Cella 64

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"Mel, ascoltami prima di andartene un'altra volta." Mi prega Lauren.
"Sono stanca di tutto, Lauren. Voglio tornare a dormire." Guardo i miei polsi bloccati dalle manette. Mi danno un senso di nausea, nonostante siano passati già quattro mesi.
"Devi combattere per quello che sei veramente, cazzo. Devi dire a quegli stronzi che non è colpa tua." Mi stringe la mano e cerca il mio sguardo.
"Ci vediamo la settimana prossima, buona notte." Schiaccio il pulsante, così da far entrare la guardia, Chris.
Fa andare via il mio avvocato e mi conduce verso la mia cella.

Mi volto indietro e vedo che la sedia su cui ero seduta è già occupata da un ragazzo. Non riesco a vedere il suo volto, ma non l'ho mai visto prima.

Chris mi toglie le manette e chiude a chiave il cancello dopo essere uscito e avermi sorriso. Un sorriso di compassione, penso.
Forse sa qualcosa.

Questa piccola stanza mi dà i brividi ogni volta. Le pareti sono rovinate e un tempo erano sicuramente bianche, il letto a castello è traballante e i materassi sono scomodi. C'è una piccola scrivania nell'angolo e una minuscola finestrella che fa entrare un po' di luce.

Mad è stesa sul letto di sotto, si sta mettendo lo smalto sulle unghie dei piedi. È così strana, ma forse è proprio questo che mi ha fatta affezionare a lei.

"La tua cena è sul tavolino. La Moore è passata un'ora fa per riprendersi i vassoi, ma dato che tu eri ancora in sala colloqui ho nascosto il piatto sotto le lenzuola." Dice, impegnata a non sbavare lo smalto.
"Grazie" Ridacchio e comincio a mangiare, anche se sono le undici.

Questo pollo fa davvero schifo, ma non lo butto perché apprezzo il gesto di Madison.

"Perché ci hai impiegato così tanto?" Domanda curiosa.
"Lauren... insiste." Vado sul vago. "A volte può essere una grandissima rompi palle." Getto il piatto senza che lei se ne accorga.

Dopo essermi lavata i denti, avvicino la scala e mi stendo sul letto freddo.

"Ti accorgi della bellezza della libertà solo quando ti rinchiudono in una cella." Scaccio le lacrime.

"A chi lo dici!" Borbotta.

Il mattino dopo, mi sento più stanca della sera prima. Ho la bocca secca e sicuramente anche la febbre. Impiego tutte le mie forze per alzarmi e mettermi le scarpe.

"Chris?" Lo chiamo e mi sporgo, per quello che riesco, dalle sbarre.

Sta dormendo sulla sedia, con la bocca semi aperta e le braccia conserte. Fa ridere, come al solito.

"Chris" Insisto. Finalmente si sveglia e si avvicina.

"Accompagnami in infermeria, mi sento la febbre." Apre la porta e fa come ho detto.

Sono seduta da mezz'ora, aspettando che l'infermiera mi chiami.

"Devo soltanto misurarmi una cazzo di..." Non finisco nemmeno di brontolare che il ragazzo, che mi sembra di aver visto ieri, esce dalla stanza.

Mi fissa e poi si siede accanto a me. Ha le nocche sporche di sangue e un taglio sulla guancia.

"Vuoi un autografo?" Dice malizioso. La sua voce è calda e mi lascia in estasi per qualche attimo. Questa frase è vecchia, comunque.

"Signorina Martin?" Mi chiama l'infermiera sulla quarantina.

La seguo e mi siedo sul lettino. "Vorrei un termometro."

Me lo passa e dopo circa un minuto scopro di avere la febbre, come immaginavo.

"Prendi queste tre volte al giorno" Mi passa una scatola di antibiotico.

Dopo aver firmato una delle solite cazzate, esco dalla stanza.

Il ragazzo non è più seduto in sala, così vado dritta in cella.

"Febbre" sbuffo svegliando Mad.
"Vai via da qui, se devo stare in carcere almeno voglio essere in forma per sputare in faccia a quegli stronzi." Si tira il cuscino in faccia.
Alzo gli occhi al cielo. "Buona condotta... ricordi?"
"Cazzate" sbadiglia.

"Oggi ho visto uno strafigo in infermeria." Mi stiracchio.
"Dimentichi che prediligo la fig.." dice, ma la interrompo " Ok, ho capito."

Chris mi dice che c'è una visita per me, cosa davvero strana perché ho visto Lauren ieri sera.

Una donna di mezza età è seduta di fronte a me, ma io non so nemmeno chi sia. Ha gli occhi a mandorla e castani come i miei, i capelli castani chiaro e indossa una collana di perle, che coraggio a presentarsi con un gioiello del genere in un carcere. Spero per lei che ce l'avrà ancora, una volta uscita da qui.

"Lei sarebbe?" Chiedo stranita, dopo averla fissata.
"Mi chiamo Amaya. So che non ti ricordi di me." Borbotta delusa.
"Ci siamo mai incontrate?"
"Sono tua zia, la sorella di tua madre." Pronuncia queste parole con cautela e con lo sguardo basso.
Mi alzo in piedi e appoggio i palmi delle mani tese sul tavolo, mando giù le lacrime e chiedo a Chris di portarmi in cella.

La donna, mia zia, ha le mani sul viso e singhiozza silenziosamente.

"Chris, per favore, lasciami andare in mensa. Ho bisogno di stare da sola." E siccome sono la sua preferita, me lo lascia fare.

In mensa non c'è nessuno e così mi siedo in fondo. Sono stanca di stare qua dentro, la libertà è l'unica cosa importante per me adesso.
Voglio ritornare a passeggiare e a fare la spesa, anche se quest'ultima era la cosa che odiavo di più prima di entrare qui.
Voglio ballare e cantare a squarciagola in camera mia o in auto con una mia amica.
Voglio svegliarmi la mattina e sapere di avere il mondo in mano.
Voglio smettere di fare lo stesso incubo, che mi riporta a quella notte. La gamba che bruciava forte e la mano sporca dal sangue di quel mostro.

"Brutta giornata?" Il ragazzo di oggi si siede accanto a me.
"Fosse solo una giornata." Asciugo le lacrime.
"L'ho fatto per difendermi, capisci?" Singhiozzo. "Ma poi perché lo sto dicendo a te?" Mi volto verso il muro bianco e cerco di calmarmi.
"Non devi sentirti obbligata, se vuoi sentirti ascoltata... cella 64." Sfiora il mio viso e poi si allontana con passo svelto.

Cella 64

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