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Capitolo primo

Non è un caso che i giocattoli voluti dai fratellini o cuginetti per Natale siano sempre tutti uguali.
Così come non è un caso che la pioggia cada dal cielo e il mare bagni la sabbia.

Le città sono piene di strade; le strade sono piene di persone; tra le persone ci sono tanti bambini, e tutti vogliono lo stesso giocattolo, come dono di Natale. E' quasi snervante.

Europa si guardava intorno spesso, mentre pensava a ciò. Si guardava attorno e realizzava quanto fosse diventato banale il mondo, eppure realizzava anche che era sempre stato così.

Si guardava intorno e vedeva la gente che camminava, vedeva i bambini che indicavano le vetrine dei negozi con le dita all'interno dei guanti ed i genitori che sospiravano, realizzando di dover fare un turno in più quella settimana per poter rendere felice il proprio figlio e comprargli quel trenino di legno che il tempo aveva trasformato in una costosissima console e che dopo due mesi sarebbe diventata già "vecchia".

Europa non capiva, non capiva perché tutto doveva essere così superficiale e dipendente dai soldi. Perché una bambina di otto anni parlava con le sue amiche su Whats App e non le incontrava al parco? Perché chiedeva il nuovo modello di iPhone per Natale invece di una Barbie della quale avrebbe perso le scarpe in meno di tre giorni? Perché postava selfie su Instagram invece di giocare con uno di quei bellissimi e morbidissimi peluche che ti regalano i nonni?

Perché la vita dei bambini era stata rovinata in quel modo?

Europa continuava a guardarsi attorno, eppure ancora non lo capiva.
Pensava che magari le facce delle persone le potessero dare una risposta, che le voci bianche dei bambini le avrebbero fatto comprendere tutto.
Ma Europa ancora non capiva.

E quindi, che senso ha continuare a cercare una risposta, se sai che non ti giungerà mai? Anche Europa lo realizzò, perciò smise di farsi quelle complicate domande, limitandosi a fare quello che la società pretendeva da lei: comprare.

Comprò giocattoli, videogiochi, vestiti, completi di pentole, scarpe e chi più ne ha più ne metta. Comprò tutti i regali che i suoi amici e parenti volevano per Natale, realizzando che non sarebbe riuscita a farli felici con qualcosa che non fosse un bene materiale.

Si stava infilando il portafogli in tasca quando lo vide. Vide ciò che avrebbe reso suo fratello il bimbo più felice del mondo per, al massimo, una decina di giorni.
E si ritrovò nuovamente a pensare a quanto si fosse ridotta male la gente. A quanto basso fosse il livello in cui si trovavano: correre dietro un videogioco.

Lei stessa si stava trasformando in una persona che non voleva essere, finendo i suoi soldi in oggetti che sarebbero stati gettati - presto o tardi che fosse - in un cassonetto della spazzatura.
Ma non ci poteva fare niente, perché lei voleva bene a suo fratello.

Non appena poggiò le mani sulla scatola sentì come un peso abbandonarle il cuore. Come se un'ansia che la affliggeva da settimane se ne fosse andata: il dovere di prendersi cura di Lukas.
Sapeva che non era il modo giusto, sapeva che così lo avrebbe soltanto indotto a seguire quella disgustosa e controllata società in cui si trovavano, ma cosa poteva farci lei, se la causa del suo sorriso era proprio quello del fratello, e quest'ultimo era condizionato dalla scatola che stringeva tra le mani?
Niente; ecco cosa poteva farci, niente.

Così si diresse verso la cassa; lo sguardo e il morale basso.

- Scusa, ma penso che quella scatola sia mia. - era una voce tanto bassa da parere un mormorio; un qualcosa che ci si è immaginato dalla troppa stanchezza.

Per questo Europa continuò a camminare, presupponendo che tutto quello stress non le facesse bene alla testa così come alle orecchie.
Ma quando la frase fu ripetuta dalla stessa voce, ed un paio di scarponi da neve le coprirono la vista si rese conto di non avere immaginato niente.

Alzò la testa, guardando l'uomo con aria confusa e spaesata, come se non capisse la lingua che stesse parlando.

- Come, prego? - corrugò le sopracciglia scure, socchiudendo le labbra morbide.

- La scatola, - fece un cenno verso essa mentre incrociava le braccia al petto - è mia. -

Ora, Europa appariva una persona tranquilla e solitaria - cosa che forse era - ma non era di certo il tipo di ragazza che si faceva mettere i piedi in testa da qualcun'altro; anche se l'individuo in questione era un uomo grande e grosso, con i bicipiti visibili anche da sotto lo spesso cappotto verde bottiglia.

- E perché mai dovrebbe essere sua? - incrociò a sua volta le braccia al petto, inclinando la testa verso destra - Mi sembra proprio che sia nelle mie mani. -

- Semplice, signorina. Perché l'ho vista prima io e perciò spetta di diritto a me. -

- Diritto? - rise lei - E che cosa ne sai tu di diritto, sentiamo? - lo sfidò.

- Quanto basta per reclamare questo videogioco mio. - disse strappandoglielo dalle mani.

Europa sbottò in disapprovazione, non riuscendo a credere alla maleducazione di quell'uomo. Era quella, la generazione rovinata di cui stava parlando: lui - pur non dovendo avere più di venticinque anni - era l'esempio dello strafottente materialista.

- Come ti permetti? - sibilò arrabbiata - Sei veramente un'ignorante egoista che non pensa ad altro che giocare tutto il giorno con quegli stupidi videogiochi! -

- E che cosa ne sai tu, di me? -

- Tanto quanto mi basta per poter dire che sei un pantofolaio ignorante. - rispose a tono, riappropriandosi nuovamente del giocattolo.

Europa non perse altro tempo, correndo alla cassa e rendendo finalmente suo il gioco.

- Mi hai praticamente rubato il videogioco. E da bravo gentiluomo che sono ti ho lasciato fare. Ora però mi devi delle scuse. - protestò, continuando a seguirla.

- Innanzitutto, - iniziò, fermandosi di scatto e ritrovandosi faccia a faccia con il viso chiaro dello sconosciuto - l'ho pagato con i miei soldi, quindi non mi sembra di averti rubato un bel niente. Secondo, se sei un verso gentiluomo come affermi di essere mi lasceresti stare augurandomi una buona giornata, e non stressandomi per ricevere un favore che non ti meriti nemmeno. -

- Bene, allora. - le rispose tranquillamente, le mani ancora sprofondate nelle tasche dei jeans - Ti auguro una buona giornata. -

- Grazie. - mormorò, allontanandosi il prima possibileda lui. - Davvero, grazie mille. - sbuffò poi, rendendosi conto di avere appenaperso il treno

Europa // B. BalajDove le storie prendono vita. Scoprilo ora