Sarà un vero piacere

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Yuuri dischiuse piano la porta ed espirò profondamente, prima di mettere fuori la testa per constatare che il corridoio di quell'ala della dimora, ancora in ristrutturazione, fosse deserto.
Sorrise e la richiuse velocemente, appoggiandovisi contro e lasciando andare un pesante respiro, fissò le orecchie da gatto che teneva strette nella mancina.
Era riuscito a scappare appena in tempo dalle grinfie di sua madre, che voleva a tutti i costi che mettesse un attillatissimo da gatto, con la scusa che sarebbe stato divertente che mettesse su qualcosa di insolito.
«Non accadrà mai», si disse, lasciandosi scivolare sul pavimento freddo. Chiuse gli occhi e intenzionato a godersi la pace che si respirava in quella stanza. Questo almeno era il suo piano, che si infranse quando iniziarono a bussare. Pensò bene di rimanere in silenzio, convinto che la persona al di fuori presto si sarebbe stancata.
«Yuuriii.»
Sgranò gli occhi, riconoscendo immediatamente l'inconfondibile voce di Victor, ma non per questo decise di rispondere.
«Yuuri so che sei qui dentro, dai fammi entrare.»
Si coprì la bocca con entrambe le mani per evitare che gli sfuggisse anche il più piccolo suono e attese, invano, che l'altro si stancasse. Avrebbe imparato, a sue spese, che il pattinatore russo non era uno che si arrendeva facilmente. Difatti, il silenzio che per un attimo si era creato, venne infranto da un insistente bussare.
«Perché non mi vuoi aprire?» chiese, fermandosi nuovamente. «Voglio solo parlarti», aggiunse, abbassando la voce.
Yuuri si rimise in piedi e socchiuse la porta. «Co-cosa sono quelli?» gridò, spalancando di colpo la porta quando vide la lunga coda argentea accarezzargli una spalla.
Victor sorrise e afferrandone una piccola ciocca, se la portò davanti agli occhi, prima di riportare lo sguardo sull'altro che lo fissava spaesato. «Sono capelli.»
«Questo lo vedo da me», ribatté, facendo scivolare gli occhi sul completo nero che indossava e soffermandosi, per un attimo di troppo, sui punti strategici dove il tessuto diventava quasi trasparente, rivelando un po' troppo. Imbarazzato risollevò di colpo lo sguardo, incontrandone gli occhi azzurri.
Victor sorrise intenerito. Poi, poggiò una mano sul legno scuro dello stipite, piegandosi in avanti e guardandolo dritto negli occhi.
Yuuri deglutì a fatica, indietreggiando di un passo.
«Posso venire dentro?» chiese Victor con una nota di divertimento nella voce.
L'altro strabuzzò gli occhi con il viso completamente in fiamme. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse velocemente.
Victor gli accarezzò la guancia con il dorso della mano. «Posso venire?» e la carezza si allungò sino sotto le labbra, che accarezzò con il pollice. «Mi permetterai di entrare, Yuuri?»
«S-sì», fu l'unica cosa che uscì dalla bocca del giapponese.
La mano di Victor si fece più audace, percorse il collo in una lenta carezza, per poi insinuarsi sotto lo yukata, sfiorando un capezzolo con la punta del medio. La tenne ferma lì.
«Allora, sarà un vero piacere...», gli sussurrò sulle labbra Victor prima di spingerlo all'interno della stanza, lasciando la frase in sospeso.
Yuuri chiuse gli occhi e attese un bacio che non arrivò mai, fatto che lo spinse a riaprirli solo per vedere l'altro guardarsi attorno con curiosità.
«Ora che si fa?» chiese Victor, avvicinandosi ad una pila di scatoloni ammassati contro la parete alle spalle del giapponese. Afferrò quella più in alto e la mise sul pavimento, inginocchiandosi e curiosando al suo interno. Si fermò di colpo quando avvertì una carezza sul capo.
«Scu-scusa», mormorò Yuuri imbarazzato, allontanando velocemente la mano.
«Ti piacciono i miei capelli?»
«N-no... Cioè... Sì... Ma...» rispose così velocemente che la saliva gli andò di traverso ed iniziò a tossire.
Victor si rialzò in fretta e gli batté dei colpi leggeri sulla schiena. «Va meglio?»
Yuuri non rispose, ma allungò la mano per farla scivolare in quei lunghi capelli argentei.
Victor sorrise. «Yuuri», mormorò intenerito, prendendogli la mano e portandosela alle labbra, baciandone dapprima il palmo e poi una ad una le dita.
Un rumore proveniente all'esterno della stanza, spinse Yuuri ad afferrare la mano di Victor e trascinarlo, velocemente, all'interno dell'armadio addossato alla parete sulla loro destra.
Victor aprì la bocca, ma l'indice che l'altro vi appoggiò sopra lo fermò.
«Sssh!» Chiuse piano lo sportello, lasciandoli nella semioscurità. «Sembra che nessuno si sia accorto di noi», mormorò, lasciandosi andare contro la parete di legno alle sue spalle, accarezzando involontariamente una coscia del russo. «Scu-scusa.»
«Non devi farlo», disse subito Victor, accarezzandogli una guancia con il dorso della mano. Poi, gli accarezzò la pelle scoperta delle braccia e Yuuri, sorpreso, lasciò cadere le orecchie da gatto. Nessuno dei due vi diede peso. «Puoi toccarli», aggiunse, portandosi le sue mani sulle spalle.
Yuuri lo fece. «Perché li hai tagliati?» chiese, pentendosene subito dopo e ritraendo di colpo le mani.
«Un giorno te lo dirò», disse un attimo prima di chinarsi e dargli un bacio a stampo. Yuuri chiuse gli occhi quando quella bocca tornò sulla sua. Quello che era iniziato con un bacio dolce, cambiò repentinamente quando Victor gliele lambì con la lingua sino a che l'altro non le dischiuse, permettendogli così di incontrare l'altra. Si cercarono, ritrovandosi prima nella bocca di uno e un attimo dopo in quella dell'altro. E quello che avrebbe dovuto essere un buon nascondiglio, divenne troppo rumoroso per essere giudicato tale.
Victor gli accarezzò la spalla lasciata scoperta dalla yukata quando si separarono per riprendere fiato, baciandogliela un attimo dopo.
«Victor...», gemette Yuuri, tremando, mentre l'altro gli allentava la cintura, facendola finire ai loro piedi.
«Yuuri...» Gli risalì lungo il collo con una serie di umidi baci, sfiorando poi il lobo dell'orecchio con la lingua. «Ti desidero...»
Il giapponese si morse il labbro. «Anch'io», bisbigliò, insinuandogli le mani sotto la maglia attillata per accarezzargli la schiena, per poi afferrargli le spalle con una presa salda.
Victor si scostò quel tanto che bastava per guardarlo dritto negli occhi, trovandovi il suo stesso desiderio. «Ripetilo.»
Yuuri non lo fece, preferendo trascinarlo in un nuovo bacio passionale. Victor lo spinse contro la parete di legno, facendo scricchiolare sinistramente l'armadio; sarebbe potuto cadere a pezzi in quel momento ma nessuno dei due se ne sarebbe accorto.
«Cazzo, Yuuri», gemette, facendo sfregando l'inguine contro il suo, strappando una serie di gemiti ad entrambi.
«Lo senti quello che mi fai?»
L'imbarazzo che contraddistingueva Yuuri, lasciò spazio alla sfrontatezza guidata dal desiderio. «E quello che mi fai tu?» gli chiese sulle labbra, prima di mordere quello inferiore e tirarlo leggermente.
«Dio! Così mi fai andare fuori di testa», gemette, abbassando i pantaloni di Yuuri con una mano e i propri con l'altra. «Prendimelo in mano», sussurrò e Yuuri obbedì quasi immediatamente, mentre lui gli afferrava il suo alla base. Victor iniziò a muovere la mano, piano, dal basso verso l'altro, sfregando la punta umida con il pollice, aiutandosi così a lubrificare l'intera lunghezza; Yuuri lo imitò per quanto la nebbia del piacere gli permise.
«Così... Bravo...», gemette, accelerando il ritmo.
Yuuri gli poggiò la fronte contro la spalla, perdendo il ritmo. «Victor... io non so se...» tremò.
«Sei così adorabile», sospirò, allontanandogli delicatamente la mano per permettere alla propria di avvolgerlo, facendo sì che i loro membri venissero a contatto. Fremette e chiuse gli occhi, guidando entrambi, con carezze sempre più frenetiche, verso quel piacere intossicante.
«Sto-sto...» riuscì a dire Yuuri un attimo prima di riversarsi nella sua mano e macchiargli l'abito scuro, seguito a breve da Victor, che si morse il labbro con forza per impedirsi, invano, di urlare.


«Yuuriiii», pianse sua madre nel corrergli incontro, non appena il ragazzo mise piede nel salottino. «Siamo rovinati. Siamo rovinati», continuò disperata.
«Cosa succede?» chiese, lanciando uno sguardo perplesso verso suo padre, che in risposta scosse solo la testa. Lo vide lasciare la stanza con la scusa di accogliere un turista.
«Yuuri ti rendi conto?!» riprese lei, asciugandosi le lacrime con un fazzolettino ricamato. «Siamo infestati dagli spiriti. Sicuramente la colpa è mia. Ho voluto festeggiare Halloween solo per aumentare i nostri profitti», continuò, allontanandosi e lasciandosi cadere sulla poltrona sistemata nell'angolo più riparato della stanza.
Yuuri strabuzzò gli occhi. «Non vedo come...»
«L'ala in ristrutturazione è infestata dagli spiriti», lo interruppe, sollevando su di lui uno sguardo disperato, prima di coprirsi il viso con le mani. «Sono scappata via quando ho sentito quelle urla raccapriccianti», rabbrividì, ricordandolo. «Non puoi capire. Nessuno può capire il terrore che ho provato.»
Yuuri però capì immediatamente a cosa si riferiva, e proprio per questo si lasciò cadere sulla poltrona accanto alla sua, coprendosi il viso, imbarazzato per il fatto che sua madre avesse sentito tutto.

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