PRENDIMI PER MANO

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PREFAZIONE

Penso che ogni individuo abbia la propria strada da percorrere.

Penso che ogni individuo abbia un cuore e delle volte teme a mostrarlo per paura di essere giudicato.

Molte persone ogni giorno devono fare i conti con la propria strada da percorrere, per la propria sopravvivenza. Arrivano in un mondo nuovo con in tasca tante speranze quante sono le paure e i timori a non integrarsi nella società.

Queste poche parole potrebbero far emergere nella nostra mente pensieri di rispetto per queste persone, smuovendo il nostro cuore. Troppo timido delle volte per uscire allo scoperto, troppo fragile per superare qualcosa di più grande. A Coloro che credono in tutto questo, che non smettano mai di tracciare la strada a chiunque ne abbia bisogno.

Una richiesta d' aiuto accolta. Una vita salvata.






                               I

Il cagnolino annusò la mia mano, timoroso. Non ti faccio del male, volevo dirgli, ma mi limitai a fissarlo divertito e al contempo cercai di avvicinarlo a me. Finalmente prese fiducia e mi si accoccolò addosso.

"Sei un bravo cagnolino, come ti chiami?" Mi fissò con la lingua di fuori, come volendo altre coccole.

Gli grattai la testa, e guaì di piacere. Mi saltò addosso e iniziò a leccarmi la faccia. "Ora basta che sennò mi fai la doccia"- gli dissi ridendo di gusto.

Sentii la voce di mia madre: "Louis vieni ad aiutare tuo padre!". Si chiamava Lusana. Era una donna magra, capelli neri e lunghi. Strepitava da una piccola casetta, così piccola che forse una folata di vento sarebbe bastata per buttarla giù. Ma per fortuna aveva sempre resistito.

"Ciao Cagnolino, ci vediamo dopo, aspettami qua"- gli dissi correndo via con aria allegra, mentre lui mi guardava in modo affettuoso, scodinzolando. Avevo deciso di chiamarlo così. Non avevo molta fantasia.

Mio padre lavorava come muratore in una miniera d' oro, si chiamava Kanelo, capelli scuri e corporatura robusta. La stragrande maggioranza delle ore le passava là, e molte volte, passeggiando per il villaggio quando non avevo niente da fare, incuriosito, rimanevo a fissarlo assorto mentre gesticolava con i suoi compagni per coordinarsi sul da farsi.

Avevo quattordici anni, vivevo in un quartiere del Benin, in Africa. Noi ragazzi avevamo imparato ad adattarci con poco, sorridere con poco, divertirci con poco. Quando non aiutavo mio padre in miniera, ero sempre a giocare con gli altri ragazzi del villaggio a rincorrerci, giocare con i copertoni delle auto, o a calcio con tutto ciò che avesse una forma rotonda, insomma, noi ci sapevamo adattare.

Aiutai mio padre per il resto del giorno in miniera. Quella era vera fatica. Andare a dormire, quelle poche ore, e sentire le ossa doloranti, faceva capire quanta fatica siamo in grado di sopportare.

Tornato a casa, avevo brevi lezioni di italiano, quel poco che riuscivo ad imparare da un bravo ragazzo che era venuto nel mio quartiere per fare volontariato con le varie famiglie della zona. Era molto gentile ad essere disponibile con noi, specialmente con me.

All' ora di cena mia madre preparava sottili frittelle di patate, quel poco che si riusciva a cucinare lo mangiavamo molto volentieri e nulla andava sprecato. Specialmente io, che raccoglievo anche le più piccole briciole dal piatto. E quando mia madre costruiva piccoli cestini, mi diceva di andare a prendere il cocco appeso sugli alberi. Mi divertivo un sacco assieme agli altri ragazzi nel tentativo di prenderne più di tutti. Arrivando trionfante a casa, mostravo i cestini ai miei genitori, e loro mi davano una noce di cocco come premio.

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