Madame Bovary

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GUSTAVE FLAUBERT

MADAME BOVARY

A

MARIE-ANTOINE-JULES Se'NARD

MEMBRO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI PARIGI

EX PRESIDENTE DELL'ASSEMBLEA NAZIONALE

EX MINISTRO DEGLI INTERNI

Caro e illustre amico,

mi permetta di porre il suo nome all'inizio di questo libro e prima della dedica; debbo infatti soprattutto a lei se stato pubblicato. Grazie alla sua splendida difesa, la mia opera ha acquisito anche per me una sorta di imprevista autorevolezza. Accetti quindi l'omaggio della gratitudine che ho per lei e che, per quanto grande, non sara' mai all'altezza della sua eloquenza e della sua dedizione.

GUSTAVE FLAUBERT

Parigi, 12 aprile 1857

PARTE PRIMA

I

Stavamo studiando, quando entro' il preside seguito da un nuovo alunno vestito in borghese e dal bidello che trasportava un grosso banco. Quelli che dormivano si svegliarono e si alzarono in piedi come sorpresi in piena attivita'.

Il preside ci fece cenno di star comodi, poi si rivolse all'insegnante:

«Professor Roger,» disse sottovoce «le raccomando questo allievo. Viene ammesso alla quinta, ma se il profitto e la condotta lo renderanno meritevole, passera' fra i grandi, come richiederebbe la sua eta'».

Il 'nuovo', un giovane e robusto campagnolo d'una quindicina di anni circa, alto di statura piu' di ognuno di noi, rimaneva in un angolo dietro la porta, di modo che lo vedevamo appena. Aveva i capelli tagliati diritti sulla fronte, come un chierichetto di paese: sembrava assennato e molto intimorito. Benche' non avesse le spalle larghe, dava l'impressione che la giacchetta di panno verde con i bottoni neri lo stringesse sotto le ascelle; gli spacchi dei risvolti delle maniche lasciavano vedere i polsi arrossati a furia di rimanere scoperti. Le gambe calzate di blu sbucavano da un paio di pantaloni giallastri sostenuti con troppa energia dalle bretelle. Portava scarpe chiodate robuste e mal lucidate.

Cominciammo a recitare le lezioni. Egli stava tutto orecchi ad ascoltarle, attento come se ascoltasse un sermone, senza osare nemmeno incrociare le gambe o appoggiarsi al gomito, e alle due, quando suono' la campana, il professore dovette chiamarlo perche' si mettesse in fila con noi.

Avevamo l'abitudine entrando in classe di gettare a terra i berretti per restare con le mani piu' libere; bisognava lanciarli stando sulla soglia fin sotto il banco, in modo che battessero contro il muro e sollevassero piu' polvere possibile; cosi era 'l'uso'.

Ma, sia che non avesse notato la manovra o che non avesse osato metterla in pratica, alla fine della preghiera, il 'nuovo' teneva ancora il berretto sulle ginocchia. Si trattava di uno di quei copricapi non ben definibili, nei quali possibile trovare gli elementi del cappuccio di pelo, del colbacco, del cappello rotondo, del berretto di lontra e del berretto da notte, una di quelle povere cose, insomma, la cui bruttezza silenziosa ha la stessa profondita' d'espressione del viso d'un idiota. Di forma ovoidale e tenuto teso dalle stecche di balena, cominciava con tre salsicciotti rotondi, poi, separate da una striscia rossa, si alternavano losanghe di velluto e di pelo di coniglio; veniva in seguito una specie di sacco che terminava con un poligono sostenuto da cartone ed era coperto da un complicato ricamo di passamaneria, dal quale pendeva, al termine di un lungo e troppo sottile cordone, un ciuffetto di fili d'oro a guisa di nappina. Il berretto era nuovo di zecca e la visiera splendeva.

«Si alzi» disse il professore.

Lo scolaro si alzo': il berretto cadde per terra. Tutta la classe scoppio' a ridere.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 29, 2006 ⏰

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