

"Controllo di terra a Maggiore Tom. Ce l'hai fatta. C'è la stampa che vuole sapere che squadra tieni. E' ora di uscire dalla capsula se te la senti."
L'orbita si stabilizzò.
"Qui è Maggiore Tom a Controllo di terra. Sto uscendo attraverso la porta" il pilota raggiunse il sedile della navicella, si assicurò e premette il bottone di accensione del viaggio su frequenza dimensionali. Il computer aveva già memorizzato ogni parametro del viaggio. La prua si direzionò verso il cane maggiore; il viaggio sarebbe durato forse un istante, forse una vita; i parametri non comprendevano distanza o tempo, velocità. Bensì vibrazioni.
Partì.
Non ci fu un'esplosione; niente fiamme, ne luce. Una contrazione; se poteva esistere qualcosa di più buio nell'oscurità, fu allora in quell'istante che si mostrò. Davanti al pilota tutto si espanse, tutto divenne infinito. Anche lui. Tutto era.
Dal controllo di terra lo videro svanire; gli schermi mostravano valori che oscillavano da parametri di viaggio sub-luce a valori fuori dalla norma di non-materia, non-tempo. Un viaggio a singhiozzo; la navicella appariva per pochi istanti su una rotta ipotetica in uscita dalla galassia, per poi sparire, balzare e coprire spazi inimmaginabili in pochi secondi.

"Fluttuo in un modo peculiare – la frequenza gracchiò – le stelle sembrano davvero diverse oggi". Pulsavano, vibravano, ruotavano. Ogni stella si spiegava davanti agli occhi del pilota; ogni singola storia, ogni vita, ogni stranezza divenne chiara. Non c'è bisogno di capire qualcosa che, in realtà, sappiamo tutti; qualcosa che è già scritto nell'etere dell'Universo ma che, questo è l'unico problema, non sappiamo leggere. E' questione di lenti non di punti di vista.

Tutto procedeva per il meglio. Il motore reggeva: l'umanità aveva fatto il balzo finale. E ora la navicella si avvicinava al confine della galassia, per distruggere l'ultimo confine. Conquistare ogni immensità.

"Qui sto seduto sul mio barattolo di latta, molto lontano dal mondo. Il pianeta Terra è così triste e non c'è nulla che io possa fare."
Empatia. Improvvisamente ogni sentimento lanciato al cielo nell'Universo lo raggiunse, lo prese e lo avvolse. Come sulla Terra, nello spazio ci sono molto più lacrime che sorrisi, molti più addii che incontri.
Dal controllo di terra monitoravano le condizioni del Maggiore: rimaneva in una sorta di stasi, una stasi vigile ma comunque immobile; non era per la forza dell'accelerazione ma per l'errata posizione dell'uomo. Non c'erano le condizioni. Non era dove doveva essere.

La navicella correva, lanciata in un viaggio incomprensibile come un sasso scagliato senza motivo il più lontano possibile.
"Nonostante io abbia passato le duecentomila miglia mi sento tranquillo."
Nell'immenso salone del controllo i tecnici si guardarono; di che parlava? Non c'erano parametri di velocità in quel volo, non c'era nulla, se non l'ipotetica posizione nella quale il pilota si sarebbe potuto trovare. Cosa stava succedendo? Glielo chiesero.

"Penso che la mia astronave sappia dove sta andando – la frequenza cominciò a farsi confusa, la navicella si stava allontanando, troppo distante per esser raggiunta dal filo della comunicazione terrestre – dite a mia moglie che la amo davvero tanto, lei lo sa" e fu silenzio, i sistemi di controllo persero il segnale; rimaneva solo il puntino sulla mappa che si accendeva dove la navicella tornava al viaggio sub-luce; ma nessun dato, nessun contatto. Rimasero li a guardarlo. Impotenti.

"Controllo di terra a Maggiore Tom, i sistemi sono caduti, c'è qualcosa che non va; puoi sentirmi Maggiore Tom?"
"Puoi sentirmi Maggiore Tom?"
"Puoi sentirmi Maggiore Tom?"
"Puoi sentirmi?"

Il balzo. A volte si salta troppo in alto, si superano i limiti ma qual'è il massimo prezzo che l'umanità è disposta a pagare? E' più facile quando il debito esce da un altro portafoglio. A volte si cammina, lontano, attraverso i misteri; ci si inoltra senza conoscere, con l'arroganza di chi apre un'autostrada nella giungla, di chi gioca con gli atomi. Non si attraversa, si squarcia e si guarda dentro. Dentro le viscere di un animale, dentro un telescopio, dentro e sulla vita altrui. E' questione di lenti, non di punti di vista; e di umiltà. Ogni cosa è Universo, la stessa matrice per un unico essere. Nessuna porta è chiusa a chiave, tutto è disponibile per chi cerca, basta cercare con tutto l'essere; non solo con il cervello ne con il cuore. Anche le mani, le più umili tra le parti umane, possono insegnare qualcosa.
L'Umanità si è sempre affannata in una corsa a perdifiato per la conoscenza, non per comprenderla ma averla; e questo è sempre stata la sua forza e la sua maledizione.
Forse quella mela, in quel giardino, tanto tempo fa non ci ha soddisfatto ma solo ingolosito. Mentre l'Universo compone e scompone i suoi puzzle e il nostro tassello rimane ancora nella scatola.

"Qui fluttuo sul mio barattolo di latta, molto lontano dal mondo. Il pianeta Terra è così triste. E non posso farci nulla... Penso che la mia astronave sappia dove andare..."

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 29, 2016 ⏰

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