CAPITOLO 1

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-E' scaduto il tempo. Dovete consegnare, posate le penne-.

Sbuffai e misi la penna in tasca, mentre presi lo zaino e mi alzai per consegnare il compito. Test di matematica a sorpresa, così dannatamente tipico. Arrivai alla cattedra, consegnai e sparì dall'aula. Andai verso il mio armadietto, evitando lo sguardo di tutti. Stavo per aprirlo, riporre i libri e andarmene, quando venni interrotto da una ragazza. Portava occhiali enormi e un vestitino molto anni '70. -Scusa, tu sei Nathan del club di fotografia?- chiese lei con una vocina acutissima. La fissai per un secondo, chiedendomi come facesse a conoscermi. Ero praticamente invisibile. -Ehm, sì, sono io...perché? Chi mi cerca?-. -Oh, nulla, io sono nuova e mi servirebbe una mano per organizzare l'album per il ballo di inizio anno...mi hanno chiesto di rivolgermi a te-. Fantastico, pensai. Quel giorno sarei tornato a casa tardi. Ma che altro potevo fare, poi? Lei era lì, la prima persona che mi avesse mai parlato in cinque anni di liceo. E poi, se devo essere sincero, era molto carina. Mi appoggiai all'armadietto, cercando di apparire il più ordinario possibile. -Ma certo, sarò felice di darti una mano. Come ti chiami?-. Lei sorrise. -Sono Judith Moore, e sono al primo anno. Andiamo?-. Cominciò a camminare e io la seguì. Mi sembrava tutto così strano, l'unica donna con cui io avessi parlato è mia sorella. Oltre a mia madre, s'intende. All'improvviso ero nell'aula di fotografia, di pomeriggio, con una ragazza che aveva espressamente chiesto di me. Era la mia occasione. Lei prese alcune fotografie e me le mostrò. -Sono bellissime- disse lei. -Sì, le ho fatte io l'anno scorso. Grazie per il complimento-. Presi le foto e le nostre mani si sfiorarono. Ci fu un momento di imbarazzo, in cui i nostri sguardi si incrociavano. Fu lei a parlare. -Dunque, come organizziamo il lavoro?. Si sistemava gli occhiali in modo imbarazzato e fissava il tavolo. Mi sedetti e iniziai a darle istruzioni.

...

Alla fine facemmo tardi, molto tardi. Chiudemmo la porta dell'aula e uscimmo da scuola. -E' parecchio tardi- iniziai -vuoi che ti porti a casa?-. -Oh, no...abito di fronte- rispose. Mi sorrise ancora e stavolta non smetteva di guardarmi. -Oh, bene, allora io vado- dissi. -Bene, allora a domani...Nathan-. -A domani, Judith-. Mi girai per raggiungere la mia auto e incominciai a camminare. -Nathan?- sentì. Mi girai e Judith mi baciò. Una cosa improvvisa, tante emozioni insieme. Il mio primo bacio. La strinsi forte a me e ricambiai il bacio. Quando finalmente ci staccammo lei mi sorrise e si avviò verso casa sua. Io ancora imbabolato mi toccai le labbra. Dopo che la vidi entrare a casa, ricominciai a camminare verso la mia auto. Cavolo. Mi ha baciato. E nessuno l'ha pagata o minacciata. A lei piaccio. Piaccio a qualcuno! Ecco, erano queste le cose a cui pensavo mentre percorrevo un lungo viale, buio e stretto. Avevo parcheggiato l'auto molto lontano, e per questo mi maledicevo.

-Ehi, tu. Che ci fai qui?-

Mi girai, per vedere chi avesse parlato. L'unica cosa che vidi fu un gruppo di ragazzi, seduti sul ciglio della strada, intenti a bucarsi e a bere. Ottimo, pensai. Sarà meglio evitarli. Continuai a camminare finchè uno di loro non si avvicinò a me. -Parlo con te, idiota-. La situazione cominciava ad essere pericolosa. -Ehi, ehm...scusa io ho parcheggiato da queste parti...n-non sono uno sbirro, non dirò di avervi visto, promesso!- tentai di difendermi, ma il tipo non mollava. Era ubriaco e puzzava. Sentivo i suoi amici ridere mentre cominciavo a sudare. Indietreggiai. -Ehi, Leo. Non pensi che dovresti prendertela con qualcun altro?-. Era una voce femminile. Non vedevo molto, era tutto buio. -Abbey, che c'è? Ti dispiace per il piccoletto?-. Lei si avvicinò, e un lampione le illuminò il volto. Aveva capelli colorati, lunghi e lisci, una canotta nera, una gonna di pelle cortissima e un paio di stivaletti alti. Ma era bellissima. La più bella ragazza che avessi mai visto. Si avvicinò e si mise tra me e lui. -Vuoi attirare l'attenzione? Ti conviene star fermo, se non vuoi che gli sbirri ti sbattano dentro-. Leo indietreggiò, dopo aver sorriso e sbuffato. Mormorò un "lasciamo perdere" e raggiunse gli altri. Lei mi guardò attentamente. Poi urlò:-Mi assicuro che vada nella sua auto-. Mi prese la mano e, con passo piuttosto veloce, mi portò in un vicolo buio, con un solo lampione, mal funzionante. -Sparisci- mi disse. Io rimasi imbambolato. Ero stato salvato da una ragazza. Sono proprio un cretino, pensai. -Oh, io, ecco...grazie, io non sapevo che...- mi interruppe. -Ehi, bello. Non ho tempo. Sto rischiando grosso. Va via-. Continuava a guardarsi intorno, come se temesse l'arrivo di qualcuno. Io non volevo mollare. -Aspetta, ehi. Io sono Nathan, tu chi sei?-. Lei mi guardò in modo gelido. -Sono Abbey, hai sentito prima?-. Rimasi imbambolato per un po'. Cosa stava facendo? Lei sbuffò, e si avvicinò a me. Ora era illuminata dal fascio di luce proveniente da quell'unico lampione. A guardarla meglio, era ancora più bella. Ma la sua era una bellezza...inquietante. I suoi capelli erano arruffati e crespi, il trucco sbavato, come se avesse appena finito di piangere. Stavo per chiederle cosa ci facesse lì, ma fui interrotto. Lei si girò di scatto e iniziò a correre, ignorando i miei ripetuti richiami. Mi grattai la testa, intontito. Stanno succedendo troppe cose strane. Così mi diressi verso la mia auto, la raggiungi in pochi minuti, e tornai finalmente a casa.

AbbeyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora