Prologo

11 2 0
                                    



«Betta la grassa!»

«Betta la grassa ahah!»

«Betta la grassa!!!»

Le lacrime le bagnavano il viso mentre correva fra gli altri studenti. Strinse la maniglia della porta e l'aprì con forza. Le risate si affievolirono. Si guardò attorno e scoprì di essere davanti all'uscita della scuola. Le risate erano scomparse. Le macchine le volavano davanti. Continuò a piangere stringendo i propri pugni. 

"Potrei buttarmi" Il fruscio del vento copriva il rumore dei suoi pensieri "Non mancherei a nessuno."

Si accasciò a terra e chiuse gli occhi.

"Non ho scelto questo corpo" Pensò affondando le unghie nella carne "Non ho scelto questo corpo..."

Una mano le toccò la spalla. Profumo di rose.

«Mon Chéri, perché piangi?» La figura era controluce e aiutò Elisabetta ad alzarsi.

La ragazza non rispose.

«Mi chiamo Lily, e tu come ti chiami?» I contorni della donna misteriosa si delinearono mostrando il volto più bello che la ragazza avesse mai visto. 

«Elisabetta» Rispose

«Sai...» Lily passò un fazzoletto sulle guance di Elisabetta «Avevo il tuo stesso problema. Dio mi aveva imprigionato in un corpo che non sentivo mio. Ma un dottore è riuscito a salvarmi.»

Il vestito nero di Lily parlava per lei accennando le sue curve sensuali. I ricami a mano, frutto dell'esperienza di qualche sarto geniale, ne fecero intendere il ceto sociale, certamente aristocratico. Ma Elisabetta non si mosse. Aveva provato diverse medicine per dimagrire, spendendo tutti i suoi risparmi e, certamente, non si sarebbe potuta permettere neanche un qualche intervento estetico.

«Tieni» La signora esaminò la sua borsetta estraendo un cilindro metallico rosso, su cui era segnata la lettera D. «Considerale un regalo. 1 ogni 3 giorni, mi raccomando.»

Lily baciò la fronte di Elisabetta e le posò il cilindro sul dorso. «Buon Estate, Mon Chéri» Una limousine nera parcheggiò li davanti. Lily aprì lentamente la porta, per poi salutare Betta con un sorriso e scomparire dietro al freddo metallo della portiera.



Elisabetta era tornata nella piccola casa in periferia in cui abitava assieme al padre e alla madre entrambi, al momento, impegnati a lavorare in una fabbrica di dentifrici e prodotti per l'igiene come operai. La ragazza ebbe molto tempo per pensare, la casa distava così tanto dalla sua scuola, o da qualsiasi punto di riferimento in quell'odiosa città. Ma era il meglio che la sua famiglia poteva permettersi. E, nonostante il tempo concesso al suo pensare, non si decise fino al momento in cui, rientrata in casa, prese la decisione di chiudersi nel bagno per esaminare il cilindro. 

"Tic tac?" Ne prese una. Erano verdi ma non avevano odore. "Deve essere uno scherzo, nessuno ti niente per niente."

Inclinò il braccio per farle cadere nel lavandino fermandosi giusto in tempo.

"Sarà veleno?" Domandò ai suoi occhi, riflessi nello specchio, cerulei come il cielo, unici elementi che avrebbe salvato del suo essere: Diamanti in un deserto di vetro. Ma loro non risposero e dunque lei, sola come sempre, si rispose da sola. 

"Se anche morissi non mancherei a nessuno."

Prese una delle caramelle e la portò alla bocca. Masticandola ne liberò il sapore simile al ferro. Poi, infine, svenne. 

Sangue VerdeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora