Quella mattina

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Era una fresca mattina di primavera, una brezza soffiava leggera contro le imposte delle finestre e il suo soffio gentile interrompeva il silenzio caratteristico delle campagne.
Le candide tende ondeggiavano, cullate da quell'alito di vento ed i primi raggi di sole facevano capolino nella stanza. La camera era ampia, con il soffitto a volta decorato da immagini di angeli.
I muri erano colorati di un celeste splendente, come se un pezzo di cielo fosse stato rinchiuso lì.
Un imponente armadio di legno scuro occupava la parete destra; sul sul dorso erano intagliati motivi floreali e volti celestiali.
L'attenzione, però, era tutta per il ricco letto a baldacchino che si sbagliava di fronte alle finestre. Il materasso era nascosto da sottili tende bianche, fatte di cotone. Al sul interno era celato un trionfo di tutte le sfumature del blu; il cuscino, color dell'oceano, era orlato da fronzoli bianchi e perle azzurre. Le morbide lenzuola ricordavano il colore dei più preziosi zaffiri.
Solo una mano emergeva dalle coperte, distesa nella più completa serenità.
La quiete mattutina fu interrotta quando un'anziana donna entrò nella stanza, accompagnata da due giovani domestiche.
Ella con voce decisa disse " È ora di alzarsi signore; sarà una giornata molto impegnata e lei deve essere pronto", spostando le tende del letto.
Ricevette in risposta solo mugolii di disapprovazione e un lieve movimento sotto le coperte.
"Non mi lascia altra scelta, signore" e fece cenno alle accompagnatrici di avvicinarsi al giaciglio.
Scoperto completamente il materasso, tirarono via il lenzuolo.
Al centro del letto ,supino, vi era un giovane dai capelli bruni, il corpo avvolto dentro una veste bianca.
Portando una mano davanti agli occhi, esclamò "Diamine, siate più rispettose. Questa luce improvvisa mi ferisce gli occhi" e detto questo rivolse uno sguardo severo all' anziana.
"Margherita, dovresti sapere che questa settimana sono stato molto occupato. Questo è il mio meritato riposo".
"Mi spiace controbattere, ma il suo carico di lavoro è ben lontano dall'essere finito" e sorridendo con malizia disse " Oggi dopo le lezioni di lingua, terrà un incontro con il duca di Brughiera".
Il giovane, sgranati gli occhi color nocciola, rispose " Quell'uomo non porta mai nulla di buono, non non intenzione di tenere udienza con lui".
Margherita con un'espressione affranta disse " Al diavolo i convenevoli! Caro mio, vorrei tanto poterti aiutare, ma sono ordini di tuo padre".
"Vedo che finalmente stai imparando a non chiamarmi  signore, mi conosci da quando sono nato".
" Ora sbrigati, devi essere pronto per la giornata". Dette queste parole, la donna uscì dalla camera, mentre le due domestiche rimasero a prendersi cura del giovane.

L'odore di terra bagnata, fieno e sterco regnava all'interno delle stalle. I cavalli si agitavano nelle loro celle di legno, come se volessero scappare verso un orizzonte ignoto.
Ad occuparsi delle bestie erano sei uomini, i più sulla quarantina.
Il più corpulento, mentre versava dell'acqua dentro una tinozza, disse " Mi è giunta voce che oggi arriverà un ragazzino alle stalle, un'altra bocca da sfamare".
"C'è chi se lo può permettere. Però questa dove l'hai sentita, Gio?", disse l'uomo accanto a lui.
"Ieri sera stavo pulendo questa topaia, mentre voi idioti eravate ad ubriacarvi. Sono passati i responsabili degli alloggi, sapete quei damerini con la puzza sotto al naso. Si chiedevano dove avrebbero trovato il posto per un nuovo marmocchio, destinato alle stalle".
"Dai amico, due braccia in più non possono farci male, ma temo che il moccioso scapperà via non appena vedrà il mare di merda che deve spalare" disse un uomo dai capelli brizzolati, mentre tutti ridevano fragorosamente.

"Signore, ecco suo figlio" disse una guardia ad un uomo alto e dallo sguardo minaccioso.
Il duca Grifa aveva l'innata capacità di mettere in soggezione chiunque, prima ancora di sapere che despota fosse.
"Bene, ora andatevene" tuonò l'uomo rivolgendo gli occhi al figlio, circondato da una mezza dozzina di uomini armati.
"Padre, pensavo fossi impegnato questa mattina. Però, non abbastanza per dare udienza a quel vigliacco del duca di Brughiera".
"Ludovico, modera i toni. Sai che stiamo affrontando tempi difficili. L'appoggio di altri membri della nobiltà non potrebbe che  giovare alla casa dei Grifa" ribattè il duca.
"Le sue azioni ci hanno sempre recato cospicue perdite, non vedo come possa agire diversamente questa volta".
"Innanzitutto non hai l'autorità di contestare le mie decisioni. Questa volta, come la chiami tu, si tratta di un affare diverso, si tratta di te".
"Dal momento che sono coinvolto, ho il diritto di mettere la mia parola. Vorrei sapere, padre, che genere di pratica dovrei sbrigare con il duca".
"Non si tratta dei soliti affari burocratici, altrimenti non ti avrei messo in mezzo. Stiamo parlando di un matrimonio, io ho un figlio, lui una figlia; credo che questo basti per capire le circostanze".
Ludovico impallidì, la mascella serrata e i pugni chiusi " Mi stai vendendo? Sapevo di essere solo un peso per te, ma addirittura decidere della mia vita mi sembrava oltre i tuoi limiti. Non voglio aver nulla a che fare con quel farabutto, figuriamoci diventare membro della sua famiglia. Non ho intenzione di sposare quella ragazza, né ora né mai".
"Non osare ribattere, figlio ingrato" urló l'uomo" stai per diventare un adulto, smettila di comportarti come un bambino viziato. Ti ho dato tutto, una casa, una famiglia, soldi, cavalli, hai avuto tutto dalla vita. Fai qualcosa anche per me e non avere pensieri così egoisti. Sposerai la duchessa e noi Grifa otterremo terreni e una buona reputazione. Per quanto meschino, il duca di Brughiera è ben visto dalla società".
"Mi stai vendendo per un pezzo di terreno?", il viso di Ludovico era sconvolto.
"Ora va, ti esonero dal frequentare le lezioni oggi. Fai una passeggiata per chiarirti le idee, ma rientra per l'ora di pranzo. Nelle prime ore del pomeriggio terremo udienza con il duca".
Con le lacrime agli occhi, il giovane uscì dalla stanza, sbattendo la porta talmente forte quasi da staccarla dai suoi cardini.

Quando il giovane arrivò di fronte alla villa, non poté fare a meno di spalancare la bocca dallo stupore.
Il cancello imponente, coperto dall'edera,lasciava intravedere un'enorme struttura.
Era stremato per aver camminato sotto al sole, ma l'idea di ricevere un salario niente male e tre pasti al giorno lo allettava.
Quando aveva saputo che la famiglia Grifa cercava personale da impiegare nelle scuderie, non aveva perso tempo ed aveva accettato l'incarico.
Immerso nei suoi pensieri non si era accorto che gli si era avvicinata una guardia.
"Identificati, senza un permesso non puoi sostare in questa zona".
"Il mio nome è Laio Pontis, provengo dalla città di Aurelia. Sono qui perché sono stato assunto come bracciante" disse il giovane, porgendo un' epistola che recava il sigillo della casata.
"Seguimi, non guardarti troppo intorno" annunciò l'uomo girando suo tacchi e dirigendosi verso la villa.
Laio, con un'espressione soddisfatta in viso, seguì a ruota la guardia.
"Inizierò a lavorare quest'oggi oppure potrò subito accomodarmi?".
Dopo un lungo silenzio la guida disse " Poni queste domande ai responsabili, ma di certo qui non abbiamo tempo da perdere".
"Questo posto è davvero incredibile, la casa, il giardino, è tutto così ricco".
"È solo la casa di campagna della famiglia. La loro residenza ufficiale si trova ad Aurelia, da dove vieni tu".
La conversazione terminò ancora prima di nascere, poiché i due raggiunsero le stalle.
"Ecco, questo è il luogo dove lavorerei. Cerca i responsabili e fatti dare indicazioni. Non vagare per la villa" e dette queste parole se ne andò.
Se l'ambiente di prima emanava lusso da ogni angolo, questo era tutto il contrario. Il terreno era fatiscente, quella che sembrava una stalla era sporca da far paura.
"Immagino che questo si addica di più ad uno come me" disse tra sé il ragazzo.
Con in mano la sua sacca, si diresse verso il capanno, ma incepiscò nel fango, sporcandosi fino alle ginocchia.
"Dannazione, tu chi saresti?" disse una voce profonda alle sue spalle.
Il giovane, liberatosi dal disgustoso miscuglio di terra, feci ed acqua sporca, si voltò. Aveva di fronte un uomo di mezz'età, alto e dall'aria forte.
"Sono Laio Pontis, da oggi lavorerò qui nelle stalle".
L'uomo dopo averlo squadrato, scoppiò in una fragorosa risata.
"Così sei tu? Non posso credere che un ragazzino con la faccia da bambina e il corpicino così delicato possa fare questo lavoro. Non ti reggi neanche in piedi! E poi quanti anni avresti? Tredici forse".
"Ho sedici anni signore. Non badi alle apparenze. Sebbene sia minuto, sono in grado di trasportare grossi pesi".
"Vedremo. Io sono Gio e da oggi sarò il tuo punto di riferimento" disse porgendo una mano sporca di terra al ragazzo.
"Se non ti dispiace ora, biondino, prendi le tue cose e seguimi agli alloggi. Dovresti prima sistemare le tue cose".

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