Trilogia alcolica #1 - L'anima di un dio

109 2 0
                                    

Bisogno.

E' il mio momento. Salgo sul palco, traballante, ubriaco di vodka. Ho ancora un cicchetto di Jagermeister in mano e la faccia del cervo impressa nella mente. Una fissa mentale inutile costruita lì dall'alcol e dalla mia voglia di entrare in paranoia a tutti i costi. Ascoltare le urla della folla esigente si sta rivelando piacevole, esilarante, coinvolgente. C'è una piccola scala ed un tizio vestito di nero con un auricolare, mi incita a salire battendo le mani. Scimmia troppo cresciuta con un cervello da formica, inconsapevole che perdere il pelo è stata una pessima scelta. Disturbo della visione pubblica. Pensieri divaganti su di un uomo scimmia mentre lentamente salgo gli scalini della scaletta. La mia testa sbuca come il sole all'alba, pochi millimetri al secondo ed inizio a desiderare il tramonto di quella infame giornata. Un applauso. Clap clap clap.

Il pianoforte è al centro del palco, tutto solo. Il mio vecchio Yamaha su cui ho passato le mie tristi giornate ad associare facce di cazzo ai Do ed ai Re ed a cercare di liberare il mio spirito bollente. Non ci riesco ancora. Ora sono su questo palco, ignaro di essere stato una perdita di tempo per me stesso. Il cacciatore di idee, il fantomatico corridore masochista. Mi siedo. Clap clap clap. La musica scritta sullo spartito è Gymnopedies n°1diSatie, la mia preferita. Ora che la vodka costituisce una buona percentuale dei liquidi presenti nel mio corpo, l'impressionista che è in me preme la prima nota, un Sol sulla prima riga in chiave di basso, seguito dall'accordo di Si maggiore. Tempo tre-quarti, velocità lenta. Ma manca qualcosa, il brano è piatto e spigoloso. Sembra quasi un valzer in slow-motion e la mia faccia è tesa, come le spalle e le braccia. “Ma è uno scherzo?” sento gridare dal pubblico. No caro amico, non è uno scherzo, manca il pedale di risonanza e sono fottuto. Se cambiassi musica? Se stupissi con un volgare cambio di genere? Un blues improvvisato. Si eccolo, il mio lagnoso blues, il mio piano che piange di disperazione riportando in vita i fantasmi di quei neri schiavizzati nel delta del Mississipi. Ecco il paese dei folli agricoltori rivoltarsi contro me ed il mio piano. La scimmia depilata che prima m'incitava a salire mi solleva di forza e mi sbatte per terra come i pescatori di Polignano sbattono i polpi sugli scogli. Trauma cranico penso, frattura di due costole, ipotizzo. La scimmia diventa piccola e nera ed io sprofondo nel palco come se fosse di spugna.

“Daniele!”, “Daniele? Sei sveglio?”, “Daniele cazzo apri gli occhi! Ma quanto hai bevuto?” Una voce lontana, lontanissima. Ora ricordo, Torre Caffè. Quando hai vent'anni ti incitano a non sprecare minuti preziosi, a goderti ogni singolo istante della vita. Perché poi..Il lavoro, la famiglia, i debiti ed il mutuo. Il suicidio. Quindi, rifiutando ogni tipo di consiglio, spreco minuti preziosi a bere ed oziare pensando, pensando, pensando. L'arte più antica del mondo, pensare.

Esiste un momento particolare della giornata, quello in cui devi decidere come occupare il tempo per distrarti dai pensieri di morte o del tuo futuro (che forse sia la stessa cosa?). O pensieri su come evitare di morire soffrendo, chissà scopando ogni giorno e bevendo a dismisura? Un po' come Bukowski. Però alla fine ti accorgi di essere una piccola mosca che ronza per la stanza in cerca di merda per nutrirsi. Ah, e che caca dappertutto. Ti rendi conto di quanto sia stato fortunato Charles a non morire di quell'ulcera perforante. Se sapessi della mia sorte, se potessi morire senza lasciar triste nessuno, sarei contento di bere senza sensi di colpa. Mi vergogno profondamente di questo.

In questa poco lucida serata di Luglio, mi ritrovo disteso sugli scogli accanto all'alta torre color caffè a contemplare il cielo stellato e la faccia di Davide, la brutta faccia di Davide che mi fissa con un'espressione tragica. “Sono vivo, tranquillo” Cerco di rialzarmi, chiedo aiuto a D. “Siamo tutti preoccupati, sei scomparso per un'ora intera” “Avevo bisogno di stendermi e contemplare il cielo, sai non scrivo un racconto da mesi, cercavo ispirazione” “Il nostro poeta maledetto! Sei pazzo, andiamo via” ; salito in macchina mi stendo sul sedile posteriore, con la testa appoggiata sulle gambe di Roberto. Dolce Roberto. “Scrivo un diario da due mesi Robè”, “Quindi?” mi risponde, “Boh, te l'ho detto perché sono ubriaco” “Ho notato, che ti prende Danié? Sono due settimane che bevi e bevi e bevi!” “Lo sai che scrivo meglio quando sono brillo? Vuoi leggere il mio diario?” “Va bene, domani” “Ho cambiato idea, non voglio che lo leggi più. Stronzetto” “Ah ah, dormi! Se provi a vomitarmi addosso ti piscio in bocca!” “Eh eh eh” Chiusi gli occhi, penso a Woody Allen che riusce a rendere la tragicità della vita una storia comica per tutti. Penso a Bukowski che mi urla contro “Non diventerai mai un bravo scrittore! La tua vita è troppo vuota, monotona, prudente” Dolce prudenza, la chiamava Gaber. Mi ha salvato il culo tante volte, ma arriva un momento in cui decidi di darla in pasto ai cani.

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 07, 2013 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

Trilogia alcolica #1 - L'anima di un dioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora