PARTE PRIMA

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Capitolo uno









Giudicare dall'aspetto è un concetto che io non avevo mai approvato, sono sempre stata sostenitrice e dimostrazione evidente del fatto che, all'interno di una copertina poco attraente, potrebbe celarsi una bella storia. Ma quando la cameriera schifosamente sexy dell' Horse Bar mi portò  il caffè, decisi, categoricamente, di non mandare giù una sola goccia di quella strana sostanza. Mi dispiaceva andare contro i miei principi, ma non mi sembrava il caso di ingurgitare un liquido color nero petrolio, con un odore che ricordava vagamente quello di uno pneumatico bruciato, e servito in una tazza il quale bordo vantava un residuo di rossetto sicuramente non mio.

Optai per un bicchiere di frullato di banana e yogurt e una fetta di torta alle mele. Dopo aver fatto l'ordine all'altra cameriera (quella grassa e amichevole), mi convinsi di meritare quell'abbondante colazione, visto che avevo deciso di iscrivermi in palestra la sera stessa. Che io mi ripetessi la stessa cosa ogni giorno, è un dettaglio che evitavo di ricordare.

Era una fredda mattina di novembre. Nonostante il sole splendesse raggiante sopra Cork, le temperature rimanevano quelle tipiche di un imminente inverno irlandese. L'acqua del fiume Lee gorgogliava in lontananza cantando una ninna nanna alla città. Gli abitanti sfrecciavano lungo le vie strette e vecchie per raggiungere i loro uffici, presi dal loro telefono e dai pensieri. Ed io, Rebecca Flowers, me ne stavo seduta in un bar/tavola calda a sorseggiare frullato di frutta e  a strafogarmi una fetta di torta di mele (okay, forse erano due), leggendo, scrivendo e correggendo per la milionesima volta la bozza del mio primo libro.

Avevo sempre voluto scrivere un libro, sin da bambina, quando guardavo con aria sognante i best seller alloggiati comodamente sugli scaffali della biblioteca pubblica, ma non avevo mai avuto nulla da raccontare. Non che la mia vita ad un certo punto avesse preso una piega chissà quanto avventurosa o romantica, ma il mio trasferimento a Cork aveva permesso al mio animo da scrittrice di mettersi in moto: l'idea della storia era subito apparsa chiara e sembrava un lavoro già completato in partenza, ma non avevo messo in conto diverse variabili, fra cui:

o I miei sbalzi d'umore abbastanza frequenti

o Le aspre critiche della mia collega di lavoro, non che la mia migliore ed unica amica, Jude Gregory (donna di età di avvicinamento alla pensione, con un passato pieno di rimpianti che ha dato luce ad un presente ricco di frustrazioni, piacevolmente scaricate su di me)

o L'alternarsi delle stagioni

o L'alternarsi degli amanti

o Avvenimenti tragici/ catastrofi

Per questo stavo modificando per l'ennesima volta il dodicesimo capitolo di questo romanzo, in cui l'eroina deve decidere se continuare a combattere al fianco della sua famiglia, nonostante la loro cattiveria e avarizia, oppure seguire il suo amato e andare contro qualsiasi regola che si conosca nel mondo magico. Conoscendomi, non avrei mai detto di essere io  l'autrice. Insomma, parla di storie d'amore, magia e Dio. Tutte cose in cui non credo. Strano, vero?

Un giorno avrei voluto che Bellatrix (protagonista della mia storia) fosse una ragazza segnata dalle delusioni e dal dolore del passato, e quindi che si trasformasse in una specie di mostro senza cuore; altri giorni ero positiva e mi piaceva l'idea che lei riuscisse a superare tutti i suoi blocchi emotivi e psicologici per far trionfare l'amore e il rischio, come a dimostrare che a volte buttarsi non prevede necessariamente schiantarsi al suolo.

Insegnami a volareWhere stories live. Discover now