Uno

6.7K 266 88
                                    

Mi chiamo Kimberly Thompson. Ho diciassette anni. Non mi definisco una ragazza dalle grandi pretese, anche se sono stata abituata ad ottenere tutto ciò che desidero. I miei genitori sono persone per bene, amano la loro figlia tanto quanto io amo loro e farebbero di tutto per rendermi felice.

Non ho né fratelli né sorelle, anche se ne ho sempre voluto uno, giusto per non essere troppo sola. Ma va bene anche così, perché non devo condividere niente con nessuno. Mi piace avere i miei spazi. Le mie cose, i miei vestiti, la mia camera. Non vorrei che qualcuno mi prendesse qualcosa senza il permesso. No.

Ai miei genitori piace tanto lavorare, tant'è che raramente passano del tempo con me. Ma quando stiamo insieme, tutto è perfetto. Sembriamo una famiglia modello, senza problemi, senza pensieri.

Ma non è affatto così, io mi sento sola.

Vivo nel Massachusetts, a Boston. Mi piace questa città, anche se preferisco Toronto. Mamma e papà appartengono al 100% al Canada, anche se si sentono statunitensi. Non capisco perché, io amo il Canada.

Soprattutto perché lì c'è la mia metà: Shawn.

All'età di tre anni, uscii di casa da sola per la prima volta. Angela, la nostra governante, mi guardava dalla porta. Ma io, nonostante il suo sguardo attento, mi sentii ad ogni modo libera. Fuori dalle mura famigliari sola soletta, la mia prima volta.

Trovai Shawn sulla strada, mentre giocava con uno skateboard verde e giallo, le ruote consumate. Andava avanti e indietro, poggiava un piede per terra e si spingeva. Era davvero veloce e non sapevo chi fosse.

Ad un tratto, mentre ruotava lo skateboard per tornare verso casa, cadde ed io mi sentii in dovere di aiutarlo. E lui era proprio davanti a me, sarebbe stato scortese tornare indietro.

Eravamo bambini, dopotutto. Mi avvicinai con cautela e lo osservai, finché non mi guardò.

«Ciao, ti sei fatto male?» chiesi, quasi sussurrando, porgendogli una mano. Non ero una bambina timida, mi piaceva chiacchierare con Angela e i bambini dell'asilo. Lui accettò il mio aiuto e si affrettò ad alzarsi.

«Un po'. Il ginocchio sanguina.» Mi chinai, per osservare da vicino la ferita superficiale. La scrutai per bene e gli soffiai sopra delicatamente. Lo sentii trattenere il fiato.

«Non è niente, basterà coprirla con un cerotto.» Sorrisi, tornando alla sua altezza. Anzi, il bambino mi superava di una decina di centimetri. Lo ammiravo, sembrava grande in confronto a me.

«Grazie. Io sono Shawn.» Che nome strambo, pensai. Nella mia testolina, i pensieri vagavano ai cento chilometri all'ora. Una velocità impressionante. Shawn mi porse la mano, inclinando la testa. Aveva un sorriso davvero carino, pensai ancora.

«Io mi chiamo Kim... Kim...» Facevo ancora fatica a pronunciare il mio nome, non so bene il perché. Tutti mi chiamavano Kim, era più semplice imparare quello. Un nome lungo per una bambina piccola è difficile da pronunciare. Ed io ero piccola. Non andavo nemmeno a scuola!

Shawn mi sorrise, come se volesse incoraggiarmi. Presi un bel respiro e continuai, tutto d'un fiato: «Kim... Kim-ber-ly.» scandii, ridacchiando alla fine. Il sorriso del bambino si allargò, contagiando anche me. Mi sentii soddisfatta di me stessa. In un solo giorno ero uscita di casa, avevo conosciuto un bambino e avevo pronunciato il mio nome senza l'aiuto della mamma. Sorrisi più a me stessa, che a Shawn.

Angela mi chiamò dalla porta d'entrata, gridandomi di tornare indietro. Il pranzo era pronto in tavola. Le riposi che sarei tornata, ma prima dovevo salutare il mio nuovo amico.

«Devo andare a casa. Ciao, Shawn.» Lo salutai con la mano, sorridendo e voltandomi verso casa. Angela mi aspettava con le mie bambole nelle mani e un sorriso in volto. Le sorrisi anch'io.

Ti Scatterò Una Foto | Shawn MendesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora