Capitolo 1: Again.

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Non credo di aver mai adorato la domenica così tanto in tutta la mia vita. Avevo passato tutta la mattina a dormire e adesso ero in camera mia, insieme a Roberta e stavamo solamente sedute, in silenzio. La zia di Lorenzo ci aveva chiamato per dirci che era scomparso e che aveva denunciato il tutto alla polizia. Io e Roberta ci sentivamo terribilmente in colpa, come non potevamo far nulla di fronte a tutto ciò? Come potevamo avere così tanta... Paura? Il direttore ci aveva minacciato. E di brutto, anche, lasciandoci però libero anche il sabato per "essere pronte alla nuova settimana nella nuova struttura". Volevo ucciderlo. Ad un tratto, Roberta sospirò e si distese sul materasso, guardando il soffitto. «Volevamo scappare» disse, con un tono malinconico «volevamo finire questa follia ed invece... Abbiamo solo avuto una seccatura in più. Sono stanca». Chiusi gli occhi, cercando le parole giuste da dirle per rassicurarla, ma proprio non riuscivo a trovarle. Perché rassicurarla su un qualcosa di impossibile da sistemare? «Forse... Stiamo perdendo la speranza» sussurrai. Basta fingere. La verità era che non potevamo più fuggire. «È strano, detto da te» disse Roberta, con un lieve sorriso. «È la verità. L'unica soluzione mi sembra la morte» risposi in modo tetro. Lei si alzò di scatto con il Busto e mi guardò arrabbiata. «Non dirlo mai più. Non dire più una cosa simile» le tremava la voce ed il viso era leggermente rosso di rabbia «Lorenzo si è sacrificato, non ha mollato fino all'ultimo. È rimasto sé stesso e non ha mai perso la speranza. Non dobbiamo farlo nemmeno noi, per lui». La guardai con le labbra schiuse, per poi distogliere lo sguardo e fare un sorriso amaro. «In fondo, lui non è più qui, no? Non avrebbe senso farlo...» ma non finii la frase. La mia guancia iniziò a bruciare ed il mio viso si spostò da un lato per colpa di Roberta. Mi aveva dato uno schiaffo sul viso. «Non...» prese fiato, con le lacrime agli occhi e la voce spezzata «non osare nemmeno pensare a questo. Lui sarà sempre con noi, e questa è una questione di onore, anche per sua zia. Dobbiamo vendicarlo e andare avanti a vivere, mi hai capito?!». Mi poggiai una mano sulla guancia e la guardai sconvolta e confusa. «Mi... Mi dispiace...» sussurrai, mordendomi il labbro per non scoppiare a piangere «non pensavo veramente le cose che ho detto...». Roberta mi abbracciò, chiedendomi scusa a sua volta per lo schiaffo. E invece proprio quel colpo voluto dalla mia mia migliore amica mi aveva aiutato a rinsavire. Avremmo superato questa settimana, preso a calci il direttore e saremmo scappate via. Questa volta nessuno ci avrebbe fermate.
L'indomani, andammo a scuola insieme, uscendo da casa mia. Il tragitto fu silenzioso, entrambe non avevamo voglia di parlare, essendoci svegliate sa poco. E forse, nessuno delle due sapeva bene di che cosa parlare. Arrivate a scuola, un paio di compagni di classe di Lorenzo, saputa la notizia della sua scomparsa, ci chiesero se sapessimo qualcosa, se lo avessimo visto prima che scomparisse. Fingemmo. Fingemmo di essere preoccupate, di non sapere dove fosse, di piangere, addirittura. Si, Roberta si era messa a piangere per liquidarli velocemente e andare in classe. La presi per le spalle, sussurrando uno "scusate" e la allontanai, andando dritte in classe. «Sei un'attrice formidabile! Hai finto di piangere!» sussurrai, mentre lei si asciugava le lacrime dal viso. «A dire la verità è stato piuttosto semplice, mi è bastato pensare alla verità» rispose, facendo un sorriso amaro «e, inoltre, ho imparato dalla migliore» e mi rivolse un altro sorriso. Era vero, in quell'anno trascorso insieme, le avevo insegnato qualche tecnica per fingere bene, se ne avessimo avuto il bisogno. Ci sedemmo al suono della campana, iniziando le lezioni.
Dopo ben cinque ore estenuanti di tortura psicologica, uscimmo da scuola con il cervello completamente a fanculo. Due ore di latino, una di fisica e due di matematica di lunedì dovrebbero essere i l l e g a l i. Ci guardammo un attimo, pensando sul da farsi: saremmo dovute andare per forza al Freddy's per prendere le divise, visto che avevamo letto il contratto da cima a fondo e che, a quanto pare, erano obbligatorie. Così, dopo aver fatto i compiti, ci dirigemmo verso la nostra meta, senza nemmeno aver mangiato. In quei giorni, non avevamo appetito, specialmente io. Mi ritornava sempre alla mente il corpo di Lorenzo steso per terra, con gli organi fuori ed il torace aperto... Ogni volta, mi saliva un conato di vomito che cercavo di reprimere.
Entrammo nel locale senza tanti convenevoli. I robot erano sul palco e cantavano, tutti insieme. Freddy, Toy Freddy, Bonnie e Toy Bonnie. Come se riuscissero tranquillamente a sopportarsi. Chica e Toy Chica servivano i tavoli, mentre era stato costruito un altro Pirate's Cove vicino al palco, dove Foxy giocava con i bambini. La tranquillità di quel posto... Il fatto che nessuno sapesse cosa in realtà stesse succedendo sotto tutta quella finzione... Mi dava il nervoso. Presi Roberta per mano, iniziando a trascinarmela dietro, decisa a non rimanere lì dentro un minuto di più. E, per nostra fortuna, non incontrammo nessuno. Arrivate nell'ufficio del direttore, spalancammo la porta, non trovando traccia di quel bastardo. Aprii gli armadietti, presi le divise e ne diedi una a Roberta. «Adesso filiamo via, prima che qualcuno di non molto desiderato ci veda» le sussurrai. Lei annuì ed uscimmo dall'ufficio. Passando davanti ad una stanza, mi fermai di colpo, sentendo un pianto. Mi girai verso Roberta, con uno sguardo interrogativo, credendo all'inizio che fosse stata lei, ma non era così. Anche lei doveva averlo sentito, perché subito dopo ricambiò il mio sguardo confuso e fece qualche passo indietro, fermandosi davanti ad una porta chiusa. Lei la aprí, guardando poi il buio della stanza. Sentii una voce sussurrare qualcosa e l'altra singhiozzare ininterrottamente. Accesi la luce e guardai davanti a me: Mangle era seduta per terra, con il viso nascosto in mezzo alle gambe e i capelli a coprirle gli occhi. Inginocchiato davanti a lei, molto più in alto, c'era Puppet, con in una mano la maschera e l'altra poggiata sulla spalla della "ragazza", se così si può chiamare. Vedendo la luce accendersi, Puppet si girò verso di noi e Mangle alzò lo sguardo, ancora rigato di lacrime. «M-mi...» sussurrò leggermente, guardando fisso negli occhi Roberta «dispiace... Lui... Era così dolce... Non volevo...» la sua voce si fece sempre più fievole, fino a spezzarsi totalmente. Rimase la testa tra le gambe e le strinse al petto. Roberta la guardò prima confusa, poi compassionevole ed infine con uno sguardo indemoniato. «Tu...» le si avvicinò velocemente ed io la seguì, preoccupata quasi di più per Mangle che per lei «tu non sai come era. Tu non sai cosa ha fatto per noi. Non lo sai e non lo saprai mai! Sei un fottuto mostro!». E mentre gli occhi di Roberta si facevano lucidi, la ragazza/volpe riprendeva a piangere più forte, venendo scossa anche da tremiti. Puppet, a quelle parole, alzò lo sguardo di colpo su di lei, fulminandola. «Mangle non voleva affatto ucciderlo. Forse è stata la prima volta in cui lei non ha avuto la forza necessaria per uccidere qualcuno di sua spontanea volontà». Non avevo mai visto Puppet così... Arrabbiato. Roberta si tirò leggermente indietro e impallidí. La marionetta si passò una mano sul viso e sospirò, per poi alzarsi in piedi. «Non volevo arrabbiarmi. Mi dispiace...» sussurrò, per poi puntare il suo sguardo sul mio «so che questa settimana il direttore vi ha mandato nell'attrazione horror». Mi morsi il labbro inferiore, innervosita sia dal suo sguardo che dalle sue parole. Mangle, intanto, aveva smesso di singhiozzare e guardava un punto indefinito davanti a sé, con sguardo vuoto. «Per favore... State attente. Le due guardie precedenti... Non ne sono uscite vive. Ma so che voi potete farcela, solo... Evitate di provocare loro». E detto questo, ci superò, senza toccarci, per poi andare nella sua stanza. Lanciai un ultimo sguardo a Mangle, per poi guardare Roberta e sussurrare un "andiamo". Uscimmo velocemente dal locale, tenendo strette le nostre divise al petto e evitando lo sguardo dei robot che, lo potevo sentire benissimo, era puntato su di noi.

«Sono spacciate» sussurrò Freddy, sospirando subito dopo e sistemandosi il cappello sulla testa. «Non voglio. Non mi va che le tocchino» disse Foxy, accigliandosi e guardando le schiene delle due ragazze. «Nemmeno a me. Ma i capi sono loro, no?» ribatté Bonnie, incrociando le braccia al petto. «Addio, ragazzine».

Dopo secoli, sono tornata. Più forte di prima.
Con meno errori grammaticali e un po' più volenterosa di scrivere.
Faccio schifo.

FNaF 3: l'ultima settimanaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora