Mi ricordo quella puzza di morte e la schiuma che aveva sulla bocca.
Era raccapricciante e i conati mi giungevano alla gola ritmicamente, uno dopo l'altro. Guardavo quel vecchio disteso su un letto di ospedale. La sua prigione. Se fossi stato al suo posto, avrei preferito essere recluso in un carcere di massima sicurezza, consapevole di non aver scelta. Ma su quel letto, le cui uniche sbarre erano quelle poste su un lato come protezione, dove non esisteva una serratura da chiudere a chiave, dove si è consapevoli di avere una via di fuga ma di non potervi accedere, mai avrei voluto esserci. Non c'è prigione più ostile, lugubre e inespugnabile del proprio corpo che non risponde più ai comandi del cervello.
Il vecchio aveva il viso infilato tra le due sbarre ed era rivolto verso di me. Gli occhi erano aperti e riuscivo a vedere le opache sclere gialle. Forse era morto di cirrosi epatica. Aveva la pancia gonfia, segno distintivo di un fegato ingrossato. Era pieno di rughe e le guance erano pendule. Macchie marroni simili ad ematomi gli coprivano l'intero volto. Quel colore scuro dava l'impressione che il vecchio fosse mummificato. Non mi sarei impressionato se, toccandogli quelle guance pendule, avessi sentito al tatto una pelle compatta e tesa, come quella del montone quando viene seccata ed usata per rivestire i tamburi africani. Né tantomeno se al semplice tocco di un dito si fosse sgretolata, lasciando fuoriuscire la mascella e i denti marci.
Non ricordavo neppure quando il vecchio fu stato portato nella mia stessa stanza. Due giorni, una settimana, un mese? Feci un piccolo sforzo di memoria, cercando di ricordare, ma non ci riuscivo. Il mio cervello recepiva solo quella puzza nauseabonda e il prurito insopportabile alle mani. Dovevo far qualcosa o sarei impazzito. Il vecchio aveva sulla bocca una nuvola di schiuma. Sentii lo stomaco rovesciarsi e un conato di vomito salire su, fino alla gola. Riuscii appena a non vomitare.
Se non fosse stato per quella luce fioca del neon che penetrava dalla porta del corridoio, avrei detto che eravamo soli. Io e il vecchio morto. L'ospedale sembrava deserto e silenzioso.
Guardai di nuovo il viso di quel mostro. Come avrei voluto riuscire a leggere nei suoi occhi, carpire qualche emozione, una lieve traccia di umanità. Riuscire così a provare anche un minimo di compassione e non solo disgusto. Ma i suoi occhi erano coperti da una patina biancastra e non lasciavano trasparire nulla se non morte.
Decisi che, se un giorno fossi stato costretto ad essere recluso su un letto di ospedale e a terminare la mia vita nelle condizioni di quel povero vecchio, mi sarei ammazzato. Avrei utilizzato finalmente la pistola di ordinanza assegnatami il primo giorno in polizia.
Fui improvvisamente lanciato via dal guazzabuglio dei miei pensieri. Avevo percepito un lieve movimento. Il vecchio aveva leggermente socchiuso la palpebra dell'occhio destro e poi, tremolante, la riaprì.
O porco diavolo, provai ad urlare, ma il mio tentativo fu vano. Neanche il minimo suono era uscito dalla mia bocca.
Tornò ad essere immobile, con gli occhi aperti e vacui. Mi stavo lasciando travolgere dagli eventi e dalle emozioni. Ma sfiderei chiunque a condividere la stanza, anche solo per pochi attimi, con un vecchio morto, decrepito, schiumante, puzzolente, e non lasciarsi sconvolgere dai pensieri più folli. Il vecchio chiuse di nuovo l'occhio destro, come per farmi l'occhiolino. Per un attimo notai anche un leggero movimento delle dita della mano che penzolava oltre il materasso. Sperai che una volta riaperto l'occhio, la patina bianca sarebbe stata lavata via e che la vita sarebbe tornata in esso. E magari se avesse chiuso anche l'altro occhio, li avrebbe ripuliti entrambi. E se la vita fosse davvero tornata a risplendere nei suoi occhi, che senso avrebbe avuto viverla?
Dicono che dopo un po' di tempo che si è morti, i nervi si distendono ed è normale che il corpo possa fare dei movimenti. Stavo cercando di essere ragionevole, ma non era per nulla semplice.
Dove diamine erano finite le infermiere? Perché nessuno si prendeva cura di quell'uomo? Da quanto tempo era morto? O era ancora vivo?
La luce che penetrava nella stanza si oscurò per poi tornare ad illuminare l'ambiente. Qualcuno stava camminando nel corridoio. Chiunque fosse stato, dovevo chiamarlo. Non feci in tempo ad elaborare quel pensiero che una donna entrò nella stanza.
"Che splendida giornata di sole."
Rivolse il suo sguardo alla mia persona e fece un sorriso affettuoso.
"Che ne dici se apriamo un po' le finestre e lasciamo entrare un po' di luce in questa casa?"
Alzò la persiana e aprì la finestra, lasciando entrare la luce del giorno e un fresco venticello.
Come faceva ad essere così serena e a non accorgersi che proprio lì, dietro di lei, c'era un morto.
Cretina, girati e fai qualcosa. Chiama un dottore, chiedi aiuto.
"Oggi ti trovo proprio in ottima forma. Avrai sicuramente fatto bei sogni" mi disse affabilmente.
Non dire stronzate e porta via quel morto, rincoglionita.
La donna si avvicinò e allungò una mano sul mio volto per accarezzarlo. Girai la testa, cercando di evitare quell'inopportuno gesto amorevole. Così il mio sguardo finì di nuovo su quel mostro. E il terrore che provai fu claustrofobico. La donna stava accarezzando il mostro. Stava accarezzando il mio viso riflesso nello specchio.
STAI LEGGENDO
Luce dei miei occhi
HorrorUn piccolo racconto dell'orrore. Che possa intrattenervi e suscitare qualche brivido.