Giusto in tempo

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Apro lentamente gli occhi, sento freddo.
Il bianco intenso della neve penetra attraverso le palpebre e rende impossibile il riposo.
Cerco di capire dove sono ma il dolore alla testa mi ostacola.
Sicuramente sono su un carro, sento gli zoccoli del cavallo battere sulle pietre levigate del sentiero.
"Ben svegliato" sento.
Riconosco la sagoma di tre uomini, non ricordo niente, cosa mi hanno fatto.
"Chi siete" chiesi.
L'uomo abbassò la testa "Sicuramente le ultime persone con cui parlerai" disse con un filo di voce.
"Cosa intendi" protestai.
"Oh fai finta di non sapere nulla, vuoi per caso la mamma?"rispose concludendo con una risatina.
Avevo la tentazione di strangolarlo ma le corde che avevo strettamente legato ai polsi e alle caviglie mi impedivano qualsiasi movimento.
Il primo ragazzo, con voce fioca mi raccontò della imboscata da parte degli imperiali.
Gli volevo chiedere il motivo di tale agguato ma il suo sguardo pensieroso me lo impedì.
"E ora, per il volere di Talos, andremo tutti a sovngard!" Disse con un cenno terrore, ma rinvenuto subito serio si girò verso il terzo signore, seduto alla mia destra e guardandolo negli occhi affermo
"Ma lo rifarei altre cento volte, a fianco a lei, Ulfrik Manto della Tempesta, il nuovo re dei re!"
Una delle tre guardie a cavallo vicino al carro si girò di colpo e colpi violentemente al capo il ragazzo.
Non sapevo ne chi fosse questo Ulfric ne cosa fosse successo, sapevo solo che il mio dolore alla testa doveva centrare qualcosa con la mia amnesia.
Ad un bivio il carro svoltò a destra.
Sul fianco della strada c'era un palo di abete su cui c'era inciso Helgen, probabilmente la nostra metà.
In lontananza, in mezzo alla coltre di neve si cominciava a vedere delle mura, sicuramente una cittadina con degli abitanti, si poteva già notare il fumo provenire dalle case.
Al passare dei metri le mura si facevano più nitide.
A dieci metri dalla murata si potevano notare le torri di vedetta, ciascuna con due guardie, riscaldate da un fuocherello.
Faceva talmente freddo che le lacrime dei miei compagni si congelavano all'istante.
Sopra il pesante portone in legno scuro rinforzato di solido ferro, c'era un lungo avamposto con due guardie.
Pensai che sicuramente quelle armature in cuoio dovevano tenere molto piu caldo dei miseri stracci che avevo addosso.
Notai che le guardie , armate di archi in pero è spade robuste, si stavano parlando e dopo l'invio di un cenno al soldato che guidava il nostro carro, uno di quelli scomparve dietro una colonna.
Con un lento movimento il portone del paese si aprì.
Helgen era una città molto tranquilla, i bambini correvano lungo le strade e le varie bancarelle offrivano ottima merce, pesce, carne e vestiti.
In quel momento ripensai a quello che l'uomo davanti a me aveva detto, " l'ultime persone con cui parlerai", quindi sto per morire, saremo giustiziati.
La carrozza lentamente stava attraversando Helgen e il suo lento dondolio faceva sempre di più salire le mie preocupazioni.
Improvvisamente la carrozza si fermò e tutte i miei tentativi nel rompere la corda che mi teneva legato erano stati invani.
Le guardie scesero da cavallo e ci fecero scendere dal carro, il terreno era umido e pieno di sassi taglienti.
Una donna alta e robusta, con una imponente armatura dorata cominciò ad urlare e a chiedere di avanzare se sentivamo il nostro nome.
Eravamo sette prigionieri ma solo sei erano segnati sulla lista.
Tutti erano avanzati, mancavo io, la soldatessa si avvicinò e fissandomi con i suoi occhi di fuoco mi urlò
"Qual è il tuo nome, prigioniero"
Abbassai il capo
"Non lo so, non me lo ricordo " risposi con un filo di voce.
"Chiunque tu sia, eri insieme a Ulric e come da ordine verrai giustiziato" rimbeccò a gran voce.
La massa imponente di quella donna toglieva il fiato, volevo contraddirla ma l'ombra che creava il suo corpo impediva solo pensarlo.
I soldati si misero uno di fianco all'altro creando una strada che ci conduceva in un ampio spazio padroneggiato da una alta torre.
Cominciammo a camminare, notai che il ragazzo di fianco a me era riuscito a slegarsi dalla corda che ci teneva legati tutti insieme.
Si girò verso di me e mi sussurro'
"Ci vediamo in un'altra vita"
Subito si gettò con forza su una guardia facendola cadere, si rialzò e cominciò a correre verso il cancello da cui eravamo entrati.
Sentii dietro di me il fruscio di una freccia lungo la faretra e lo sciocco del duro arco.
Il povero ragazzo non era riuscito neanche ad arrivare a metà strada che l'arrivo della freccia lo sorprese conficcandosi nel centro della sua esile schiena, barcollò un po' e cadde al suolo.
Ora siamo tutti fermi, a vedere i soldati portare via il corpo privo di vita.
Doveva essere pane quotidiano per quella gente, vedendo le loro faccia immutate.
" E questo è quello che succederà a voi, da una freccia o da una lama, voi oggi incontrerete gli dei!" Urlo' la soldatessa che camminando indicava un uomo alto, con il volto coperto da un velo nero, seduto sotto la torre ad affilare una lunga e ricurva ascia.
"Sbrigatevi!"sentii
"Facciamola finita prima che inizia a piovere"concluse la soldatessa.
Alzai la testa al cielo, le nuvole stavano creando un cerchio al di sopra della torre, rabbrividii.
Ci  ritrovammo fermi in mezzo alla piazza.
Davanti al boia, la cui massa lo faceva assomigliare ad un toro, c'era un pezzo di legno.
I vari prigionieri venivano chiamati, uno alla volta.
Durante l'attesa dell'imminente, tenni la testa bassa, sia in segno di rispetto che per non vedere l'orribile spettacolo.
La lama liscia e lucente si abbassava e un suono sorda inaugurava il passaggio a quel posto che chiamavano Sovngard.
All'improvviso sentii l'imperiale dire
"Ehi nord, è il tuo turno."
Alzai lentamente la testa, gli occhi di tutti erano rivolti verso di me, una mano da dietro mi spinse in avanti.
Continuai ad osservare fisso la soldatessa che con solo con lo sguardo ti uccideva.
"Talos ti aspetta con ansia" sbraitò.
Nella mia testa pensieri confusi offuscavano tutto.
Rimasi fermo per un po' cercando di vivere ancora qualche secondo.
Sentii da dietro un rumore di passi, due guardie, mi afferrarono da sotto le braccia e mi fecero mettere in ginocchio.
Stava cominciando a piovere.
Sulle mani sentivo già la pioggia gelida.
La soldatessa mi sistemò un sacco in testa, non riuscivo a vedere niente.
Sentii un piede sulla schiena che con forza mi fece inchinare sul pezzo di legno.
Pregavo, sentivo il boia contare, il terreno umido mi bagnava i pantaloni ma sicuramente fra un paio di secondi non l'avrei sentito più.....
Il boia smise di contare, strinsi i pugni.
Tutti cominciarono ad urlare, non riuscivo a capire.
Ad un certo punto un tonfo riempi le orecchi di tutti, qualcuno mi cadde addosso, era molto pesante, non riuscivo a muovermi.
Sentii un urlo potente e stridulo. Le orecchi fischiavano e il corpo sopra di me mi toglieva il respiro.
Cercai con le gambe di scivolare via, avevo paura, la corda ai piedi si stava smollando fino a quando non si slego' del tutto.
Non riuscivo ancora a rialzarmi, la pioggia aveva reso il fango scivoloso e no riuscivo a fare presa per spostare quel corpo.
Udii dei passi veloci sguazzare nelle pozza. "Aiuto, qualcuno mi aiuti" urlai.
Le urla della gente e i rumori assordanti avevano sicuramente sormontato la mia richiesta.
"Eccomi, ti aiuto io" si distinse una voce maschile.
Il peso sulla mia schiena cominciava ad alleggerirsi finché il corpo non fu più sopra di me.
Subito mi alzai e tirai via il sacco che avevo in testa.
Rimasi immobile dal terrore.
Le nuvole erano diventate rosso fuoco ed un enorme essere ed un'enorme creatura dominava i cieli.
Era lunga quasi dieci metri, nero come il carbone.
Girava in modo circolare su Helgen bruciando, con il suo alito, persone e case.
Pensai alla potenza di quell'essere, che in pochi attimi era riuscito a mettere in ginocchio un intero paese.
Abbassai la testa e mi concentrai sull'uomo che mi aveva salvato, anche lui aveva la testa alzata ad osservare la creatura.
"Allora non era una leggenda" farfugliò.
"Che leggenda" domandai.
L'uomo abbassò la testa, mi afferrò per un braccio e mi tirò verso un riparo.
"Non adesso, dobbiamo trovare in posto più sicuro"rispose.
Cominciammo a correre fino a una torre,
moltissime persone sparse per Helgen si erano munite di arco e incantesimi, cercando di contrastare il mostro.
"Freccie e fuoco non bastano per abbattere quella creatura" pensai.
Arrivammo alla torre, entrammo e subito notai che all'interno si erano radunate molte persone alcune piangevano, altre offrivano soccorso ai feriti.
L'uomo si girò e disse
"Dobbiamo andarcene, io sono Hadvar, te chi sei?"
Non gli risposi, salimmo le scale della torre, verso metà però sentimmo il verso del drago, la parete davanti a noi salto' in aria facendo volare scheggie di roccia da tutte le parti.
Hadvar si avvicinò lentamente al buco e guardò fuori
"Guarda quel forte laggiù, lo dobbiamo raggiungere. Ora salta su quella casa, comincia a correre più velocemente che puoi e non guardarti dietro, ci vendiamo al forte." Disse.
Mi affacciai e vidi il tetto squarciato della casa a circa cinque metri da me.
Sicuramente saremmo morti lo stesso.
Respirai profondamente e mi tuffai, ci stavo riuscendo.
Atterrai sulla casa  e mi misi a correre più velocemente con tutte le forze che avevo in corpo.
La strada era libera ma sicuramente era un vantaggio in più per il drago.
Arrivai al forte ma non frenai, avevo paura. Irrigidii la spella davanti a me e sfondai la porta.
All'interno controllai se avevo rotto qualche osso, ma per fortuna era tutto a posto.
Mi guardai dietro e vidi Hadvar, armato fino al collo, correre goffamente verso di me.
Il forte era un'enorme stanza costituita da un corridoio centrale e sei letti, ognuno dei quali aveva una grossa cassa di legno rinforzato ai piedi.
Hadvar si avvicinò con un coltellino e mi tagliò le corde alle mani.
" Vedi se c'è qualcosa in quelle casse, sbrigati, non possiamo rimanere qui!" Disse.
Non volevo contraddirlo, se io ero qui era solo grazie a lui, comunque andasse!
Cercai un po' in giro.
Trovai una spada di ferro, lunga e bilanciata, con l'elsa in bronzo. Le armature di cuoio mi calzavano bene. Trovai anche un arco intagliato a mano, ma c'erano solo quattro freccie.
Indossai stivali e elmo in pellicia e feci un cenno a Hadvar di andarcene.
In fondo al corridoio un pesante portone di ferro ostacolava il passaggio.
Hadvar mise una mano dietro una colonna di legno, tasto' un po' e misteriosamente la porta fece un rumore sordo.
Cominciammo a spingere il portone che, dal freddo si era bloccato.
"Queste sono le segrete " disse "Il modo più veloce per uscire da Helgen."
Le segrete erano costituite da delle stanze collegate una dopo l'altra da un'unica porta.
All'interno venivano stoccate tutte le scorte della cittadina.
Hadvar le conosceva a memoria, si vedeva.
Entrammo in una stanza, una luce fioca la illuminava, al centro c'erano due guardie che ostacolavano il passaggio.
"Non dovremmo essere qui " mi disse Hadvar.
Subito dopo avermelo detto mi fece l'occhiolino e si alzò in piedi, avanzando verso le guardie.
Le guardie si alzarono e appoggiarono le mani sulla propria spada.
"Ragazzi che ci fate qui, non vi sono arrivati i nuovi ordini? Bisogna andare fuori ad aiutare i feriti, muovetevi!" Disse Hadvar
Il primo uomo inpugno l'arma.
Ebbi paura.
Tirai fuori l'arco e mirai alla testa dell'uomo.
"L'unico ordine che abbiamo ricevuto e di rimanere qui a controllare le provviste, cercando di fermare qualche ladro che avrebbe approfittato della occasione, impostore!"
Concluse, sollevo' la spada e prima che riuscisse a colpire Hadvar, come di istinto, scoccai la freccia.
Subito ne preparai un'altra che arrivò alla seconda guardia.
Hadvar si girò verso di me con gli occhi spalancati
Era strano, sembrava come se l'avessi già fatto, non mi sentivo in colpa.
Continuammo a camminare.
Troppe domande mi giravano in testa, chi sono o perché provo naturalezza ad uccidere.
Ad un certo punto ci ritrovammo in una stanza che, a differenza delle altre, non aveva un'altra porta da cui uscire.
Hadvar si diresse verso un armadio e cominciò a spingerlo, lo aiutai.
Dietro era stata scavata, nella roccia, un passaggio illuminato da delle torcia.
Alla fine del tunnel c'era un ponte che conduceva all'interno di una enorme grotta, sicuramente scavata da un fiume sotterraneo.
"Seguiamo il fiume e saremo fuori in meno di mezz'ora"disse Hadvar.
Cominciammo a camminare, ero esausto.
Le pietre umide e piene di muschio ti facevano scivolare ogni metro.
Ad un certo punto Hadvar si fermo' e si sedette su una pietra.
Presi un masso e lo appoggiai di fronte a lui e mi sedetti.
"Da dove hai detto che vieni?" Mi chiese
"Non lo detto, e comunque mi piacerebbe saperlo anche a me!" Risposi
"Ah, forse ho capito, te eri quello che gli imperiali hanno picchiato con i bastoni.
Credevano che te centrassi qualcosa ma eri solo di passaggio, aspetta, tieni questo è tuo!" Disse infilandosi la mano nella tasca ed estraendo un libro grande come un palmo, con copertina in cuoio scuro.
Sfilai la cordicella che lo teneva chiuso e lo aprii.
Nella prima pagina c'era scritto
"di Edwin Arlie Septim",
sicuramente era il mio nome.
Dall'ultima pagina del diario cadde un foglio, lo aprii, all'interno con inchiostro nero c'era disegnata una mano.
Non riuscivo a capire il significato.
Sfogliai velocemente il diario, solo nomi e date.
Ero confuso.
Chi sono, cosa facevo prima di perdere la memoria.
Richiusi tutto e lo infilai nella tasca, ringraziando Hadvar.
Ci rialzammo e continuammo a camminare.
"Che cos'è quel libro" mi chiese
"Non lo so, qomunque piacere, Edwin!"
Almeno una cosa la sapevo, mi chiamo Edwin Arlie Septim.
Alla fine del corridoio si poteva intravedere un foro nella roccia da cui penetrava un filo di luce.
"Quello è la nostra uscita." sussurrò Hadvar.
Il buco era molto stretto ma speravamo che il muschio e il fango ci avrebbero aiutati.
Hadvar mi raccontò che quando era piccolo si divertiva ad andare in giro, ed e così che scoprì quel posto.
Si infilò prima lui e poi io.
Appena uscito la luce intensa del sole e della neve ti scioglieva gli occhi.
Sentimmo un ruggito, era quell'essere.
Hadvar mi tirò per il braccio e mi portò sotto una roccia.
Vedemmo nel cielo il drago passare.
Hadvar si girò verso di me e mi disse
"Continua per questa strada, arriverai a Rivenwood, li c'è mio zio che fa il fabbro. Riferiscigli dell'accaduto e salutamelo. Buona fortuna"
Appena fini di parlarmi si alzò e corse via, non ebbi neanche il tempo di ringraziarlo.
Non era sicuro stare lì.
Mi alzai e cominciai a correre, ripensando alla giornata.
Ero stanco e il sole stava per tramontare. L' unica cosa che avevo era un diario e qualche moneta d'oro, speriamo di trovare un posto dove stare tutta la notte.
Qua fuori non è sicuro, sento già dei rumori.
Non ci pensai e accelero.
Devo arrivare a Rivenwood e completare il mio incarico, per Hadvar.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 11, 2016 ⏰

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